Fotografia e verità 4: le non-foto inkjet e le foto-vere di Chuck Close
Dal punto di vista visivo quindi, a primo colpo d’occhio e per i non addetti ai lavori, una fotografia stampata utilizzando un ingranditore e una stampa a getto d’inchiostro sono molto simili fra loro. La differenza esistenti come il tipo di carta, la resa dei colori, il contrasto, etc, non sono assolutamente sufficienti a stabilire quale sia una fotografia e quale no, il distinguo è a priori e riguarda il modo in cui queste due stampe sono state ottenute: una tramite un procedimento fotosensibile, l’altra tipografico. Colgo l’occasione per aggiungere che nei musei e nelle gallerie si vede spesso un terzo tipo di stampe: le stampe lamda o più precisamente lightjet. Si tratta di stampe su carta sensibile ma esposte digitalmente, utilizzando dei laser rossi, verdi e blu. Dal punto di vista della definizione basata sull’interazione fra luce e materiale sensibile sono vere e proprie fotografie, ma dal punto di vista operativo non cambia niente per un fotografo se vuol far stampare a getto di inchiostro o lambda, si tratta sempre di un procedimento completamente meccanico e pilotato da un computer, cosa che vanifica i tentativi dei guru della camera oscura di gettare cattiva luce sulle tecniche moderne sfruttando unicamente la definizione originaria della fotografia. Da una parte le stampe all’ingranditore sono fotografie, le lambda pure, le getto d’inchiostro no, cosa stupefacente per la maggior parte delle persone su questa terra.
L’equivoco, almeno in parte, nasce dalla confusione fra stampa e fotografia. Mentre per fotografia si intende generalmente tanto la stampa quanto l’immagine fotografica in sé, indipendentemente dalla tecnica di riproduzione, una stampa a getto di inchiostro non è niente di più e niente di meno che la realizzazione di una stampa tramite una certa tecnica, tecnica non strettamente fotografica secondo la definizione data.
Quando guardiamo la fotografia di un politico stampata su di un quotidiano, riconosciamo in essa una fotografia, anche se di fatto si tratta di una riproduzione meccanica di cattiva qualità, di quella che dovrebbe essere la vera fotografia. La parola fotografia è stata utilizzata quindi per identificare tanto la fotografia originaria quanto la riproduzione di questa, quanto infine la fotografia in senso astratto.
Dire che fotografia è una stampa realizzata grazie all’interazione fra luce e materiale sensibile equivale a ricondurre unicamente la fotografia al suo supporto, operazione almeno in parte riduttiva.
Questa è una terza difficoltà nel tentativo di dare una definizione univoca. Fra l’altro è una difficoltà intrinseca. Le prime due possono essere messe da parte dicendo che la maggior parte della popolazione mondiale, compresi fotografi, curatori di musei, giornalisti, e via dicendo, non sa cosa sia la vera fotografia (Perdonali o Signore perché non sanno quello che fanno). Chi crede di essere l’unico portare della verità può sempre arroccarsi sulla definizione data e festa finita. Per quanto riguarda questa terza difficoltà invece c’è poco da fare, la definizione identifica completamente la fotografia con la sua stampa.
È fotografia allora la stampa o l’immagine fotografica in se? Come è possibile definire le caratteristiche dell’immagine fotografica indipendentemente dal supporto?
Per quanto mi riguarda ho molte difficoltà a separare la fotografia in senso astratto dal suo supporto, e questo è dovuto al fatto che storicamente si chiama fotografia sia l’una che l’altra. Allo stesso tempo in moltissimi casi si parla di fotografia indipendentemente da questo. Per il momento accantono anche questo problema. Mi limito a segnalare che questa è già la terza difficoltà che incontriamo in questo articolo, una difficoltà fra l’altro intrinseca nel definire cosa sia fotografia utilizzando unicamente la semplicissima definizione di interazione fra luce e materia sensibile.
Queste tre problematiche, per i miei gusti, sarebbero già di per sé abbastanza per finire la mia dimostrazione per assurdo e concludere che non vale la pena disquisire cosa sia o non sia fotografia, utilizzando l’appartenenza a questa classe per dare valore a un prodotto rispetto ad un altro. Non sarebbe più semplice dire che le stampe all’ingranditore sono quello che sono, quelle lambda e inkjet pure, quelle del pittore sono prodotte col metodo eseguito punto e basta? Non sarebbe meglio limitarsi ad ammirare le belle fotografie o quadri, in qualunque modo essi siano stati ottenuti, invece che disquisire cosa sia o non sia fotografia?
Ma continuiamo con la definizione dogmatica e vediamo a che punto arriviamo. Vedremo che da una parte la definizione è troppo vasta e dall’altra invece troppo restrittiva per essere rigorosa e allo stesso tempo includere ciò che per il senso comune, anche del più integralista stampatore di camera oscura, è fotografia. Appuntamento alla prossima puntata.
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Mirko
said, May 9, 2008 @ 1:32 PM :
L’idea che mi sono fatto è che, come esseri umani, tendiamo naturalmente a cercare definizioni di una data cosa nel tentativo di comprenderla meglio. Ovvero, se sono in grado di definire X, vuol dire che conosco X abbastanza da poterlo descrivere a parole. Ora, se questa naturale tendenza è in genere un atteggiamento positivo, esistono casi in cui essa diventa negativo.
Un esempio classico è quello della definizione di fotografia, in cui entrano in gioco i diversi significati che, come dicevi, la parola ha assunto nel corso del tempo (al punto che oggi usiamo indifferentemente il termine “fotografia” per una stampa tipografica su un giornale, così come per il ritratto su una patente plastificata). Altro esempio e’ quello della definizione di “Street Photography”.
In generale, credo che cercare di definire una attività umana è un tentativo pericoloso di riassumere in pochi termini una produzione sterminata, ovvero si rischia che la definizione tenda ad identificarsi con la cosa stessa che si vuole definire. Se la cosa che si vuole definire è particolarmente complessa, la definizione perde la sua qualità di “sintesi” e diventa non solo inutile ma pericolosa perché necessita di operare delle semplificazioni eccessive.
Per questo diffido di chi ritiene di disporre della definizione di “Fotografia” o “Fotografia di Strada” e così via dicendo.
Fabiano Busdraghi
said, May 9, 2008 @ 1:58 PM :
Ciao Mirko,
Innanzi tutto sono contento che anche tu sia avverso alle definizioni. Sebbene naturalmente non siamo le uniche due persone sulla terra vedo difendere con grande accanimento quello che, a vista di molti, dovrebbe essere l’unico possibile ambito fotografico.
Questi articoli sono il mio contributo per cercare di andare di là a queste sterili categorizzazioni. Probabilmente per te non saranno utili, visto che sei già arrivato indipendentemente alle mie stesse conclusioni. Spero però che serva per smuovere un po’ gli eserciti di fotoamatori che continuano a dire cosa sia e cosa non sia una foto. E magari anche a mettere una qualche pulce nell’orecchio a qualche grande fotografo che la pensa in questo modo, visto che gli esempi illustri purtroppo non mancano.
Per concludere devo dire che hai ragione, è una naturale tendenza umana, quella di voler mettere i picchetti a quello che ci sta intorno. Da parte mia però sono allergico a tutti i dogmi, le regole, le religioni, i pregiudizi e gli atteggiamenti conservatori. Lo so che è più difficile vivere senza linee guida, ma aver il coraggio e la forza di rinunciare alle definizioni è, a mio vedere, un passo fondamentale.
Grazie del tuo contributo
Fabiano