Fotografia e verità 4: le non-foto inkjet e le foto-vere di Chuck Close
L’analogia con la stampa inkjet non potrebbe essere più completa, senza contare che fra le varie griglie usate da Cuck Close ci sono pure le griglie CMYK, esattamente le stesse delle stampanti a getto d’inchiostro. L’unica differenza è la velocità, ma dal punto di vista concettuale i 5 minuti necessari a una stampante desktop e i mesi necessari al pittore non fanno alcuna differenza. In entrambi i casi un colore viene applicato su un supporto, ricalcando una fotografia originale. Questa è interpretata tanto dal pittore, che sceglie il colore ad olio appropriato, quanto dal driver di stampa, che cerca di trasformare nel modo migliore un file RGB in uno CMYK, e la dimostrazione più lampante è l’esistenza dei profili ICC di stampa.
A rigor di logica quindi, se si vuole dire che le stampe inkjet sono fotografie allora anche i quadri di questo pittore lo sono. Ma questa è una difficoltà per chi è di vedute più lasche rispetto ai talebani della camera oscura, per loro inkjet non è fotografia quindi il problema dei quadri non si pone. Anche i grandi fautori della fotografia pura però hanno le loro magagne da risolvere.
Prima difficoltà: la maggior parte delle persone che entrano in una galleria o in un museo e vedono appesa alle pareti delle stampa a getto di inchiostro però le identificano immediatamente come fotografie. Magari è perché sono ignoranti e non sanno cosa sia una gomma bicromata, un kallitype o un’albumina, però difatto, per il 99% della popolazione mondiale, e per la stragrande maggioranza anche dei fotografi, le stampe inkjet sono delle fotografie.
Questo perché le stampe a getto d’inchiostro condividono le caratteristiche fondamentali citate negli articoli precedenti, primo fra tutti l’estrema somiglianza con il reale. Per una definizione che ricalchi il senso comune sembrerebbe quindi necessario non utilizzare un’unica proprietà fondamentale, quella dell’interazione fra luce e materiale sensibile, ma ricorrere anche ad altre proprietà. Il che rende le cose complicate, perché si entra in una marea di distinguo. È facile infatti trovare esempi di fotografie “pure” (nel senso prodotte esclusivamente dall’interazione della luce con un materiale sensibile) che non assomigliano nel senso iconico a fotografie, le stesse gomme bicromate per chi non ha esperienza di tecniche antiche di stampa sono quadri e non fotografie. Il che rende opinabile la dicitura “fondamentale” per questa seconda proprietà. Si dovrebbe dire, insomma, che in certi casi la fotografia ha certe proprietà, in altri meno, in altri quella proprietà li non ce l’ha per niente… e via dicendo. E tutto questo puzza parecchio, le definizioni non possono essere un elenco di casi particolari, eccezioni e classifiche particolari.
Questo è un secondo campanello d’allarme che indica che trovare una definizione unica e coerente è estremamente difficile. La necessità di ricorrere a una moltitudine di definizioni non sempre valide verrà comunque discussa con maggior dettaglio in futuro, per il momento limitiamoci alle stampe inkjet, citando due prime difficoltà: secondo la definizione dell’interazione con la luce non sono fotografie ma molti le percepiscono come tali, il che renderebbe necessario l’uso di una moltitudine di definizioni particolari.
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Mirko
said, 9 May 2008 @ 1:32 PM :
L’idea che mi sono fatto è che, come esseri umani, tendiamo naturalmente a cercare definizioni di una data cosa nel tentativo di comprenderla meglio. Ovvero, se sono in grado di definire X, vuol dire che conosco X abbastanza da poterlo descrivere a parole. Ora, se questa naturale tendenza è in genere un atteggiamento positivo, esistono casi in cui essa diventa negativo.
Un esempio classico è quello della definizione di fotografia, in cui entrano in gioco i diversi significati che, come dicevi, la parola ha assunto nel corso del tempo (al punto che oggi usiamo indifferentemente il termine “fotografia” per una stampa tipografica su un giornale, così come per il ritratto su una patente plastificata). Altro esempio e’ quello della definizione di “Street Photography”.
In generale, credo che cercare di definire una attività umana è un tentativo pericoloso di riassumere in pochi termini una produzione sterminata, ovvero si rischia che la definizione tenda ad identificarsi con la cosa stessa che si vuole definire. Se la cosa che si vuole definire è particolarmente complessa, la definizione perde la sua qualità di “sintesi” e diventa non solo inutile ma pericolosa perché necessita di operare delle semplificazioni eccessive.
Per questo diffido di chi ritiene di disporre della definizione di “Fotografia” o “Fotografia di Strada” e così via dicendo.
Fabiano Busdraghi
said, 9 May 2008 @ 1:58 PM :
Ciao Mirko,
Innanzi tutto sono contento che anche tu sia avverso alle definizioni. Sebbene naturalmente non siamo le uniche due persone sulla terra vedo difendere con grande accanimento quello che, a vista di molti, dovrebbe essere l’unico possibile ambito fotografico.
Questi articoli sono il mio contributo per cercare di andare di là a queste sterili categorizzazioni. Probabilmente per te non saranno utili, visto che sei già arrivato indipendentemente alle mie stesse conclusioni. Spero però che serva per smuovere un po’ gli eserciti di fotoamatori che continuano a dire cosa sia e cosa non sia una foto. E magari anche a mettere una qualche pulce nell’orecchio a qualche grande fotografo che la pensa in questo modo, visto che gli esempi illustri purtroppo non mancano.
Per concludere devo dire che hai ragione, è una naturale tendenza umana, quella di voler mettere i picchetti a quello che ci sta intorno. Da parte mia però sono allergico a tutti i dogmi, le regole, le religioni, i pregiudizi e gli atteggiamenti conservatori. Lo so che è più difficile vivere senza linee guida, ma aver il coraggio e la forza di rinunciare alle definizioni è, a mio vedere, un passo fondamentale.
Grazie del tuo contributo
Fabiano