Patrick Chauvel
© Patrick Chauvel

La Monnaie de Paris organizza di tanto in tanto delle mostre di fotografia, come per esempio la grande retrospettiva dedicata a David la Chapelle di qualche anno fa. L’esposizione attuale si intitola “La paura sulla città” e ci sono andato quasi esclusivamente per vedere le fotografie di Patrick Chauvel, un bravissimo reporter di guerra nonché autore di un libro che mi piacque moltissimo.

In realtà la mostra è articolata in tre sezioni: immagini tratte dall’archivio di Paris Match, Google Street View di Michael Wolf e infine i fotomontaggi di Patrick Chauvel.

Paris Match

La prima sezione della mostra, che rappresenta forse la metà delle immagini esposte, è costituita dagli scatti dei fotografi della rivista Paris Match che hanno documentato vari avvenimenti tragici e violenti avvenuti a Parigi nel corso del tempo.

Paris Match
© Paris Match

Le prime fotografie esposte sono riproduzioni di immagini della seconda guerra mondiale. Anche se Parigi non è mai stata bombardata, gli scatti sono eloquenti. Barricate che chiudono completamente una strada, dietro la quale sono schierati i nostri nonni in canottiera bianca, un elmetto sottratto a qualche caduto tedesco, sigaretta che pende dalle labbra, sguardo duro e deciso. E spesso, dietro le barricate, vengono immortalate dal fotografo anche coraggiose donne col fucile imbracciato. Alcune foto sono epiche e splendide, e in ogni caso tutte sorprendenti. Effettivamente nel panorama odierno, sembra incredibile pensare che l’altro ieri Parigi fosse ancora un teatro di guerra, che il quotidiano della gente fossero i soldati e le sparatorie, le retate naziste e i partigiani nascosti nelle catacombe.

La mostra continua con le foto, più o meno in ordine cronologico, di alcuni attentati terroristici che hanno avuto luogo a Parigi nei decenni successivi. Anche queste immagini sono impressionanti, fra l’altro probabilmente perché visivamente sono molto più vicine a noi, Parigi inizia a somigliare a quella che vedo tutti i giorni, alla città com’è oggi. Le foto intanto iniziano ad essere a colori, ed è una bella differenza rispetto all’astrazione del bianco e nero, alcune strade son cambiate pochissimo, le insegne dei negozi e le facciate di molti bistrot sono rimaste praticamente identiche a quelle delle fotografie.

Alvaro Canovas
© Alvaro Canovas

Uno degli ultimi episodi violenti mostrati nella estratto dell’archivo di Paris Match è la rivolta che ebbe luogo nelle periferie di Parigi nel 2005, quando in seguito alla morte di alcuni giovani che si erano rifugiati in una cabina elettrica per sfuggire alla polizia, vennero registrate diverse notti di violenza nella periferia di Parigi. Un avvenimento che ricordo bene in prima persona, anche se in quel momento vivevo a Napoli leggevo comunque tutti i giorni Le Monde, e molte delle foto esposte qui alla Monnaie di Parigi mi erano familiari per averle già viste sui giornali di allora.

Michael Wolf

La mostra “Paura sulla città” continua con le “fotografie” di Michael Wolf ottenute riproducendo lo schermo del computer mentre sta navigando con Google Street View, fotografie già viste a Paris Photo e nella personale di Michael Wolf alla splendida Galerie Particulière.

Michael Wolf
© Michael Wolf

Michael Wolf in questo momento gode veramente di un grande successo, le sue foto sono dappertutto, non solo a Parigi, alcuni amici infatti mi hanno detto di averle viste in diverse altre città. Sono contento per lui, perché è un tipo molto simpatico e perché fa degli ottimi lavori, anche se la qualità delle stampe a volte potrebbe essere migliore. Inoltre utilizzare Street View per “cacciare” immagini, ovvero fare il reporter in un mondo virtuale piuttosto che in quello reale è tutt’altro che una novità. Diversi artisti e fotografi hanno fatto la stessa cosa, e anche persone normali, senza nessuna ambizione artistica, sondano tutti i giorni Google Street View a caccia di immagini particolari, poetiche, strambe, ironiche e via dicendo. Per questo motivo lo statment scritto dal gallerista che sembra ricercare l’artisticità di queste immagini nel media utilizzato mi lascia un po’ freddo.

Trovo inoltre curioso che questa serie di fotografie sia stata inserita di una mostra dal titolo “Paura sulla città”, perché in queste immagini tutto percepisco salvo la paura. Nel testo di accompagnamento Michael Wolf sembra interrogarsi sulla questione della privacy, e la paura dovrebbe derivare dal sentirsi continuamente osservati e monitorati. Ma non mi sembra proprio vero che sia il caso di Google Street View. Certo, l’algoritmo che sfoca visi e targhe delle macchine non è ancora infallibile, e di tanto in tanto qualche persona rimane riconoscibile. Ma è auspicabile che nel corso del tempo l’algoritmo verrà migliorato al punto da nascondere l’identità di tutte le persone che si trovavano per strada quando la macchina di Google è passata da quelle parti. E poi Google Street View a mio avviso non è costruito come strumento di controllo, ma somiglia molto più ad un pratico servizio gratuito per gli utenti, mi sembra che in altri campi esistano metodi e protocolli cui siamo sottoposti di fatto molto più performanti e soprattutto inquietanti di questo.

Michael Wolf
© Michael Wolf

Per queste ragioni mi sembra che le foto di Michael Wolf siano un po’ fuori luogo in questa mostra. Sia chiaro, come ho già scritto le immagini mi piacciono molto, ma non tanto perché si tratti di un utilizzo originale di un certo media, né perché mi incutano timore o mi facciano riflettere sulla fragilità della privacy. Quello che mi piace di queste fotografie è l’aspetto un po’ “retro” e romantico, i colori caldi e slavati, l’impressione di rivedere la città che ho conosciuto solo attraverso “Ultimo Tango a Parigi”, film di Bernardo Bertolucci che amo tantissimo. Quello che mi attira, oltre alla bellezza estetica intrinseca delle immagini, è questa visione particolare di Michael Wolf, il fatto che utilizzando uno strumento modernissimo, una tecnologia per molti versi all’avanguardia, si ricada invece nel passato, in un mondo che ricorda quasi i fotografi umanisti francesi tanto amati da tutti.

Patrick Chauvel

Patrick Chauvel è un fotografo che amo tantissimo, ed è la vera ragione per cui ho visitato la mostra “Paura sulla città” alla Monnaie de Paris. In generale non condivido minimamente la visione piuttosto diffusa secondo la quale i fotografi di guerra sono sciacalli della sofferenza a caccia di una visione pornografica della guerra. Al contrario ammiro molto i fotografi che lavorano nelle zone calde per il loro coraggio e il sacrificio che implica tale scelta, e voglio continuare a credere che le immagini belliche possano in qualche modo contribuire a cambiare il corso della storia e convincere l’opinione pubblica ad abbandonare la maggior parte delle posizioni interventiste. Patrick Chauvel incarna un po’ tutto questo, avendo attraversato la maggior parte dei conflitti armati degli ultimi quarant’anni ed essendo stato ferito innumerevoli volte, alcune anche in modo molto grave.

Patrick Chauvel
© Patrick Chauvel

Patrick Chauvel è inoltre l’autore di uno splendido libro che qualche hanno fa lessi con grandissimo piacere traversando in nave l’oceano Atlantico dall’Islanda a Boston. Sky racconta una bellissima storia di amicizia nata durante la guerra del Vietnam, dove il fotografo, allora poco più che diciottenne, iniziò a seguire un gruppo di incursori a lungo raggio che operavano in territorio nemico. Uno di questi, il cui nome di guerra “Sky” ha dato il titolo al libro di Patrick Chauvel, era un mezzo sangue indiano nativo d’America, dagli occhi blu come il cielo e i lunghissimi capelli neri. La storia raccontata da Patrick Chauvel è incredibile e splendida, sorprendente e toccante. Oltre all’amicizia, la guerra e la morte, sono abbordati molti altri temi interessantissimi, per esempio la parzialità di un fotoreporter quando -in situazione estrema- si trova ad imbracciare un’arma invece di una macchina fotografica. Un libro veramente stupendo, che consiglio viviamente a tutti i lettori di Camera Obscura.

Con queste premesse è naturale che, appena saputo della mostra con le fotografie di Patrick Chauvel, ho fatto il possibile per andare a vederla il più rapidamente possibile. Incuriosito fra l’altro dal fatto che si tratta di fotomontaggi, che è una pratica considerata tabù dai fotogiornalisti. Il fotoritocco è infatti considerato accettabile nella fotografia d’informazione esclusivamente quando riguarda cromia e densità globale dell’immagine, senza che questo modifichi il messaggio dell’immagine. Tutti gli interventi per eliminare, aggiungere o spostare elementi delle fotografie, ad esclusione dell’eliminazione dei granelli di polvere sul captore, sono vietatissimi, pena anche il licenziamento del fotoreporter in questione, come ha insegnato qualche caso esemplare. Mi sembra quindi interessante che un fotografo come Patrick Chauvel utilizzi le fotografie del suo archivio per inserirle le scene di guerra in un contesto completamente diverso: Parigi.

Patrick Chauvel
© Patrick Chauvel

I fotomontaggi di Patrick Chauvel consistono infatti nell’inserire parti di fotografie di scene belliche: esplosioni, cadaveri, carri armati, edifici danneggiati… in fotografie di famosi monumenti Parigini. Devo dire che i fotomontaggi, eseguiti da Paul Biota, un professionista di Photoshop, sono maledettamente ben fatti e quasi credibili, senza contare che le stampe sono molto grandi e il minimo difetto salterebbe subito agli occhi. L’effetto finale purtroppo è comunque un po’ “plasticoso”, nel senso che si vede subito -almeno per un occhio allenato- che qualcosa stona. Sembra di vedere una pubblicità, quelle dove la realtà viene pesantemente trasformata con Photoshop, e tutto sembra finto e irreale. Non che cerchi a tutti i costi la corrispondenza con il reale, anzi. Però questo look fra il commerciale e il pubblicitario non mi sembra adatto a questo tipo di immagini.

Ogni foto montaggio è accompagnato dalla stampa della fotografia originale, più in piccolo. Lo stesso Patrick Chauvel spiega che è fondamentale farlo, per evitare di mostrare la violenza gratuitamente. Il fotografo, in un video che precede le immagini, spiega anche le proprie intenzioni. Dice che lo shock visivo generato dalla visione di scene di guerra a Parigi deve spingere il visitatore a riflettere sulla fragilità della pace, sul fatto che non si tratta minimamente di un risultato acquisito, ma che bisogna lavorare continuamente per mantenerla e diffonderla nel resto del mondo.

Patrick Chauvel
© Patrick Chauvel

Detto cosi non c’è niente da ridire. Il problema secondo me è che queste buone intenzioni -e fotografie come queste- possono esser facilmente strumentalizzate. Invece di usarle come monito, è facile ribaltarne i significati, utilizzarle per terrorizzare il pubblico, per mantenerlo nell’inquietudine e nella paura, con il risultato forse di mantenere la pace in Europa ma spostare la guerra in Afganistan o altrove. A Parigi la paura collettiva mi sembra già sufficientemente elevata: sacchetti della spazzatura trasparenti nella metropolitana e niente cassonetti nella città, scanner all’entrata dei musei, controlli lunghissimi agli aeroporti, telecamere ovunque e tutte le altre regole di sicurezza che conosciamo (e subiamo) tutti. E poi soprattutto l’atteggiamento della gente, sempre sul chi vive. Il tutto è sicuramente fatto in buona parte per proteggerci, ma allo stesso tempo sembra importante per chi tiene i fili del mondo mantenere un livello alto di paura, alimentare i sospetti e l’impressione di esser sottoposti a una minaccia continua. Gli Stati Uniti, come è stato per esempio mostrato da Michael Moore, hanno addirittura un sistema economico e sociale in buona parte basato sulle guerre e sulla paura. In questo contesto, temo che i fotomontaggi di fotografie di guerra di Patrick Chauvel nelle strade di Parigi possano essere facilmente strumentalizzati. Credo che in realtà lui lo faccia veramente in buona fede, ma il rischio che le fotografie vengano usate non per mantenere la pace, ma per giustificare gli interventi militari dei paesi occidentali, sia tutt’altro che trascurabile.

Patrick Chauvel
© Patrick Chauvel

Critica

Sebbene “Paura sulla città” alla Monnaie de Paris sia un’esposizione interessante e alcune fotografie siano molto belle o addirittura eccezionali, devo dire che nel complesso la mostra non mi è piaciuta molto.

Michael Wolf
© Michael Wolf

Innanzi tutto il materiale esposto è abbastanza scarso, nel senso che l’esposizione è costruita attorno a troppe poche foto e forse troppi pochi autori. Alla fin fine si fa il giro delle stanza in una mezz’ora al massimo, mentre il costo del biglietto d’ingresso è comparabile a quello di musei dove si puo facilmente trascorrere una giornata intera. Mi sembra impossibile credere che, oltre alle foto dell’archivio di Paris Match, solo due fotografi lavorino su un tema compatibile con quello scelto per la mostra, direi che una sei o sette sia il minimo necessario per organizzare una vera esposizione collettiva che sia allo stesso tempo interessante e coerente. Manca inoltre un apparato informativo veramente chiaro e esplicatorio. Per me che non ho vissuto gli attentati francesi degli anni settanta, sarebbe stato interessante e istruttivo avere delle spiegazioni storiche che permettano di piazzare le foto nel contesto di allora. Di fatto si va alle mostre per il piacere della fotografia ma anche per imparare qualcosa, e questa è purtroppo un’ottima occasione persa per istruire il pubblico.

Per quanto riguarda i due autori principali della mostra, come già scritto nelle due sezioni precedenti, nutro qualche dubbio sulla coerenza delle fotografie di Michael Wolf in questo contesto e temo che i fotomontaggi di Patrick Chauvel -di cui non amo la resa vagamente pubblicitaria- possano venir strumentalizzati ed usati per fini che non corrispondono necessariamente a quelli dell’autore.

Georges Melet
© Georges Melet