Commenti a: Autour de l’Extrême alla MEP e i dolorosi autoritratti di David Nebreda /it/2011/extreme-david-nebreda/ A blog/magazine dedicated to photography and contemporary art Wed, 07 Mar 2012 01:16:59 +0000 hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.3.1 Di: sandro /it/2011/extreme-david-nebreda/comment-page-1/#comment-3598 sandro Mon, 14 Feb 2011 16:50:42 +0000 /?p=4354#comment-3598 Grazie della lunga e precisa risposta di analisi. Ti ringrazio davvero e rileggendo il mio commento, mi ritrovo spiazzato, forse perché mi sono lasciato trascinare dall'impatto emotivo delle immagini. Ho avuto una reazione impulsiva e quindi sincera, per quello che conta, ma razionalmente adesso posso rispondere in maniera diversa, più riflessiva. Mi sono andato a riguardare le opere di Witkin e qualche artista della body art, che comunque apprezzo e considero geniali pur se lontanissimi da me. Quello che mi incuriosisce, a parte la questione estetica è proprio l'aspetto della ricerca. Questo approccio essenziale e primitivo è ciò che mi fa riflettere e rende l'opera realmente interessante. Anche spogliandolo degli elementi più truci, fatico, come hai giustamente notato anche tu, a trovare quel senso che giustifichi e renda più concreta questa "ricerca". Non vorrei che si esaurisse in un ritratto "compiaciuto" della follia, anch'esso folle e dipinto con strumenti folli, penso che se il fotografo non riesce a dare una "conclusione" al suo lavoro, allora tocca a noi, portatori sani di raziocinio, di tirare qualche filo. Forse il punto è proprio cercare la radice del male, della follia, estirpando tutte le distrazioni che una mente equilibrata può addurre e ridurre quindi all'osso, con un'estremizzazione forse anche eccessiva e ossessiva, la ricerca, o meglio quella strada per giungere alla soluzione, che forse è capire sè stessi. Penso che il senso e il cuore del suo lavoro consista proprio in tutta la sua specificità e che Nebreda voglia in fondo raccontare una condizione assoluta dell'uomo parlando e partendo dalla massima specificità, quella sua personale spinta all'estremo. Solo così riesco a spiegarmela. E' come un'autoflagellazione che trova senso nella meta, quasi un sacrificio che porta con sè un qualcosa di "divino". Grazie della lunga e precisa risposta di analisi. Ti ringrazio davvero e rileggendo il mio commento, mi ritrovo spiazzato, forse perché mi sono lasciato trascinare dall’impatto emotivo delle immagini. Ho avuto una reazione impulsiva e quindi sincera, per quello che conta, ma razionalmente adesso posso rispondere in maniera diversa, più riflessiva.
Mi sono andato a riguardare le opere di Witkin e qualche artista della body art, che comunque apprezzo e considero geniali pur se lontanissimi da me. Quello che mi incuriosisce, a parte la questione estetica è proprio l’aspetto della ricerca. Questo approccio essenziale e primitivo è ciò che mi fa riflettere e rende l’opera realmente interessante. Anche spogliandolo degli elementi più truci, fatico, come hai giustamente notato anche tu, a trovare quel senso che giustifichi e renda più concreta questa “ricerca”.
Non vorrei che si esaurisse in un ritratto “compiaciuto” della follia, anch’esso folle e dipinto con strumenti folli, penso che se il fotografo non riesce a dare una “conclusione” al suo lavoro, allora tocca a noi, portatori sani di raziocinio, di tirare qualche filo.
Forse il punto è proprio cercare la radice del male, della follia, estirpando tutte le distrazioni che una mente equilibrata può addurre e ridurre quindi all’osso, con un’estremizzazione forse anche eccessiva e ossessiva, la ricerca, o meglio quella strada per giungere alla soluzione, che forse è capire sè stessi.
Penso che il senso e il cuore del suo lavoro consista proprio in tutta la sua specificità e che Nebreda voglia in fondo raccontare una condizione assoluta dell’uomo parlando e partendo dalla massima specificità, quella sua personale spinta all’estremo. Solo così riesco a spiegarmela. E’ come un’autoflagellazione che trova senso nella meta, quasi un sacrificio che porta con sè un qualcosa di “divino”.

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Di: Fabiano Busdraghi /it/2011/extreme-david-nebreda/comment-page-1/#comment-3577 Fabiano Busdraghi Thu, 10 Feb 2011 15:07:42 +0000 /?p=4354#comment-3577 Ciao Sandro, intanto grazie mille per il commento. La questione che poni è complessa, e meriterebbe una lunga risposta e riflessione. Provo solo ad abbozzare un inizio di risposta. Premetto anche che si tratta di supposizioni personali, del mio modo personale di vedere la questione, ma che bisognerebbe chiedere all'artista stesso o a chi gli sta vicino. Innanzitutto mi pare valga la pena ricordarsi come nel corso dell'ultimo secolo diversi artisti hanno usato il proprio corpo direttamente come mezzo di esplorazione artistica. A parte gli interventi di modificazione corporale, c'è chi è anche arrivato a tagliarsi, bruciarsi, escoriarsi e via dicendo. Vedi per esempio gli azionisti viennesi, Sigalit Landau, Orlan... Personalmente queste "pratiche artistiche" autolesioniste mi ripugnano e le mutilazioni che si infligge David Nebreda non sono certo ciò che più mi attira nei suoi autoritratti. Quello che più mi colpisce è invece la sincerità, la forza primitiva di queste immagini. Tanto per continuare con il tema delle mutilazioni, la maggior parte degli artisti che praticano la body art, anche se molti possono considerarli "pazzi", molto probabilmente non lo sono dal punto di vista medico, nel senso che le loro pratiche artistiche sono per lo più frutto di una lucida riflessione intellettuale e razionale. Nel caso di David Nebreda non credo sia la stessa cosa. Perché si mutila? Perché si riduce alla fame? Sono tutte questioni che bisognerebbe porre ai medici che si occupano di schizofrenia, ma credo che in realtà tutte queste domande non abbiano nessuna risposta. Probabilmente lo fa perché fa parte della sua infermità. Perché fotografa allora? Qual'è l'obiettivo di David Nebreda cui ti riferisci? Secondo me anche questa domanda non ha risposta, David Nebreda stesso forse non saprebbe rispondere, secondo me lo fa e basta. E nelle sue foto traspare chiaramente la sofferenza e la follia, due componenti fondamentali della vita umana fin dalla notte dei tempi, che ogni tanto trovano anche un'espressione artistica. Ciao Sandro,
intanto grazie mille per il commento.

La questione che poni è complessa, e meriterebbe una lunga risposta e riflessione. Provo solo ad abbozzare un inizio di risposta. Premetto anche che si tratta di supposizioni personali, del mio modo personale di vedere la questione, ma che bisognerebbe chiedere all’artista stesso o a chi gli sta vicino.

Innanzitutto mi pare valga la pena ricordarsi come nel corso dell’ultimo secolo diversi artisti hanno usato il proprio corpo direttamente come mezzo di esplorazione artistica. A parte gli interventi di modificazione corporale, c’è chi è anche arrivato a tagliarsi, bruciarsi, escoriarsi e via dicendo. Vedi per esempio gli azionisti viennesi, Sigalit Landau, Orlan… Personalmente queste “pratiche artistiche” autolesioniste mi ripugnano e le mutilazioni che si infligge David Nebreda non sono certo ciò che più mi attira nei suoi autoritratti. Quello che più mi colpisce è invece la sincerità, la forza primitiva di queste immagini. Tanto per continuare con il tema delle mutilazioni, la maggior parte degli artisti che praticano la body art, anche se molti possono considerarli “pazzi”, molto probabilmente non lo sono dal punto di vista medico, nel senso che le loro pratiche artistiche sono per lo più frutto di una lucida riflessione intellettuale e razionale. Nel caso di David Nebreda non credo sia la stessa cosa. Perché si mutila? Perché si riduce alla fame? Sono tutte questioni che bisognerebbe porre ai medici che si occupano di schizofrenia, ma credo che in realtà tutte queste domande non abbiano nessuna risposta. Probabilmente lo fa perché fa parte della sua infermità.

Perché fotografa allora? Qual’è l’obiettivo di David Nebreda cui ti riferisci? Secondo me anche questa domanda non ha risposta, David Nebreda stesso forse non saprebbe rispondere, secondo me lo fa e basta. E nelle sue foto traspare chiaramente la sofferenza e la follia, due componenti fondamentali della vita umana fin dalla notte dei tempi, che ogni tanto trovano anche un’espressione artistica.

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Di: sandro /it/2011/extreme-david-nebreda/comment-page-1/#comment-3576 sandro Thu, 10 Feb 2011 14:11:07 +0000 /?p=4354#comment-3576 Questo Nebreda è davvero un folle e l'aggettivo "estremo" gli si attacca proprio bene. Finora sono arrivato a comprendere e apprezzare il grande Witkin, ma questo per me forse è anche troppo, sarà una questione di sensibilità. Capisco l'onestà dell'operazione, la qualità delle immagini e del racconto, ma non ne comprendo fino in fondo l'obiettivo. Questo Nebreda è davvero un folle e l’aggettivo “estremo” gli si attacca proprio bene.
Finora sono arrivato a comprendere e apprezzare il grande Witkin, ma questo per me forse è anche troppo, sarà una questione di sensibilità. Capisco l’onestà dell’operazione, la qualità delle immagini e del racconto, ma non ne comprendo fino in fondo l’obiettivo.

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