Reuters Gaza

Proprio l’altro giorno, a proposito della presenza della fotografia nel documentario di Hu Jie, ho accennato a quella che da Colberg viene efficacemente chiamata “la pornografia della guerra”, ovvero -secondo l’autore dell’espressione- il fatto che le immagini della guerra vengono mostrate nei paesi occidentalizzati non tanto per documentare la storia o sensibilizzare l’opinione pubblica verso il pacifismo, ma per alimentare un desiderio morboso che si soddisfa nella manifestazione della sofferenza altrui.

È un tema complesso, difficile da discutere e su cui non si può dire l’ultima parola. Personalmente però non sono per niente d’accordo con questo modo di concepire la fotografia di guerra. Per quanto riguarda l’efficacia delle fotografie -anche se so che un fotografo da solo non può cambiare il mondo e creda che fino a che esisteranno gli uomini e il potere esisteranno anche la guerra e gli omicidi- per quanto riguarda l’efficacia delle fotografie dicevo, basta citare la guerra del Vietnam, durante la quale mi sembra innegabile che alcune -terribili- conosciutissime fotografie del conflitto abbiano contribuito alla nascita e diffusione del movimento pacifista negli USA, movimento che ha comunque avuto un peso nella rinuncia americana a continuare la guerra nel Vietnam. È vero che democrazia, come libertà, è ormai una parola vuota e sbeffeggiata, spogliata della maggior parte dei suoi significati originali e utilizzata per giustificare le peggiori pratiche capitaliste, neoliberiste e -addirittura- di un tipo di fascismo da dittatura molle, o dittatura del divertimento come è stata chiamata. Però è innegabile che viviamo comunque in dei paesi ancora vagamente democratici, e il consenso dell’opinione pubblica ha ancora un peso.

Afp
© AFP

Parlo di tutto questo perché oggi su Fotografia e Informazione è stato pubblicato l’articolo I bambini di Gaza e le fotografie da pubblicare, a proposito appunto dell’opportunità di pubblicare o meno immagini esplicite della guerra, in particolare quella di una bambina uccisa durante i recenti bombardamenti della striscia di Gaza. L’articolo vale la lettura, se non altro per la lista bibliografica che propone sul difficile tema in questione, ma soprattutto vale la pena leggere l’articolo su repubblica di Adriano Sofri che è alla base dell’articolo appena citato: Il sacrificio dei bambini. Lettura veramente obbligata, e invito tutti a farlo prima di intraprendere una qualunque forma di discussione o commento a questo mio contributo.

L’articolo di Sofri mi vede perfettamente d’accordo, e ne apprezzo inifinitamente la lucidità, chiarezza, e voglia di dire tutte quelle parole che troppo spesso muoiono in gola. Ne citerò solo un frammento, che riassume in modo esemplare il mio modo di vedere, perché pensi anche io che queste fotografie vadano scattate e vadano viste da tutti noi, perché la vita da struzzi è una non vita. Qualunque altra cosa possa aggiungere rispetto a quanto ha già scritto Sofri sarebbe solo ridondante.

Le redazioni dei giornali le accumulano, e si chiedono se metterle in pagina o no, e come. La risposta è facile quando l’esitazione è legata alla crudezza eccessiva, che può ferire lo spettatore. Ma già il verbo “ferire”, impiegato nel suo senso traslato in un contesto simile, fa vergognare di averlo pronunciato. Siano pure feriti, gli occhi distratti e illesi degli spettatori: l’eccesso di crudezza non è dei fotogrammi, ma della realtà. Alla realtà si può scegliere di aprire o chiudere gli occhi, chi abbia la provvisoria fortuna di starne alla larga: ma vedere è una condizione per decidere meglio come destinare la propria voce pubblica, o la propria privata preghiera, o anche solo il proprio pianto.


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8 commenti »

  1. Giovanni B.

    ha detto, il 21 Gennaio 2009 @ 12:06 PM :

    Ciao Fabiano,
    su questo tema, che riassumo nell’etichetta “etica e fotogiornalismo”, sto “discutendo” a distanza da un po’ anche con Sandro Iovine (vedi, ad esempio, 1, 2, 3). Io condivido le posizioni da te qui esposte, Sandro Iovine ne mette in evidenza l’ulteriore, perfido utilizzo delle fotografie come opere d’arte… Insomma, il dibattito è apertissimo, e in realtà è aperto almeno da quando è nato il fotogiornalismo. Ma parlarne, e discuterne anche da posizioni differenti, non può che stimolarci ad approfondire ulteriormente questo argomento.

    Ciao
    Giovanni B.

  2. Claudio

    ha detto, il 21 Gennaio 2009 @ 1:17 PM :

    Uff, purtroppo ieri non ho comprato il giornale, peccato perché tutte le volte che ho sentito o letto Adriano Sofri esprimere un proprio punto di vista, al di là del fatto che lo condividessi o meno, ne sono sempre rimasto affascinato. Peccato, anche perché questo dibattito sta prendendo sempre più piede, specialmente con i bombardamenti di Gaza, e non solo in Italia. Tant’è che ancora devo capire se è un problema della fotografia o dell’editoria, non ho ancora le idee chiare a riguardo e il punto di Sofri avrebbe sicuramente potuto mettere un po’ d’ordine. Vedrò di recuperarlo in qualche modo… Ma perché Repubblica Online è piena di tette e culi e una volta che c’è qualcosa di interessante invece lo lascia solo al cartaceo?
    Claudio

  3. Fabiano Busdraghi

    ha detto, il 21 Gennaio 2009 @ 1:44 PM :

    Claudio, sono d’accordo con te in linea di massima sul valore di repubblica.it ma per una volta non è così. Se nell’articolo clicchi su “il sacrificio dei bambini” potrai leggere l’articolo di Sofri.

    Giovanni, avevo letto sul tuo blog le “battute e risposte” con Sandro Iovine e mi riproponevo di commentare. Adesso che ho scritto questo pezzo non ho più scuse e lo farò di sicuro.

  4. Claudio

    ha detto, il 21 Gennaio 2009 @ 2:46 PM :

    Ok, avevo capito una cosa per un’altra e non mi ero accorto del link, grazie.
    E continuo a chiedermi se il problema sia editoriale o fotografico…
    Claudio

  5. Fabiano Busdraghi

    ha detto, il 21 Gennaio 2009 @ 2:53 PM :

    Cioè? In che senso “editoriale o fotografico”? Non capisco se ti riferisci alla situazione o se stai parlando astrattamente…

  6. Claudio

    ha detto, il 21 Gennaio 2009 @ 3:47 PM :

    Non sto ad aggiungere altre note ridondanti sul problema dell’etica e della speculazione della sofferenza perché risulterebbero appunto ridondanti. Quello che intendo per problema editoriale è nella scelta di cosa pubblicare e cosa no. Il NYT che apre con una foto alla Déjeuner sur l’herbe fa scandalizzare la Sanguinetti, e mi sembra giusto. Non è la foto in sé ad essere brutta, scadente o altro, è l’associazione di quella foto ad un evento, è il supporre che quella foto sia descrittiva di un conflitto. Questo poi non è neanche riparare i nostri fragili occhi, questa è una mera operazione politica, per dirla tutta. Se da una parte c’è il fotografo che, supposto in buona fede (ma non ci giurerei) crea il documento, poi c’è la necessità di mostrare il documento, e questa operazione è molto delicata, rischiosissima, perché come tu mi insegni la fotografia non è necessariamente una fedele riproduzione della realtà, e se si associa questo ruolo a fotografie che non ne possono essere investite, a parer mio si vanifica tutto.
    Claudio

  7. Beppe Merella

    ha detto, il 22 Gennaio 2009 @ 11:13 AM :

    Salve, l’argomento in oggetto mi sta particolarmente a cuore e mi permetto di fare alcune considerazioni che probabilmente poco aggiungeranno ad un articolo di per sè già incisivo. Da tempo ormai desidero diventare fotografo di guerra (o meglio, parafrasando Terzani, ‘fotografo di guerra e di disastri’) e impiego le mie ferie per battere territori feroci e stremati, cercando di raccontarli come meglio posso. Molte volte mi sono interrogato sul senso di questa vocazione e su un’etica che potesse sospingermi in quello che facevo, tuttavia non ne sono mai venuto a capo. Ho trovato un lieve conforto nella lettura della biografia di McCullin, il quale sostanzialmente osserva come nella fotografia di guerra certe contraddizioni non si risolvano, anzi si allarghino in ferite ulteriori che negli anni son voragini di spettri. Ognuno di noi, protetto dall’obiettivo, avverte di compiere una violazione nel documentare un dolore che dovrebbe essere intimo, privato. La speranza è tuttavia che quello scatto esporti un orrore, nel convincimento che si possa ferire qualcuno fino a quel momento in disparte, spesso complice inconsapevole della violenza documentata. Il problema è che il fotografo stesso raramente è innocente di fronte a tutto questo, perchè generalmente proviene dalla stessa realtà culturale a cui indirizza il proprio lavoro. Questo dal punto di vista personale. Dal punto di vista editoriale io credo fermamente nella necessità di impiegare tutta la documentazione disponibile per raccontare un evento, la fotografia di fatto supera certi editoriali pelosi e infligge al lettore un impatto diretto e violento. Quell’immagine non servirà a raccontarci approfonditamente un conflitto come potrebbero fare una serie di letture mirate, ma saprà almeno trafiggerci di una parte di quel sopruso, accendere un nostro interesse, sradicarci nella nostra coscienza, farci sentire offesi. La fotografia, informazione a volte primitiva, ha il vantaggio di agire a livello epidermico prima, viscerale poi. Forse se oggi non riusciamo ad addolorarci della strage dei Nativi Americani o degli Armeni nella stessa misura in cui ci addoloriamo per l’Olocausto è anche perchè mancano testimonianze visive di quelle aberrazioni (anche se a riguardo si potrebbe anche aprire una discussione circa i vari livelli di ‘appeal’ di una guerra, spesso legati alla misura in cui quella guerra si ripercuote sui nostri interessi, vedi il caso della Cecenia e del Caucaso in generale). Spero di leggere ulteriori contributi significativi su questo tema e ringrazio Fabiano per aver aperto questa discussione in termini fecondi e non retorici.
    Beppe

  8. Giovanni B.

    ha detto, il 23 Gennaio 2009 @ 5:49 PM :

    Per Claudio: quello sollevato da Sofri è un problema “editoriale”, relativo cioè alla scelta se pubblicare -o meno- un’immagine;; problema che ha a monte un problema “fotografico”, ovvero se sia opportuno riprendere alcune scene. Iovine poi, partendo dal problema “fotografico”, ne affronta anche quello relativo ad un “uso” diverso da quello informativo (sto sintetizzando in modo estremo i concetti).
    Per Fabiano: grazie, attendo di conoscere le tue posizioni. Sono curioso.

    Buon we a tutti
    Giovanni B.

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