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4 Comments »

  1. Fabiano Busdraghi

    said, May 29, 2008 @ 2:36 PM :

    Oggi leggendo il blog di Massimo Cristaldi ho trovato un articolo Tutti uguali? che mi ricorda molto il tema trattato in questo. Massimo si rifà ad un altro divertente articolo We Are Independant, Yet We Are Somehow The Same di Chase Jarvis.

    Sembra quindi che non sia l’unico a rendersi conto che alla fine, gira e rigira, sembra sempre di vedere foto tutte uguali. Anzi, la cosa divertente è che non solo scattiamo tutti la stessa immagine, ma scriviamo nei blog anche le stesse cose!

  2. Massimo Cristaldi

    said, May 29, 2008 @ 2:58 PM :

    Non avevo letto questo tuo articolo e quindi la cosa è effettivamente ANCORA più inquietante!!! :-) Forse ha ragione Chase con l’idea della “social fabric”. Forse questo è quanto spinge fotografi come Francesco Zizola a cercare posti “nuovi” e complessi e a trovarsi, al ritorno, molto più shockati della nostra realtà che da quella, fatta di guerre e situazioni difficili che lui generalmente ritrae…. (parole sue, durante il suo ultimo workshop a Milano).

  3. Fabiano Busdraghi

    said, May 29, 2008 @ 4:15 PM :

    Il problema è che sembra che viviamo un mondo ad omologazione infinita. Ieri stavo facendo un test photoshop per un’azienda che si occupa di moda e sfogliando qualche rivista che c’era in giro non potevo non stupirmi di come le foto mi sembrassero veramente tutte uguali.

    Come fare? Dov’è la soluzione allora? Secondo me ha proprio ragione Chase Jarvis. Bisogna abituarsi all’idea che altra gente ha le nostre stesse idee, che a volta tocca buttar via un lavoro iniziato perché qualcuno c’è arrivato prima e l’ha pure realizzato meglio di quelloc he avremmo fatto. Che le idee contano poco, le idee realizzate sono tante. Se poi rimaiamo comunque in una massa pazienza, l’importante è fare bei lavori. Se poi un giorno avremo un colpo di genio tanto meglio, altrimenti pazienza, avremo comunque fatto qualcosa di interessante.

    Per quanto riguarda lo shock della propria cultura poi è una cosa che capisco bene. Io, nel mio piccolo, ogni volta che torno in Italia da Parigi mi sento shockato, figurati quando torni dall’Iraq. La cosa poi mi fa pensare ai commenti di tanti amici che hanno passato un anno intero in Antartide. Gli chiedi:

    -Allora, è dura?

    -No, quello che è duro è riabituarsi al mondo di qua quando torni a casa.

    Io un anno in Antartide non l’ho mai passato, ma quando son tornato a casa dopo qualche mese quella sensazione cui accenna chi ha svernato l’ho intuita benissimo.
    ciao ciao
    f

  4. Massimo Cristaldi

    said, May 29, 2008 @ 11:10 PM :

    I soggetti sono davvero importanti. Scegliere dove puntare la macchina o quale set, stage, costruire è importante. Io, che ho una passione per i momenti decisivi, ogni tanto mi lascio andare a qualche rudimentale tentativo di “stage”. Seguendo un concetto o un’idea che ho dentro e che non potrei ottenere andando in giro con la macchina al collo. Ma, essendo come te un “onnivoro” sono anche un “esagerato” e spazio dentro forse troppi generi e attrazioni che (forse) mal si addicono a chi dovrebbe costruire, in modo “commerciale” (anche per eventuali galleristi) un set di immagini convincenti. E torniamo al vecchio adagio…. Se si fotografa per se stessi seguendo le proprie emozioni si è contenti ma solo in certi casi si è “premiati”….

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