L’ironia del nuovo, fra tradizione e innovazione
Per questo motivo sorrido, quando la gente vuol dire a tutti i costi “ah si, assomiglia al tal dei tali”. È un giochetto che si può fare sempre, e funziona più o meno bene, il paragone è più o meno azzeccato, ma sempre possibile, perché nessuno vive tutto solo nell’universo, alla fine siamo tutti fotografi, quindi almeno un punto in comune ce l’abbiamo: usiamo tutti la macchina fotografica.
Mi capita di sentirmelo dire anche a me, per esempio in merito alla serie dei palazzi infiniti. È logico che conosco il lavoro di Gursky, e nelle mie foto dei palazzi c’è lo stesso gusto asettico, freddo e frontale che deriva dalla scuola di Dusseldorf, ma questo non toglie che l’intento, il procedimento, le ripetizioni, l’uso di palazzi antichi posizioni il mio lavoro in un ambito molto diverso. Altre persone invece vedono una somiglianza dei palazzi infiniti con Giacomo Costa o Alessandro Cimmino. Quando mi venne l’idea del lavoro sui palazzi ancora non conoscevo né l’uno né l’altro e infatti il risultato visivo è profondamente diverso, come poi le motivazioni e la giustificazione teorica che sta dietro al lavoro.
Ancora una volta però, non sono certo l’unico al mondo a incollare pezzi di foto, basti citare il lavoro assolutamente geniale di Chris Jordan sulle statistiche americane, oppure le foreste incantate di Ruud Van Empel, la gestione dello spazio delle favelas di Dionisio Gonzales, l’ambientazione moderna dei quadri antichi di Emily Allchurch, i paesaggi e le modelle perfette Gian Paolo Tomasi, gli elementi seriali di Mario Rossi, “niente può cambiare questo mondo” di Natalie Czech, e via dicendo.
Eppure ogni autore ottiene risultati diversi, perché sta esprimendo in primo luogo se stesso.
Direi quindi che ci vuole giusto un minimo di equilibrio e senso comune. È logico che lavori di molti artisti si assomiglino, partano da basi comuni. Alcuni sono più legati alle tradizioni, altri più innovativi. Quando non c’è plagio, quando non si cerca di copiare il lavoro altrui, quando un prodotto è un frutto di lavoro genuino, pazienza se non è rivoluzionario. Credere di essere diversi da tutti è anche abbastanza illusorio. Ci si muove sempre all’interno di una rete di contatti, quello che facciamo è basato sempre su tutto quello che abbiamo assimilato prima. L’importante è mettere nel nostro lavoro un pizzico di originalità, quel fattore distintivo che permette di spingere i limiti più in la, di fare un passo diverso, che ancora non era stato fatto. Quando poi capitiamo su qualcosa che invece era veramente già stato fatto, come i mari, pazienza, tocca passare ad un altro progetto.
To read the rest of this article go to page: 1 2 3 4
For multi-page articles the pdf file automatically include the whole post
Fabiano Busdraghi
said, 29 May 2008 @ 2:36 PM :
Oggi leggendo il blog di Massimo Cristaldi ho trovato un articolo Tutti uguali? che mi ricorda molto il tema trattato in questo. Massimo si rifà ad un altro divertente articolo We Are Independant, Yet We Are Somehow The Same di Chase Jarvis.
Sembra quindi che non sia l’unico a rendersi conto che alla fine, gira e rigira, sembra sempre di vedere foto tutte uguali. Anzi, la cosa divertente è che non solo scattiamo tutti la stessa immagine, ma scriviamo nei blog anche le stesse cose!
Massimo Cristaldi
said, 29 May 2008 @ 2:58 PM :
Non avevo letto questo tuo articolo e quindi la cosa è effettivamente ANCORA più inquietante!!! Forse ha ragione Chase con l’idea della “social fabric”. Forse questo è quanto spinge fotografi come Francesco Zizola a cercare posti “nuovi” e complessi e a trovarsi, al ritorno, molto più shockati della nostra realtà che da quella, fatta di guerre e situazioni difficili che lui generalmente ritrae…. (parole sue, durante il suo ultimo workshop a Milano).
Fabiano Busdraghi
said, 29 May 2008 @ 4:15 PM :
Il problema è che sembra che viviamo un mondo ad omologazione infinita. Ieri stavo facendo un test photoshop per un’azienda che si occupa di moda e sfogliando qualche rivista che c’era in giro non potevo non stupirmi di come le foto mi sembrassero veramente tutte uguali.
Come fare? Dov’è la soluzione allora? Secondo me ha proprio ragione Chase Jarvis. Bisogna abituarsi all’idea che altra gente ha le nostre stesse idee, che a volta tocca buttar via un lavoro iniziato perché qualcuno c’è arrivato prima e l’ha pure realizzato meglio di quelloc he avremmo fatto. Che le idee contano poco, le idee realizzate sono tante. Se poi rimaiamo comunque in una massa pazienza, l’importante è fare bei lavori. Se poi un giorno avremo un colpo di genio tanto meglio, altrimenti pazienza, avremo comunque fatto qualcosa di interessante.
Per quanto riguarda lo shock della propria cultura poi è una cosa che capisco bene. Io, nel mio piccolo, ogni volta che torno in Italia da Parigi mi sento shockato, figurati quando torni dall’Iraq. La cosa poi mi fa pensare ai commenti di tanti amici che hanno passato un anno intero in Antartide. Gli chiedi:
-Allora, è dura?
-No, quello che è duro è riabituarsi al mondo di qua quando torni a casa.
Io un anno in Antartide non l’ho mai passato, ma quando son tornato a casa dopo qualche mese quella sensazione cui accenna chi ha svernato l’ho intuita benissimo.
ciao ciao
f
Massimo Cristaldi
said, 29 May 2008 @ 11:10 PM :
I soggetti sono davvero importanti. Scegliere dove puntare la macchina o quale set, stage, costruire è importante. Io, che ho una passione per i momenti decisivi, ogni tanto mi lascio andare a qualche rudimentale tentativo di “stage”. Seguendo un concetto o un’idea che ho dentro e che non potrei ottenere andando in giro con la macchina al collo. Ma, essendo come te un “onnivoro” sono anche un “esagerato” e spazio dentro forse troppi generi e attrazioni che (forse) mal si addicono a chi dovrebbe costruire, in modo “commerciale” (anche per eventuali galleristi) un set di immagini convincenti. E torniamo al vecchio adagio…. Se si fotografa per se stessi seguendo le proprie emozioni si è contenti ma solo in certi casi si è “premiati”….