Giacomo Costa è un artista fiorentino che lavora in quello spazio incerto che si trova fra la fotografia, il disegno digitale, il render di spazi e il collage. I lettori assidui di Camera Obscura ormai sapranno che mi interesso principalmente a questo tipo di contaminazioni, che nonostante il blog sia di fotografia lascio moltissimo spazio proprio agli artisti che lavorano in questo senso. Il tema dei palazzi, dei collage e della ripetizione fra l’altro mi è particolarmente caro, come è evidente per esempio nella mia serie sui palazzi infiniti.

Quando iniziai ancora non avevo mai sentito parlare di Giacomo Costa. Oggi, confrontando il mio lavoro con il suo, sebbene il risultato visivo sia molto diverso, come del resto la tematica soggiacente, è inevitabile trovare molte affinità e punti in comune. Giacomo Costa, in un certo senso, diventa allora un mio maestro inconsapevole. Inconsapevole tanto da parte sua che da parte mia, ma comunque un punto di riferimento importante, che mi sento di dover citare quando parlo di quello che faccio.

Giacomo Costa
© Giacomo Costa

È stato quindi un piacere e un onore dare inizio ad una conoscenza più concreta grazie a questa intervista. Tanto più che Giacomo Costa si è rivelato una persona simpatica e ironica, una dote quest’ultima che è fra quelle che apprezzo di più in assoluto. Il risultato è una delle interviste più gustose che ho fatto nell’ultimo anno. Grazie Giacomo!

 

Fabiano Busdraghi: Come hai iniziato a fotografare? Qual’è la tua storia di fotografo?

Giacomo Costa: È una storia contorta, un percorso a zig-zag.

Avevo da anni lasciato la città per vivere in montagna facendo l’alpinista e tutti quei lavori che mi permettevano di sopravvivere. Parte dei miei guadagni derivavano da sponsor tecnici che ci pagavano per indossare e utilizzare i loro materiali durante le nostre scalate. Perciò era necessario che qualcuno di noi, uno della cordata, facesse delle foto. Quel ruolo è toccato a me. La cosa mi piaceva così ho iniziato a fare anche foto di paesaggio, cose da cartolina e da azienda del soggiorno.

Giacomo Costa
© Giacomo Costa

Quando poi quella vita mi aveva stancato e dopo un grave incidente, tornato in città, l’unica cosa “umana” che sapevo un po’ fare era il fotografo. Ho iniziato a lavorare nel mondo della ritrattistica e della musica ma subito ho capito che non era la mia strada, che non riuscivo a lavorare seguendo una direzione artistica, una committenza. Così, dopo aver studiato e ricercato per anni, tra camera oscura, pellicole, obbiettivi, flash e quant’altro ho mollato la fotografia commerciale, avendo però guadagnato una discreta esperienza che mi è poi risultata fondamentale nella nuova attività di ricerca artistica.

 

Giacomo Costa
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Fabiano Busdraghi: Che cosa rappresenta per te la fotografia?

Giacomo Costa: Il modo più efficace di effettuare comunicazione visiva, lo strumento più diretto per mostrare i proprio sentimenti ad un pubblico che non conosce la tua storia né, probabilmente, il tuo mondo.

 

Fabiano Busdraghi: Nel tuo lavoro fotografi individualmente ogni parte della tua immagine. In seguito assembli le varie parti creando un unico grande collage. Da un punto di vista puramente tecnico questo ti permette di ottimizzare ogni parte dell’immagine,fotografare ogni parte in condizioni ottimali. Le immagini inoltre risultano ad alta risoluzione e permettono di stampare molto grande, come appunto fai di solito, mantenendo però una qualità altrimenti ottenibile solo scattando con macchine grande formato.

Questa perfezione formale quanto è importante nel tuo lavoro?

Giacomo Costa
© Giacomo Costa

Giacomo Costa: Questa affermazione è vera per i miei primi lavori, quelli fino al 2000 circa.

In quella prima fase di ricerca mi concentravo sul fotografare ogni singolo palazzo per poi poterlo utilizzare quasi fosse un colore in mano a un pittore. I palazzi erano i miei colori e photoshop il mio pennello. La perfezione formale è tuttora una parte fondamentale del mio lavoro e molto dipende dai miei trascorsi di fotografo diciamo “analogico”. Infatti avendo lavorato tantissimo in camera oscura sono cresciuto con il mito della perfezione, della nitidezza, della pulizia e dell’incisività. Questo bagaglio me lo porto dietro e condiziona molto il mio lavoro. Anche e soprattutto nell’aspetto della composizione dell’immagine, dell’inquadratura seppure virtuale.

 

Giacomo Costa
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Fabiano Busdraghi: Questo tuo uscire dalla sincronicità della fotografia pura, l’inquadratura virtuale come la chiami giustamente, ha anche le sue conseguenze teoriche importanti.

Costruire l’immagine come una moltitudine di frammenti che assemblati ricostruisco il tutto, che impatto ha sulla visione del mondo?

Giacomo Costa: Certamente la mia visione della fotografia adesso è più vicina alla pittura che alla fotografia vera e propria.

Nelle mie immagini cerco di creare una visione emozionale del mondo non documentaristica. La fotografia è, come dicevo prima, un mezzo straordinario per la sua immediatezza di lettura e anche per un senso di verità quasi intrinseca che si porta dentro.

Giacomo Costa
© Giacomo Costa

Il fotomontaggio, anche storicamente, è sempre stato un punto di forza perché lo spettatore è portato, nel dubbio, a dare ragione al lato veritiero della fotografia, in tal modo è sempre stato possibile ingannare e mentire! A me questo aspetto serve per poter comporre l’immagine al fine di testimoniare un mio pensiero in chiave metaforica pur conservando un senso di spaesamento che deriva proprio dal fatto che al primo sguardo lo spettatore tende a cercare di contestualizzare l’immagine anche quando questa è estremamente irreale. Così si resta per un attimo fortemente turbati e coinvolti.

Da questo derivo la mia visione di comunicazione emozionale che solo con un mezzo fotografico sarebbe possibile.

 

Giacomo Costa
© Giacomo Costa

Fabiano Busdraghi: Per ottenere le tue immagini combinando a mano vari elementi eterogenei è necessario tantissimo lavoro e tantissimo tempo. Nell’arte, soprattutto contemporanea, la complessità della tecnica è di solito messa in secondo piano rispetto al risultato finale. Da sempre invece la fotografia si è in qualche modo confrontata con le difficoltà di realizzazione e la complessità tecnica. Immagini ottenute tramite procedimenti lunghi e difficili sembrano spesso avere un valore aggiunto. Lunghe manipolazioni ottenute in camera oscura venivano esposte con orgoglio. Oggi quando in pochi secondi è possibile ottenere lo stesso risultato con un filtro di Photoshop nessuno pensa più di proporre quel tipo di stampe come opere d’arte.

Nel tuo caso, sei interessato unicamente al risultato finale, e passare per il collage è l’unico modo possibile per ottenerlo? Oppure nel processo di collage trovi una tua estetica personale, una sua motivazione intrinseca? Il fatto che sia necessaria una componente manuale, anche se filtrata dall’informatica, modifica in qualche modo il valore dell’opera?

Giacomo Costa

Giacomo Costa: Intanto sfaterei il mito della rapidità dell’elettronica! Le mie immagini di adesso, quelle interamente fatte in 3d, richiedono mediamente un mese di lavoro mentre impiegherei pochi secondi se potessi trovare nella realtà un soggetto del genere.

Il procedimento di costruzione virtuale è complessissimo anche perché, a differenza della pittura, prima costruisco un’intera città e poi, come un vero fotografo, cerco l’inquadratura, il tipo di pellicola, l’esposizione e quant’altro. Così facendo a priori non so quale sarà l’inquadratura finale e quindi sono costretto a disegnare con dovizia estrema di particolari anche ciò che magari alla fine è un minuscolo puntino all’orizzonte.

Questo procedimento potenzialmente dilata il tempo all’infinito.

Giacomo Costa
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Il linguaggio che utilizzo è quindi parte fondamentale del risultato finale, è la mia personalissima cifra, il mio stile. Le mie città non hanno un loro significato intrinseco dal momento che non esistono, ma sono figlie del linguaggio e del pensiero metaforico che ci sta dietro. Il cesellare ogni singolo dettaglio per renderlo verosimile, il concentrarmi su minuscole zone dell’immagine ed intervenirci più e più volte crea in me un feeling estremo con l’immagine, mi fa vivere un’esperienza che forse chi fa velieri nelle bottiglie forse può comprendere. Forse anche chi fa ricamo all’uncinetto…chissà!

Comunque è necessario per me perché alla fine mi fa immedesimare in quella città che alla fine conosco meglio di quella vera in cui vivo e questo mi permette poi di poterla fotografare (seppur virtualmente) esattamente come farei se fossi un vero fotografo e dovessi fotografare una vera città.

 

Giacomo Costa

Fabiano Busdraghi: Il fotomontaggio e le manipolazioni delle immagini sono nate con la fotografia. Lo stesso giorno però è nata anche la diatriba che tutt’oggi divide in due schieramenti i critici, i filosofi e gli stessi fotografi. Banalizzando una situazione estremamente complessa si può che da una parte c’è chi vede la fotografia come riproduzione della realtà, e agli estremi, afferma che ogni intervento esterno rende l’immagine non fotografica. Dall’altra chi vede la fotografia come espressione personale, con agli estremi chi dice che senza interventi esterni la fotografia non può essere un’opera d’arte. E poi tutti i pareri più o meno lucidi o confusi che stanno nel mezzo.

Personalmente penso che la fotografia possa abbracciare tanto un aspetto quanto l’altro, e che fotografi di entrambe le correnti di pensiero abbiano prodotto splendide immagini. Ancora oggi però ci sono forti resistenze e prese di posizione rigide, soprattutto dalla parte di chi vede la fotografia come una riproduzione fedele della realtà.

Cosa pensi di questa divisone dicotomica della fotografia?

Giacomo Costa
© Giacomo Costa

Giacomo Costa: A questa domanda ho precedentemente in parte risposto, ma visto che il tema sta particolarmente a cuore adesso cercherò di approfondire ulteriormente.

La fotografia è per forza di cosa una interpretazione della realtà del tutto irreale. Io di solito, eccetto quando sono molto sbronzo, la realtà la vedo a colori e questo già rende abbastanza surreale tutta la fotografia in bianco e nero. Di solito sento rumori, suoni, profumi, temperature, vento, movimento, che non mi capita spesso di vedere/sentire in una foto! Poi mi capita di percepire che la realtà sia tridimensionale e che il mondo difficilmente possa stare in un foglio di carta!

Queste rozze valutazioni già mi rendono difficile pensare che la fotografia sia una riproduzione oggettiva e non manipolata della realtà e stare a discutere su quanto possa o debba essere la quantità di manipolazione accettabile mi sembra veramente un ragionamento un po’ superato.

Giacomo Costa
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Quello che invece è attuale e forse rappresenta la parte vincente della fotografia, è proprio l’alone di verità assoluta che la fotografia intrinsecamente ha. La foto è comunemente usata e pensata come un prova certa, un documento incontestabile e inconfutabile pur sapendo bene che il fotomontaggio, come dicevi tu, è sempre esistito fin dalle origini. Tuttavia l’immagine stampata colpisce dritta al cuore e al cervello lo spettatore che, incantato, accetta l’inganno. Questo approccio permette al fotografo di guidare abilmente i sentimenti dello spettatore attraverso un costante lavoro di manipolazione, scegliendo un’inquadratura invece di un’altra, determinando il contrasto, la messa a fuoco, creando quindi un’immagine che alla fine è totalmente filtrata anche se rappresenta qualcosa che in quel momento davvero era lì davanti all’obbiettivo. Negare questo o fare delle classifiche di quantità di realtà o di manipolazione mi sembra poco interessante.

Tuttavia sono molto contento che ci siano tanti che credono che la fotografia debba essere specchio della realtà perché questo alimenta un senso comune che poi permette a me di ingannare, mentire ed affascinare il pubblico!

 

Giacomo Costa
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Fabiano Busdraghi: Le tue parole mi rendono estremamente contento. Come forse sai sto scrivendo un libriccino per Camera Oscura intitolato fotografia e verità, dove le conclusioni sono praticamente quelle che hai appena scritto! La cosa che mi piace particolarmente e che mi fa sorridere è questo tuo approccio un po’ canzonatorio. Non solo per te questo discorso è superato, ma lo sfrutti per ammaliare gli spettatori che ancora ci credono. Grottescamente geniale!

A proposito del pubblico, come vengono accolti allora i tuoi lavori? Ti capita spesso di sentirti dire che assolutamente non sono fotografie ma “altro”?

Giacomo Costa
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Giacomo Costa: In generale io sono il primo a dire che le mie immagini sono altro e sarebbe difficile sostenere che siano fotografie rispetto a quel comune modo di vedere la fotografia. Di solito dico di “dipingere in qualità fotografica”, uso la fotografia come mezzo e non come fine. Altero arbitrariamente il mondo e non mi curo di rispettare la realtà. Faccio quindi altro se pensi a Salgado, la stessa cosa se pensi a Man Ray.

 

Fabiano Busdraghi: Le tue fotografie si riconoscono al primo colpo d’occhio, sia per i soggetti che per l’atmosfera dell’immagine. Da anni ormai stai lavorando sul tema dello spazio urbano, del rapporto dell’uomo alla città. Allo stesso tempo in passato hai lavorato su soggetti (e stili) completamente diversi; come paesaggio montano, ritratto e autoritratto. Stavi ancora cercando una tua visione e adesso hai completamente abbandonato questi temi o continui comunque a produrre immagini diverse dal tuo soggetto principale?

Giacomo Costa
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Giacomo Costa: Sul ritratto lavoravo prima di iniziare la mia ricerca artistica mentre sull’autoritratto lavoro tuttora ma solo per un mio divertimento, non ho mai pensato che fossero immagini pubbliche. Parlano dell’altro lato della mia persona, di quello poco serio, sbandato, pericoloso, un argomento che adesso inizia a interessare il pubblico ma che in realtà era molto più privato.

Viceversa il paesaggio montano è parte del mio percorso di vita e di artista ed è sempre presente nei miei lavori, anche in quelli urbani, sia direttamente come nel caso delle “scene”, sia per antitesi in tutte le serie più metropolitane. Vedo la città affollata e caotica perché ho ben in mente e davanti agli occhi il paesaggio rarefatto della montagna.

 

Fabiano Busdraghi: In passato hai lavorato molto sull’autoritratto, e un autoritratto in cui la messa in scena personale assume molta importanza, fotografie che diventano quasi testimonianza di performance. Puoi parlarci un po’ di questo genere, e di quelle che sono le tue motivazioni in merito?

Giacomo Costa
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Giacomo Costa: Quando ho iniziato a studiare fotografia mi usavo come modello anche perché sono paziente e su di me potevo fare interminabili studi di luce che invece rendevano amici e modelli rapidamente insofferenti. Ma anche in questo caso ci ho preso gusto e fotografarmi era diventato un piacevole passatempo.

Come accennavo prima l’autoritratto è una forma di autoanalisi, un modo per ricordarmi che dietro all’artista c’è anche l’uomo e l’uomo, nella sua vita privata, nel suo quotidiano, non necessariamente è un’artista. Si possono avere pensieri cupi ma non per questo vivere in maniera cupa. L’autoritratto mi permette di esprimere la mia ironia che è un tratto fondamentale e forte del mio modo di essere.

Giacomo Costa
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Agli inizi questo tipo di ricerca era principalmente rivolto e dedicato a me, era il lato mio privato e non mi era mai capitato di pensarlo come qualcosa da esporre, usavo i miei autoritratti nelle pubblicazioni perché mi piaceva scherzare su di me e sul fatto di essere così spesso e troppo preso sul serio. Passando il tempo e diventando più conosciuto il pubblico ha iniziato anche ad interessarsi al mio lato privato e quindi gli autoritratti sempre più vengono considerati parte del mio lavoro…io tuttavia continuo a pensare che siano un pensiero leggero e un modo per dire che non c’è niente di peggio che prendere gli artisti troppo sul serio e ancor peggio è quando un’artista si cala troppo nel suo personaggio

Giacomo Costa
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Fabiano Busdraghi: Assolutamente d’accordo! Tanti sedicenti artisti dovrebbero scriverselo a caratteri cubitali su un poster da incollare in camera da letto. E se posso permettermi di essere sincero devo confessarti che questo, questa ironia, questo mettersi in gioco e non darsi arie, è il tratto che più mi piace della tua personalità, almeno da quel poco che posso intuire da questa intervista.

Ma passiamo alla prossima domanda. Puoi approfondire il discorso su una delle fotografie che accompagnano questa intervista?

 

Giacomo Costa
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Giacomo Costa: Non so in che maniera potrei farlo e per onorare il primo fondamentale insegnamento del mio primo gallerista che diceva che non c’è niente di peggio di un’artista che parla de suo lavoro, scivolerò via dalla domanda, con eleganza!

 

Fabiano Busdraghi: Va bene, domanda cestinata, anche se la tua risposta è stata interessante lo stesso! Passiamo alla prossima allora.

Hai un sito molto ricco e curato, cosa relativamente inconsueta per un fotografo. Spesso si vedono siti con solo due o tre gallerie, un portfolio ridotto all’osso e raramente aggiornato, minuscole fotografie delle dimensioni di un francobollo.

Giacomo Costa
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Nel tuo caso invece ci sono moltissime immagini, che permettono di ripercorrere l’evoluzione del tuo lavoro negli anni. Alcune serie poi sono molto diverse da quelle recenti, fra l’altro questi lavori li ho conosciuti unicamente grazie al tuo sito.

Quanto è importante una vetrina come la tua su internet? La diffusione dei tuoi lavori segue più le vie classiche: gallerie, esposizioni, pubblicazioni cartacee, etc, oppure è affidata soprattutto ai circuiti artistici su Internet? Che cosa pensi di queste iniziative?

Giacomo Costa: Per me il sito è come un giardino, qualcosa che va curato con amore tutti i giorni, è una sorta di disciplina marziale giapponese. È il mio modo per mostrare il mio lavoro non come fosse un catalogo ma come se fosse la storia della mia vita.

Giacomo Costa
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Agli inizi non mi serviva per diffondere il lavoro: quando si è semi-sconosciuti i metodi tradizionali sono sempre i migliori. Adesso che la mia notorietà, soprattutto internazionale, è molto cresciuta e viaggiare per vedere le mostre è cosa difficile, il sito diviene fondamentale per creare contatti e mantenere vive relazioni.

Credo che ancora la gran parte delle realtà su internet siano più dei contenitori piuttosto che delle forme di ricerca artistica condivisa…ma la rete è talmente grande che non potrei essere più di tanto sicuro di questa mia sensazione.

 

Giacomo Costa
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Fabiano Busdraghi: sei toscano e vivi a Firenze. Spesso si sente dire che per sfondare nel mondo dell’arte contemporanea bisogna vivere in una grande città in pieno fermento artistico, come New York o Berlino. Te sembri essere il controesempio vivente, con le tue foto che vengono esposte nelle fiere di fotografia e nei musei più importanti del mondo.

Il fatto di vivere in una città relativamente periferica rispetto ai grandi centri contemporanei secondo come ha influito sulla diffusione dei tuoi lavori? Ti reputi un’eccezione o di fatto oggi giorno si può benissimo esporre a livello internazionale pur non essendo fisicamente in una città effervescente per quanto riguarda fotografia e arte?

Giacomo Costa
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Giacomo Costa: Credo che vivere in una città frizzante serva ad accrescere la propria conoscenza artistica e permetta di stabilire contatti e relazioni importanti. Se dovessi iniziare di nuovo forse mi trasferirei altrove. Il fatto è che ho iniziato un po’ per caso e a piccolissimi passi scettici e ogni volta mi sembrava di essere talmente indietro e lontano che era ancora presto per trasferirmi e così alla fine mi sono ritrovato a fare mostre a giro per il mondo continuando a vivere a Firenze. Tuttavia ho avuto la fortuna di viaggiare tanto e quindi di potermi creare una rete di conoscenze e di stimoli anche se formalmente risiedevo altrove. Certo che poi internet ha reso tutto molto più facile.

 

Giacomo Costa
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Fabiano Busdraghi: Sul tuo sito pubblichi anche dei brevi testi di tuo pugno. Per te è un mezzo espressivo di pari importanza o è in secondo piano rispetto alla fotografia? Ti capita di “lavorare” sullo stesso tema sia con la macchina che con la penna o esplori universi completamente distinti?

Giacomo Costa: La mia ironia si basa molto sul linguaggio, sulla scelta delle parole, mi diverto molto a parlare e a discutere, sono un logorroico indefesso. Scrivere è per me un piacere divertente che mi permette di esprimere dei concetti articolati che non voglio invece esprimere nella fotografia. Le mie immagini sono dirette, semplici e comprensibili da chiunque anche senza dei particolari mezzi individuali. Nello scrivere invece mi esprimo in maniera più concettuale…ma lo faccio solo per divertirmi!

 

Fabiano Busdraghi: Un fotografo di cui apprezzi particolarmente il lavoro e perché.

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Giacomo Costa: Olivo Barbieri. Amo tantissimo il suo lavoro che, sebbene sia estremamente tradizionale e analogico, ha una cifra assolutamente sua che lo rende vicinissimo alla mia poetica. Se a questo aggiungi che abbiamo lavorato per anni con la stessa galleria, che c’è una sincera amicizia e che adesso, dopo anni di distanza, ci siamo di nuovo ritrovati nella stessa galleria…che volete di più!

 

Fabiano Busdraghi: Giusto qualche curiosità sui tuoi gusti personali. Che libro stai leggendo in questo momento? Che musica ascolti? Quali sono i tuoi film preferiti?

Giacomo Costa: Sto leggendo un libro di meteorologia marina ascoltando un live dei Van Halen. Film preferiti? Tutta la fantascienza della storia!

 

Fabiano Busdraghi: Meteorologia marina? Guarda te cosa leggi! Ma lo sai che io ho una laurea in oceanografia e meteorologia? Anche io ne ho macinate di pagine come quelle prima di andare a letto! Ma sorvoliamo i miei trascorsi da ricercatore…

Una domanda ormai ricorrente in tutte le interviste su Camera Obscura: tutti i fotografi hanno delle “foto non fatte”. Ci puoi raccontare una delle tue?

Giacomo Costa

Giacomo Costa: In realtà tutte le mie foto sono non fatte. Quasi tutte nascono a occhi chiusi, vedo con la fantasia degli scenari meravigliosi che poi mi servono come guida per cercare di realizzarli. Ma siccome è tutto nella mia mente, passo dopo passo mi lascio trascinare dalla corrente e arrivo a traguardi distantissimi dal punto di partenza…e nel cuore mi resta una sensazione che non si è però mai espressa del tutto.

 

Fabiano Busdraghi: Su cosa stai lavorando in questo momento? Come si differenzia rispetto ai tuoi lavori precedenti? Hai qualche progetto per il futuro che non hai ancora iniziato?

Giacomo Costa: Sto lavorando a degli interni, che costruisco per sottrazione invece che per agglomerazione…parto da una stanza e poi inizio a scavare, alzare e spostare finché alla fine ottengo quasi una città in una stanza. Il progetto al quale penso da una vita (artisticamente parlando!) è dar vita alle mie immagini, animarle, farne un film… chissà…