Moholy Nagy
Fotogramma
© Moholy Nagy

Come punto di partenza per questo nuovo articolo della serie fotografia e verità riprendiamo la definizione data in precedenza, ovvero definiamo fotografia come il prodotto dell’interazione della luce con un materiale sensibile. In questo quinto articolo vedremo come tale definizione porta ad includere naturalmente nella categoria fotografia tutta una serie di fenomeni che, per il senso comune, e per chiunque sia appena appena ragionevole, tutto sono salvo che fotografie.

Visto che siamo in vena di definizioni, diamo subito anche quella di fotosensibile (tratta dal vocabolario), in modo da aver fissi tutti i punti di partenza e procedere in modo rigoroso.

1) Fisicamente, chimicamente, sensibile alla luce;
2) di corpo, sostanza o dispositivo le cui caratteristiche siano modificabili dalla luce o dalle radiazioni;
3) biologicamente, di organismo, che reagisce agli stimoli luminosi.

Messe le carte in tavola veniamo subito al primo esempio. È stagione e già si vedono in giro già da un po’ persone dalla pelle arrossata, quindi parliamo dell’abbronzatura. L’esempio può far sorridere, ma basta pensarci un attimo per rendersi conto che tutti gli ingredienti ci sono. L’interazione con la luce, il materiale fotosensibile. Fra l’altro si parla di fotosensibilità chimica, esattamente la stessa delle fotografie su carta baritata.

Ragazze spiaggia
Quattro “fotografie” in fase di esposizione.
© Rooshv (creative commons)

I responsabili della colorazione della nostra pelle, oltre che a proteggerla, dai raggi UV nocivi per l’organismo, sono delle molecole del gruppo delle melanine, ovvero dei pigmenti delle famiglie dei poliacetileni o delle polianiline che hanno la proprietà di rendere bruni i loro copolimeri. Il meccanismo molecolare preciso dell’abbronzatura è ancora dibattuto dai ricercatori, però Wikipedia ci insegna a grandi linee come funziona la tintarella:

Sembrerebbe trattarsi di un’azione forse mediata dall’ormone melanocita stimolante, dalla vit.D3 o suoi derivati. Tale azione è in grado di stimolare la tirosinasi la quale converte poi il substrato iniziale, la tirosina, in dopa e poi in dopachinone. Segue, a cascata, una serie di reazioni ossidative, alcune delle quali potrebbero essere sotto controllo enzimatico, che porta alla produzione dapprima di chinoni e da ultimo, alla sintesi dei polimeri terminali deputati alla pigmentazione cutanea: eumelanina e feomelanina.

Azioni ossidative, che fanno subito pensare a tutte le tecniche di stampa ai sali ferrici, quali van dyke brown, cyanotipo, palladio e platinotipia, tutte tecniche che sfruttano il principio di ossido riduzione, proprio come la tintarella. La stampa al platino, fra l’altro, è una delle tecniche preferite dagli ortodossi della camera oscura, una di quelle considerate “più pure”. Beh, una bella ragazza abbronzata ha, dal punto di vista fotografico, la stessa purezza ontologica di una stampa al platino.

Gli scettici che si stanno agitando sulla loro sedia a causa di tali paragoni poco ortodossi, si chiederanno magari dov’è all’ora il negativo, senza pensare che, a meno la bella ragazza di cui stiamo parlando non sia nudista, al mare si va in genere col costume da bagno addosso.




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