Cade la neve, e il mondo si trasforma. Il vicino e il lontano perdono il loro significato, tutto diventa un’uniforme distesa bianca che abbaglia e lascia esterrefatti. I contorni delle cose sfumano l’uno nell’altro, si fondono insieme, in un’unità universale. Il tempo si cancella, esiste solo un presente eterno, che ha in se i ricordi di un mondo antichissimo e i semi di quello che verrà. I suoni sono ovattati, assorbiti dalla neve. Non ci si stupisce allora di vedere un uomo tentare un incantesimo su di una palla di neve.
Vedendo questa fotografia di Muhammad Hamed è proprio questo quello che penso. Non sto vedendo un arabo un giorno di neve, ma un mago di un mondo antico senza tempo, che saltella nel vuoto bianco tenendo in mano una gigantesca palla di neve su cui sta facendo qualche giocosa magia.
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Praticamente tutti i giorni do un’occhiata a due siti di giornali: repubblica.it e le monde.
Non mi piace molto fare paragoni, ma quasi ogni volta non posso fare a meno di notare la differenza fra i due quotidiani online. Su repubblica.it, nonostante non manchino alcuni -relativamente rari- buoni articoli, abbonda il pettegolezzo, la foto del calendario con la bella svestita di turno, la cronaca degli stupri, video della polizia americana che insegue delinquenti in autostrada con cinquanta auto e tre elicotteri, tormentoni del web di gaf e scivoloni, ripetute accuse contro la presenza di extracomunitari in Italia.
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Proprio l’altro giorno, a proposito della presenza della fotografia nel documentario di Hu Jie, ho accennato a quella che da Colberg viene efficacemente chiamata “la pornografia della guerra”, ovvero -secondo l’autore dell’espressione- il fatto che le immagini della guerra vengono mostrate nei paesi occidentalizzati non tanto per documentare la storia o sensibilizzare l’opinione pubblica verso il pacifismo, ma per alimentare un desiderio morboso che si soddisfa nella manifestazione della sofferenza altrui.
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© gUi mohallem
“Quando ero un bambino di mia zia era abituata a portarmi a quei rituali.
Sono stato al centro di questo cerchio di candele
e queste donne hanno continuato a cantare
cose che non poteva capire.
Temo che abbiano fatto qualcosa su di me.”
gUi mohallem è un fotografo brasiliano i cui ritratti stenopeici sulla follia hanno catturato la mia attenzione fin dal primo momento che li ho visti.
Oltre alle fotografie scure, mosse e intense di gUi mohallem, ho molto apprezzato i testi di accompagnamento: citazioni raccolte durante le sue discussioni con le persone ritratte. Sono sempre stato affascinato dalla scrittura, oltre che dalla fotografia, e gli estratti che gUi mohallem associa alle immagini sono come lapidarie e intense poesie moderne, una poesia corale nata dalle persone che raccontano la loro verità di fronte alla macchina fotografica.
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Hu Jie
© Anonimo
È mattina. Una solitaria domenica mattina. Sto andando a vedere un film al cinema, cosa effettivamente un po’ strana per una domenica mattina. Qualche giorno fa ho mandato una mail alla maggior parte delle persone che conosco che abitano a Parigi, invitandoli a venire. Sapevo che non sarebbero venuti in molti visto l’orario, ma non mi sarei aspettato di non ricevere nemmeno una singola risposta alla mia mail. Niente di niente. Mi dispiace un po’, ma alla fine più che proporre regolarmente attività, visite, film, spettacoli a cui vado quasi sempre da solo non so bene cosa dovrei fare. Che poi mi sto abituando e rassegnando, sia mai che la solitudine della citazione di Rilke nell’intervista a gUi mohallem non sia davvero di qualche utilità.
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Le buste delle fotografie stenopeiche ricevute durante il pinholeswap 2009.
Come l’anno scorso ho preso parte al Pinholeswap 2009, uno scambio di fotografie ottenute rigorosamente senza lente, quindi in generale fotografie stenopeiche o zoneplate.
Quest’anno ho spedito una foto stenopeica scattata appositamente per l’occasione al Jardin de Luxembourg. Volevo una resa sognante e pittorialista, che ricordasse vagamente la pittura impressionista di inizio secolo, come se inviassi un piccolo quadretto invece che una fotografia. Una fotografia dove non ci fosse niente, solo spazio vuoto e una leggera malinconia. Una malinconia appena accennata, niente tristezza o disperazione, solo una bolla di vuoto vagamente doloroso.. Una fotografia che rappresenti l’attesa senza fine, le speranze sempre deluse di chi si sogna il futuro dicendo che qualcosa cambierà, ma finisce per aspettare tutta la vita. Un’attesa che è un vivere d’illusioni, il titolo della foto.
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Nell’articolo su Paris Photo ho già accennato ai rapporti fra sesso/pornografia e fotografia artistica contemporanea. È un argomento interessante, che può essere articolato in vari modi. Da una parte la censura tipo quella cui è stato recentemente sottoposto Bill Henson, dall’altra una forma invece di autocensura un po’ perbenista che si autoimpongono molti fotografi/artisti contemporanei che lavorano sul sesso, o infine i lavori che invece non temono di essere espliciti come quelli di Andres Serrano o Terry Richardson. Piuttosto che fare di tutta l’erba un fascio, scrivendo l’articolo mi sono reso conto che è meglio fare una mini serie di articoli indipendenti.
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Rileggendo le interviste su Camera Obscura mi sono reso conto di due cose: è presente un certo schema di fondo che si ripete e non sono così approfondite e dettagliate come vorrei.
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