Mario Stellatelli
© Mario Stellatelli

Limitarsi unicamente all’interazione con la luce però pone i suoi problemi, e anche grossi. Di fatto, seguendo un minimo di logica e portando avanti il discorso in modo analogo, significa per esempio che tutte le fotografie virate non sono fotografie. Il viraggio è una pura e semplice reazione chimica, dove la luce non ha assolutamente niente a che vedere. Del resto si può virare una fotografia su carta baritata anche anni dopo averla fissata e asciugata. Si tratta semplicemente di una reazione chimica fra i sali che costituiscono l’immagine e quelli nella soluzione di viraggio, la luce non ha la minima funzione in questo caso. Le fotogafie che sono state virate allora, seguendo la definizione, non sono più fotografie, ma “altro”. Questo è problematico, perché la stragrande maggioranza delle fotografie analogiche del secolo scorso destinate ad essere esposte nei musei hanno subito almeno un leggero bagno di viraggio al selenio per fini protettivi, visto che questo migliora sensibilmente la stabilità dell’immagine e la sua resistenza all’ossidazione.

Robert Schramm
Viraggio all’uranio
© Robert Schramm

Altri viraggi comunemente praticati, soprattutto durante il primo secolo di storia della fotografia, sono quelli all’oro e al platino, decisamente più costosi di quelli al selenio, ma ancora più stabili dal punto di vista della conservazione. Oltre a questi, sempre durante gli anni dei pionieri dell’immagine fotografica, molti altri viraggi -tanto per fini espressivi che per conservazione- erano diffusissimi e estremamente vari: al piombo, al rame, al ferro, vari ossalati e citrati, persino all’uranio, per ottenere tutte le possibili tonalità, dal seppia, al rosso, al verde, il blu. I viraggi poi possono essere combinati e localizzati per trasformare immagini in bianco e nero in magnifiche e finissime stampe a colori, come dimostrano ad esempio gli splendidi lavori del maestro dei viraggi selettivi: Mario Stellatelli.

Ebbene, tutte queste immagini, la maggior parte delle stampe analogiche esposte nei musei di fotografie e la maggior parte delle fotografie antiche allora non sono fotografie, visto che non sono il prodotto unicamente dell’interazione fra luce e materiale sensibile. Non sono foto allora quelle dei fratelli Alinari, le albumine di Atget, le fotografie di Julia Margaret Cameron, i paesaggi di Ansel Adams. Ancora una volta però, se sopprimiamo quell’unicamente, sono foto anche i quadri ispirati da fotografie, se lo teniamo siamo costretti a considerare non-fotografiche la maggior parte delle stampe che sono sotto i nostri occhi.

François Delandre
© François Delandre

Ma non è finita qui, non è solo sul viraggio che siamo obbligati a puntare il dito. La procedura di stampa della carta al bromuro di argento, per intendersi la procedura di stampa usata probabilmente per almeno il 99,99% delle stampe dagli anni cinquanta del secolo scorso fino all’avvento del digitale, è nota a chiunque abbia praticato un minimo di camera oscura: si espone la fotografia all’ingranditore, la luce sensibilizza i sali presenti nella carta, creando un’immagine latente. La carta viene prima passata in un bagno di sviluppo, i cristalli eccitati dai fotoni reagiscono producendo argento metallico, mentre quelli che non sono stati eccitati rimangono sensibili ma non anneriscono, se si accende la luce si perde quindi la stampa. È necessario allora, dopo un bagno per arrestare l’azione dello sviluppo, procedere al fissaggio, ovvero immergere la stampa in una soluzione che rimuove i sali ancora sensibili presenti nella stampa. A questo punto si può accendere la luce e inizia il lavaggio.

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