Il concetto accompagnato dall’estetica

Ken Kitano
© Ken Kitano

Innanzitutto mi è rimasto piacevolmente impresso l’alto contenuto estetico delle foto. C’è poco da dire, la maggior parte delle opere presentate sono proprio belle, nel senso che starebbero bene appese al muro in una grande casa moderna, un bel loft spazioso e luminoso. Insomma, sono foto decorative, e lo dico senza il minimo disprezzo. “Questa l’attaccherei in casa mia” è un buon metro di giudizio quando si tratta della qualità artistica di un’opera.

In minoranza invece le foto puramente concettuali, o le foto esteticamente orribili ma che si vendono in galleria perché accompagnate da qualche statement delirante di arte e filosofia. Fanno eccezione pochissime foto degli anni 70, che riproducevano quegli atti artistici e incomprensibili così cari a certa arte contemporanea. Delle foto di oggi invece veramente poche erano private della ricerca formale. Anche le foto più oggettive e frette, in genere tradivano un preciso intento estetico, magari non incontro al senso comune, ma pur sempre presente.

Questo è un punto che mi fa particolarmente piacere, visto che spesso mi batto contro la concettualizzazione pura delle fotografie, e delle opere artistiche in generale, al discapito di ogni altro aspetto e contenuto. Di fatto bisogna costatare che oggi, chi vende in gallerie di così alto livello, accompagna il contenuto alla forma. Certo tutte saranno concepite all’interno di un progetto ben determinato e tutte sono accompagnate da un preciso statement artistico, ma c’è poco da fare, tutte le gallerie esponevano il lavoro senza nessun riferimento scritto che permettesse di interpretarlo o conoscere le intenzioni degli artisti, quindi un eventuale acquisto è sicuramente influenzato dal primo impatto visivo.

Innovazione e imitazione

Vincenzo Castella
© Vincenzo Castella

Un secondo punto notevole è la presenza incredibilmente alta di lavori che si assomigliano fra di loro, tanto a volte da sembrare dei plagi. Certo ci sono le mode e le scuole, come quella di Dusseldorf o quella finlandese, però in certi casi l’analogia è veramente sorprendente. Ne avevo già parlato nell’articolo l’ironia del nuovo, fra tradizione e innovazione, ma ancora una volta ho avuto tutto un nuovo campionario di fotografi che fanno esattamente la stessa cosa e espongono e vendono in gallerie senza farsi troppi problemi se qualcosa di veramente simile è già stato fatto da terzi. Non mi piace denigrare il lavoro altrui, quindi non voglio fare troppi nomi, ma solo denieare alcune tendenze ricorsive. Perlomeno per tenerle bene a mente come campi di ricerca troppo affollati, meglio dedicarsi ad altro.

Olivo Barbieri
© Olivo Barbieri

È inevitabile quindi scuotere la testa quando si vedono 5 o 6 fotografi fare le stesse vedute di città secondo lo stile, tanto per citarne uno, di Vincenzo Castella: stessa prospettiva a volo d’uccello, stessi giorni grigiastri, stesso uso del banco ottico, stessa leggera sovrapposizione, etc. O ancora uno stuolo di emuli di foto all’Olivo Barbieri, tutti a sfocare le foto in modo che sembrano modellini, tutte immancabilmente uguali, del resto, non è poi così difficile farle. O le già citate fotografie del mare alla Franco Fontana e Hiroshi Sugimoto, le fotografie di splendide fanciulle che fingono di esser morte tipo Izima Kaoru, o gli scatti di Maria Antonietta Mameli che mi hanno ricordato molto gli l’universo di Mohammadreza Mirzaei (a cui ho anche fatto un’intervista per Camera Obscura).

Addirittura in un caso, per ironia della sorte, due lavori uguali erano presentati in due diverse gallerie disposte proprio una di fronte all’altra: Sex di Atta Kim e Coït di Frédéric Delangle. Lavori peraltro molto belli, ma talmente simili e vicini fra di loro, tanto nella realizzazione che spazialmente a Paris Photo, che mi sono sentito un po’ in imbarazzo per i galleristi e gli autori.

Per fortuna le somiglianze a volte sono limitate e vibrano all’interno di differenze sia concettuali che di intenti, rendendo le analogie una contingenza accettabile. Credo che la lezione da trarne è che alla fine fare qualcosa di veramente nuovo e cui nessuno abbia mai pensato è veramente difficile e anche “i grandi” non sono esenti da un’impressione continua di somiglianza. Nonostante questo vale la pena continuare a fotografare, a cercare quello che è il proprio senso delle cose, la propria bellezza, il proprio mondo personale. In questo modo, anche se le fotografie avranno punti in comune con quelle di altri, resteranno sempre le proprie fotografie, e per questo uniche.

Un mondo senza sesso?

A proposito poi di sesso, i due lavori sopracitati erano praticamente gli unici a contenuto sessuale, dove comunque la pornografia è completamente assente. Al contrario, si tratta proprio di fotografie che, tramite gli stratagemmi della posa lunga per l’uno e della sovrapposizione di immagini per l’altro, voglio rappresentare il sesso senza niente rappresentare. Certo erano presenti alcune foto porno del buon vecchio Araki, ma ad esempio Witkin quest’anno ha presentato immagini estremamente soft e caste per i suoi standard. Rispetto a Paris photo 2007 mancavano le foto di Andres Serrano e altre a contenuto esplicito di altri autori che avevo visto, foto che comunque, anche a Paris Photo 2007, erano sempre in scarso numero.

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