Baudelaire
Charles Baudelaire

Negli ultimi due articoli di fotografia e verità abbiamo visto come la caratteristica in generale considerata fondamentale di interazione della luce tanto fondamentale poi non sembra essere, nel senso che non riesce a determinare in modo razionale cosa sia fotografia e cosa no. Da una parte siamo obbligati a sottolineare che deve avvenire unicamente un’interazione fra luce e materiale sensibile, perché lasciando cadere l’unicità quasi tutto può essere incluso nella categoria fotografia, dall’altra parte però questo esclude dall’ambito fotografico la quasi totalità delle immagini che praticamente tutti consideriamo fotografia. Immagini, è il caso di dirlo, che sono vere e proprie fotografie a tutti gli effetti.

Durante gli ultimi articoli abbiamo parlato brevemente anche di altre presunte caratteristiche fondamentali, che si sono tutte verificate come non essenziali e non discriminanti. Prima di tirare qualche conclusione e chiudere questo primo capitolo della seria, trattiamo rapidamente ancora un’altra proprietà “fondamentale” della fotografia molto importante, fonte di equivoci infiniti. Ovvero il rapporto mimetico della fotografia con la realtà. Detto in parole povere l’idea che la fotografia assomiglia terribilmente alla realtà che rappresenta, sembra uguale, tanto da considerare questa caratteristica non una contingenza, ma un suo tratto distintivo. Il rapporto mimetico fra fotografia e realtà è infatti proprio uno dei motivi principali che hanno portato ad identificare fotografia e realtà come la stessa e unica entità.

Autochrome
Autochrome del 1907

Del resto è proprio questa caratteristica di riproduzione precisa e fedele del reale che attirava e stupiva i pionieri dell’immagine fotografica. I primi uomini a vedere le primissime fotografie rimanevano a bocca aperta e si chiedevano cosa fosse, un disegno perfetto o qualche opera di stregoneria. Si dice che una delle reazioni più comuni di chi per la prima volta guardava una fotografia stereoscopia era allungare la mano per cercare di afferrare gli oggetti che vedeva nello spazio di fronte a se, come se fossero reali.

Io stesso sono stato spesso colpito dalla forza di mimesi che può avere la fotografia. Una delle esperienze fotografiche più intense della mia vita, infatti, fu una mostra alla MEP di diapositive autochrome, un procedimento in tricromia inventato nel 1903 dai fratalli Lumière, rare immagini a colori di inizio secolo su finissime e splendide lastrine di vetro. Lastre di una decina di centimetri di lato, retroilluminate e montate su una parete nera, in una stanza molto buia. Per vederle ci si doveva avvicinare al muro, e mi ricordo che ho avuto la sensazione fortissima di guardare come attraverso un buco, un buco in un muro che si affaccia su un mondo diverso che è dall’altra parte. Per uno strano scherzo della natura il tempo e lo spazio avevano fatto un salto, non c’era più una linea retta, di là dal muro c’erano veramente signorine con cappelli e ombrelli per proteggersi dal sole, signori col cilindro intenti in amabili conversazioni, fanciulle sedute sull’erba immerse nella lettura di un romanzo. Ed erano vere, verissime, quasi le si poteva toccare, il buco nel muro mi aveva riportato letteralmente indietro nel tempo. L’ottocento era li davanti ai miei occhi e sembrava di poterlo toccare. Ne uscii letteralmente con le lacrime agli occhi.

Arafat Rabin
La stretta di mano di Arafat e Rabin

Non solo i fotografi e la gente comune sono stati colpiti dal rapporto mimetico fra fotografia e realtà, ma anche moltissimi intellettuali e personalità di spicco. Soprattutto durante il diciannovesimo secolo, con alcuni strascichi contemporanei. Nel novecento i filosofi e gli analisti poi si resero conto che il rapporto mimetico non era un proprietà fondamentale della fotografia, ma solo una contingenza. La fotografia quindi iniziò ad essere riconosciuta come interpretazione della realtà. Fotografia quindi non come icona ma come simbolo. La cosa andò avanti per svariati decenni, fino a quando finalmente i filosofi si resero conto che la fotografia non è fondamentalmente né l’una né l’altro, né icona né simbolo, ma piuttosto indice. Torneremo in dettaglio su questo argomento, per il momento limitiamoci a ripercorrere rapidamente la storia della percezione delle caratteristiche della fotografia, la percezione come icona e come simbolo. In questa sede l’unica cosa che preme è far capire che l’essere icona della fotografia, il suo rapporto mimetico con la realtà, non è affatto una sua proprietà fondamentale. Questo come dicevo è stato riconosciuto molto presto, ormai da almeno un centinaio di anni, ed è stupefacente doverlo ripetere ora. Ma vista la quantità di persone che ancora si lasciano ammaliare conviene insistere un po’ su questo argomento. Per farlo seguirò in parte l’ottimo libro L’acte photographique di Philippe Dubois, di cui consiglio la lettura a tutte le persone che si interessano alla filosofia della fotografia.

Autochrome
Autochrome

Le prime reazioni del mondo intellettuale di fronte alla novità assoluta rappresentata dalla fotografia sottolineavano con veemenza la rassomiglianza fra fotografia e reale. Questa caratteristica poteva essere portata a prova della grande utilità di questa nuova invenzione per l’umanità, ma anche come dimostrazione che la fotografia in alcun modo poteva e doveva aspirare a diventare qualcosa di paragonabile alla pittura. Famosissimo per esempio è il giudizio disgustato di Baudelaire a proposito della fotografia:

Credono che l’arte è e non può essere che la riproduzione esatta della natura [...]. Un Dio vendicatore ha esaudito il desiderio di questa moltitudine. Daguerre è stato il suo Messia. E allora questa [la moltitudine] ci dice “visto che la fotografia ci da tutte le garanzie desiderabili di esattezza (ci credono, gli insensati), l’arte è la fotografia. A partire da questo momento la società immonda si è precipitata, come un solo Narciso, per contemplare la sua triviale immagine nel metallo. Una follia, un fanatismo straordinario si è impadronito di tutti questi nuovi adoratori del Dio sole.

Catalogo

È nota l’avversità di Baudelaire all’idea che la fotografia potesse essere arte. L’idea che la fotografia sia una copia perfetta della realtà e che quindi potesse sostituire la pittura era completamente disgustosa per il poeta, che vedeva l’arte come ispirazione sublime e immateriale. Molte reazioni contemporanee a Baudelaire invece sono invece entusiastiche, vedo l’utilità della fotografia nella sua esattezza, ma si basano sempre sulla stessa identica concezione di una separazione netta fra da una parte l’arte, nobile invenzione della fantasia sufficiente a se stessa, e dall’altra la fotografia, semplice strumento di riproduzione fedele del reale. Utile per riprodurre libri, documentare viaggi e ottenere rapidi bozzetti, ma niente di più di uno strumento automatico. Un contemporaneo di del grande poeta francese, Hippolyte Taine, scrive:

La fotografia è l’arte che, su una superficie piana, con delle linee e dei toni, imita alla perfezione e senza nessuna possibilità d’errore la forma dell’oggetto che deve riprodurre.

Anche un pittore del calibro di Picasso considerava la fotografia come un fedelissimo mezzo di riproduzione del reale.

Perché l’artista continuerebbe a trattare dei soggetti che possono essere ottenuti con tanta precisione con l’obiettivo della macchina fotografica? [...] La fotografia è arrivata al punto di liberare la pittura da ogni aneddoto, da ogni letteratura e pure dal soggetto.

Follmi
Fotografia di viaggio
© Olivier Föllmi

Strascichi di questa concezione di rapporto mimetico fra realtà e fotografia, purtroppo come dicevo non si limitano al 1800, ma è arrivata anche ai nostri giorni. Se questo è comprensibile per la gente comune, che ha una visione se vogliamo fresca e innocente come i primi utilizzatori delle prime fotografie, rimane stupefacente che un pensatore salti decenni e decenni di critica storia della filosofia estetica e continui a vedere la fotografia nell’ottica dei primi, accecati, fotografi e pensatori ottocenteschi. Giusto per fare due esempi del ’900:

La fotografia è cancellazione totale di fronte al reale, con il quale coincide. È il mondo tale e quale, nella sua verità immediata, che riproduce sulla carta o su uno schermo. Roger Munier

Oppure, sempre sulla stessa lunghezza d’onda:

L’originalità della fotografia rispetto alla pittura risiede nella sua obiettività essenziale. [...] per la prima volta un’immagine del mondo esterno si forma automaticamente senza intervento creatore dell’uomo, secondo un determinismo rigoroso. André Bazin

E per finire anche il tanto studiato e apprezzato Roland Barthes:

Cosa trasmette la fotografia? Per definizione, la scena stessa, il reale letterale. [...] certo l’immagine non è il reale, ma ne è il suo analogo perfetto ed è precisamente questa perfezione analogica che, per il senso comune, definisce la fotografia.

Quello del rapporto mimetico fra fotografia è realtà è quindi uno zoccolo duro della percezione di cosa sia o meno fotografia. È un approccio giustificato, perché in generale è vero che le fotografie assomigliano a quello che rappresentano. È vero che sono icone spesso incredibilmente veritiere dell’oggetto che rappresentano. Del resto la fotografia pubblicitaria funziona perché permette di rappresentare in modo abbastanza fedele l’articolo in vendita. Le foto tessere sui documenti di identità servono a identificarne il possessore. Le fotografie di viaggio mostrano come sono luoghi lontani, che non potremo mai visitare. La stretta di mano fra leader politici viene immortalata con una fotografia.

Il grande errore sta nel considerare la mimesi con la realtà una proprietà fondamentale della natura fotografica. Proprietà fondamentale significa che permette di distinguere la fotografia da altri tipi di immagini, che costituisce l’essenza del fotografico. In realtà le fotografie possono essere icone più o meno riuscite della realtà, ma questo loro essere icone non è assolutamente necessario, come vedremo nel prossimo articolo.

Autochrome
Autochrome, 1920

Inoltre la fotografia segue tutta una serie di codici di lettura assodati. Che i primi uomini a contatto della fotografia non si siano resi conto che non erano tanto icone, ma piuttosto simboli, è dovuto al fatto che la fotografia si iscriveva in un sistema di rappresentazione del reale che segue tutta una serie di costruzioni mentali e simboliche di una traduzione iniziata con il rinascimento. Tradizione tanto assodata da non rendersi conto che, più che mimesi, si tratta di simbologia.

Nel prossimo articolo vedremo quindi come la proprietà di mimesi della fotografia non solo in generale non è necessaria, perché molte fotografie possono non assomigliare alla realtà, ma oltretutto è anche illusoria, la fotografia nella sua essenza è molto più simbolo, codifica della realtà, piuttosto che icona del reale.


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