Snowpath
Snowpath, 2007.
© Dorothy Simpson Krause

Dorothy Simpson Krause è un’artista americana che lavora soprattutto con collage, combinando materiali tradizionali con tecniche digitali.

Non è una fotografa, ma fa un uso intensivo della fotografia nei suoi collage. Tipicamente il suo lavoro verrebbe considerato non fotografico, e classificato sotto qualche forma di arte visiva ma non “La fotografia”. Da molto tempo mi batto per cercare di fare entrare nella testa dei fotografi che il confine fra immagine fotografica e le altre arti visive non è così netto e non è facile stabilire cosa sia fotografia e cosa no. Anzi, la domanda stessa in realtà è mal posta, perché la fotografia è un media ambiguo, in realtà un termine correntemente utilizzato per raggruppare pratiche anche sostanzialmente diverse fra loro. Ben venga quindi sulle pagine di Camera Obscura un artista che mischia le carte in tavola.

Inoltre Dorothy Simpson Krause è stata una delle prime persone ad utilizzare il computer e i sistemi di stampa digitali. Mi interessava quindi discutere dell’uso dell’informatica nel mondo dell’arte. Da sempre i fotografi, a parte qualche nota eccezione stile Giacomelli, sono andati a braccetto non solo della tecnica, come in ogni forma d’arte, ma anche degli aspetti più tecnicistici e tecnologici del loro mezzo espressivo. Eppure il computer e in generale il digitale veniva visto fino a pochissimo tempo fa con una certa diffidenza, miriadi di dubbi qualitativi ma soprattutto testarde crociate contro uno strumento sconosciuto.

Storm sky
Storm sky, 2007.
© Dorothy Simpson Krause

Infine alcuni lavori degli ultimi anni di Dorothy Simpson Krause ricordano moltissimo l’aspetto di certe immagini ottenute utilizzando antichi procedimenti di stampa, tanto che la prima volta che mi sono imbattuto nella sua opera ho pensato che si trattasse di stampe alla gomma bicromata. Visto che la gomma è una delle mie tecniche preferite ho un certo debole per immagini di questo tipo, dal gusto un po’ retrò e pittorialista.

Sebbene l’opera di quest’artista americana sia molto più varia, saranno solo alcuni di questi suoi lavori a mezza strada fra la pittura e la fotografia ad accompagnare l’intervista.

 

Fabiano Busdraghi: Sei considerata uno dei pionieri nell’uso del computer nell’arte. Di solito è uno strumento utilizzato in ambito scientifico e tecnologico, mentre le persone che hanno una formazione artistica o letteraria prediligono strumenti meno tecnologici (ma nelle nuove generazioni questa distinzione è meno marcata). Credi anche te che sia così? Ritieni che la diffusione del computer in ambito artistico sia indispensabile per il futuro?

Through the rain
Through the rain, 2007.
© Dorothy Simpson Krause

Dorothy Simpson Krause: Il computer, come la ruota, è uno strumento universale. Può replicare altri media e materiali e ma può anche essere usato in modo completamente unico. Nel mondo della fotografia il digitale sembra stia sempre più sostituendo l’uso della pellicola, ma ci saranno sempre artisti che sceglieranno di lavorare con procedure che permettano di ottenere lavori che trovano gratificanti, dalle stampe al platino alle macchine Holga.

Trees
Trees, 2007.
© Dorothy Simpson Krause

FB: Uno dei motivi che allontanano l’informatica da un uso creativo è una strana contraddizione fra semplificazione e complessificazione. Certe manipolazioni sono rese estramamente più semplici dal computer, quindi si potrebbe pensare che finalmente gli artisti hanno la libertà di espressione che cercavano, senza che questa sia filtrata e limitata dalle difficoltà tecniche di realizazione. Allo stesso tempo però la democratizzazione delle procedure sembra ridurre il valore di un certo lavoro. Per esempio in fotografia, per ottenere in camera oscura una posterizzazione a colori di un’immagine erano spesso necessari giorni e giorni di lavoro, e una stampa di questo genere veniva considerata un’opera d’arte.

Oggi è molto più difficile trovare una foto posterizzata in una galleria, e uno dei motivi è che questo effetto è ottenibile in pochi secondi con photoshop. Sembra che le procedure complesse, difficili, lunghe e lente aggiungano valore ad un’opera.

Winding stream
Winding stream, 2004.
© Dorothy Simpson Krause

Non sto dicendo che la manipolazione digitale sia semplice, l’uso del computer ha le sue difficoltà e la sua curva di apprendimento. Però mi chiedo se in generale la complessità aggiunga valore ad un’opera artistica? La diffusione del computer ha tolto l’aurea in cui si vestiva una parte della produzione artistica del passato? La semplificazione del computer porta ad apprezzare le qualità di un’opera più per le sue caratteristiche intrinseche e meno per quelle materiali?

DSK: Io non credo che conti come un’opera è stata prodotta. È il risultato finale che è importante.

Un progetto complesso che ho recentemente completato, in qualità di “von Hess Visiting Artist” presso The University of the Arts Borowsky Center di Philadelphia, è Black gold. Ho utilizzato inchiostri argento, oro e nero metallico sulla stampante litografica offset Heidelberg con una stampa a getto d’inchiostro su carta semplice chine-collé.

Ho iniziato la parte di trasferimento metallico della stampa tramite la scansione di una superficie di metallo e gesso, ridimensionata in Photoshop per avere le giuste dimensioni dimensioni. Ho scelto il file da usare da una serie di lavori in corso sul cambiamento climatico.

Twilight
Twilight, 2004.
© Dorothy Simpson Krause

Prima di lasciare il mio studio, ho stampato su un foglio di tessuto, usando una stampante a getto d’inchiostro HP Z3100, i paesaggi che dovevano essere poi chine-collé. Ho diviso il file di Photoshop in tre “separazioni”, che sarebbe diventato l’argento, l’oro e il nero delle lastre offset. Al Centro Borowsky, Lori Spencer, il genio della stampa, ha preparato il film, ha fatto le lastre offset e trasferito l’immagine su cui è stato riportato il tessuto di seta. Un ultimo tocco di colore, con un pastello a olio arancione brillante, è stato applicato su due dei rivetti nell’immagine.

L’immagine misura 24″x17,5″ su carta Arches pressata a caldo 28″x 20″. È stampata in edizione di 100, con 6 prove d’artista. Il lavoro finito, “Black Gold”, ha per riferimento la nostra dipendenza dal petrolio e i danni all’ambiente causati dalla combustione di combustibili fossili.

In questo caso ho usato la mia esperienza e il materiale offerto dal Borowsky Center per spingere al massimo i limiti della stampa tradizionale/digitale. Anche se stampo su un sacchetto di carta marrone tutta sgualcita, cerco sempre di ottenere un lavoro che va al di là di una stampa digitale diretta.

Snowfence
Snowfence, 2007.
© Dorothy Simpson Krause

FB: Una volta hai detto che la manipolazione digitale delle immagini apre le stesse opportunità che i programmi di testo hanno fornito agli scrittori: la possibilità di correggere e modificare il proprio testo senza fine, fino a raggiungere il risultato voluto. Questo significa che nel tuo lavoro parti da un’idea, o se vogliamo un’ispirazione, e inizi a tirarla fuori dalla materia poco a poco, come fa uno sculture scavando nel blocco di marmo? Oppure la serendipità è una componente importante del tuo lavoro, sperimenti lasciando l’immagine evolvere fino a che il caso non gioca la sua parte?

DSK: Io di solito lavoro in serie e ho un’idea di ciò che desidero utilizzare per il contenuto delle immagini e come stamparle, ma la serendipità svolge una parte importante nel mio lavoro con molti “felici incidenti” che portano a risultati interessanti nel lavoro definitivo.

Gate to the dunes
Gate to the dunes, 2007.
© Dorothy Simpson Krause

Ad esempio, Studs è stato stampato su un foglio foglio patinato di rame, inchiodato a un pezzo di compensato da 24 pollici utilizzando la stampante Durst Rho160W letto piano. Poiché la Durst utilizza inchiostro bianco, una “maschera” è stata fatta per stampare zone bianche e gradazioni di colore. Nella stampa finale, il rame è chiaramente visibile quando lo spessore di inchiostro è minimo, mentre in alcune zone il rame è completamente coperto dal colore abbondantemente deposto sullo strato di inchiostro bianco UV. Veri chiodi rafforzati con cera nero e pigmento argento sono piantati nella superficie di stampa di compensato/rame.

Se le cose non funzionano come previsto, ci vernicio sopra o sabbio la superficie del pezzo oppure lo metto via per un altro uso in un altro momento.

 

Field of gold
Field of gold, 2003.
© Dorothy Simpson Krause

FB: Ma torniamo all’uso del computer nell’arte. Un’altra ragione che viene citata per giustificare il rifiuto dell’uso del computer è che è uno strumento asettico, freddo, eccessivamente razionale e astratto. A volte è piacevole recuperare l’aspetto manuale, l’interazione con i materiali. Per esempio nel mio caso scatto e elaboro le foto in digitale, perché la libertà espressiva che ne deriva è ormai per me insostituibile, ma poi stampo buona parte delle mie fotografie utilizzando tecniche antiche. Oltre al risultato finale, il contatto con i materiali mi dona un piacere puramente fisico. Nel tuo caso fai un uso misto di tecnologia avanzata e materiali semplici e umili, sovrapposizione di stampe inkjet con pittura e collage, etc. Questo nasce da un bisogno simile al mio, è puramente legato al risultato formale finale oppure è dovuto ad un’altra esigenza?

DSK: Non è lo strumento, ma come si sceglie di utilizzarlo che crea il risultato finale. Non mi piacciono le piatte qualità delle immagini ottenute stampando direttamente su carta, le possibilità di combinare materiali e processi sono infinite e seducenti.

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1 commento »

  1. Camera Obscura » Vernici per stampe a getto di inchiostro su carta artistica

    ha detto, il 26 Luglio 2008 @ 9:11 PM :

    [...] per esempio Inkaid, una specie di vernice di cui mi ha parlato Dorothy Simpson Krause nella sua intervista e che, almeno così promettono i costruttori, permette di stampare su ogni [...]

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