Giacomo Costa
© Giacomo Costa

Fabiano Busdraghi: Questo tuo uscire dalla sincronicità della fotografia pura, l’inquadratura virtuale come la chiami giustamente, ha anche le sue conseguenze teoriche importanti.

Costruire l’immagine come una moltitudine di frammenti che assemblati ricostruisco il tutto, che impatto ha sulla visione del mondo?

Giacomo Costa: Certamente la mia visione della fotografia adesso è più vicina alla pittura che alla fotografia vera e propria.

Nelle mie immagini cerco di creare una visione emozionale del mondo non documentaristica. La fotografia è, come dicevo prima, un mezzo straordinario per la sua immediatezza di lettura e anche per un senso di verità quasi intrinseca che si porta dentro.

Giacomo Costa
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Il fotomontaggio, anche storicamente, è sempre stato un punto di forza perché lo spettatore è portato, nel dubbio, a dare ragione al lato veritiero della fotografia, in tal modo è sempre stato possibile ingannare e mentire! A me questo aspetto serve per poter comporre l’immagine al fine di testimoniare un mio pensiero in chiave metaforica pur conservando un senso di spaesamento che deriva proprio dal fatto che al primo sguardo lo spettatore tende a cercare di contestualizzare l’immagine anche quando questa è estremamente irreale. Così si resta per un attimo fortemente turbati e coinvolti.

Da questo derivo la mia visione di comunicazione emozionale che solo con un mezzo fotografico sarebbe possibile.

 

Giacomo Costa
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Fabiano Busdraghi: Per ottenere le tue immagini combinando a mano vari elementi eterogenei è necessario tantissimo lavoro e tantissimo tempo. Nell’arte, soprattutto contemporanea, la complessità della tecnica è di solito messa in secondo piano rispetto al risultato finale. Da sempre invece la fotografia si è in qualche modo confrontata con le difficoltà di realizzazione e la complessità tecnica. Immagini ottenute tramite procedimenti lunghi e difficili sembrano spesso avere un valore aggiunto. Lunghe manipolazioni ottenute in camera oscura venivano esposte con orgoglio. Oggi quando in pochi secondi è possibile ottenere lo stesso risultato con un filtro di Photoshop nessuno pensa più di proporre quel tipo di stampe come opere d’arte.

Nel tuo caso, sei interessato unicamente al risultato finale, e passare per il collage è l’unico modo possibile per ottenerlo? Oppure nel processo di collage trovi una tua estetica personale, una sua motivazione intrinseca? Il fatto che sia necessaria una componente manuale, anche se filtrata dall’informatica, modifica in qualche modo il valore dell’opera?

Giacomo Costa

Giacomo Costa: Intanto sfaterei il mito della rapidità dell’elettronica! Le mie immagini di adesso, quelle interamente fatte in 3d, richiedono mediamente un mese di lavoro mentre impiegherei pochi secondi se potessi trovare nella realtà un soggetto del genere.

Il procedimento di costruzione virtuale è complessissimo anche perché, a differenza della pittura, prima costruisco un’intera città e poi, come un vero fotografo, cerco l’inquadratura, il tipo di pellicola, l’esposizione e quant’altro. Così facendo a priori non so quale sarà l’inquadratura finale e quindi sono costretto a disegnare con dovizia estrema di particolari anche ciò che magari alla fine è un minuscolo puntino all’orizzonte.

Questo procedimento potenzialmente dilata il tempo all’infinito.

Giacomo Costa
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Il linguaggio che utilizzo è quindi parte fondamentale del risultato finale, è la mia personalissima cifra, il mio stile. Le mie città non hanno un loro significato intrinseco dal momento che non esistono, ma sono figlie del linguaggio e del pensiero metaforico che ci sta dietro. Il cesellare ogni singolo dettaglio per renderlo verosimile, il concentrarmi su minuscole zone dell’immagine ed intervenirci più e più volte crea in me un feeling estremo con l’immagine, mi fa vivere un’esperienza che forse chi fa velieri nelle bottiglie forse può comprendere. Forse anche chi fa ricamo all’uncinetto…chissà!

Comunque è necessario per me perché alla fine mi fa immedesimare in quella città che alla fine conosco meglio di quella vera in cui vivo e questo mi permette poi di poterla fotografare (seppur virtualmente) esattamente come farei se fossi un vero fotografo e dovessi fotografare una vera città.

 

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