Intervista alla redazione di Miciap parte 3
Terza e ultima parte dell’intervista alla redazione di Milano Città Aperta, una rivista online e gratuita dedicata alla fotografia di Milano.
Fabiano Busdraghi: Un fotografo di Milano di cui amate particolarmente il lavoro e perché.
Isacco Loconte: Se per fotografo di Milano si intende anche “di adozione” (a voler essere precisi infatti è nato in provincia di Brescia), la mia scelta cade sicuramente su Ugo Mulas. Le sue fotografie hanno secondo me qualcosa di magico. Mi riferisco in particolare a quelle realizzate a Milano. Spesso ritraggono momenti di vita comune – bar, stazioni, persone che camminano per strada – ma sono impregnate di sorta di mistero senza al contempo rinunciare al loro realismo. Magnifico.
Barbara Danasi: Manuel Felisi, di cui ho apprezzato l’opera Nato a Milano Lambrate l’anno scorso presso la fabbrica Eos; è nato a Milano nel 1976 e tutt’ora vi vive e vi lavora; dal 1997 partecipa a mostre collettive, e al 1999 risale la sua prima personale; Nato a Milano Lambrate e Distrato, la sua ultima personale presso Contemporanea (mente a Parma, sono curate da Alberto Mattia Martini. È un artista legato ai temi della fusione fotografica e pittorica e della stratificazione, mostrando, attraverso queste tecniche, un aspetto particolare di Milano, onirico, quasi fantascientifico, ma assolutamente reale, palpabile e inquietante; eternizza con la pittura ciò che coglie in un istante con la fotografia, e questi sono gli aspetti del suo lavoro che maggiormente prediligo e che nel mio personale percorso mi sono sempre stati cari: raccontare la città con la fotografia, rielaborarla con la fantasia, mantenendone l’anima intatta.
Fabiano Busdraghi: Un lavoro fotografico su Milano che vi ha particolarmente colpito e perché.
Daniele Pennati: Non posso che rispondere “Archivio dello spazio 1987-97 Dieci anni di fotografia italiana sul territorio della provincia di Milano”, ma siccome ne ho già parlato in una precedente risposta ripiegherò su un lavoro molto poco conosciuto (poiché la pubblicazione che ne è seguita non è in vendita), ma di altissimo pregio: Senza Foce di Giovanni Chiaramonte.
Perché lo reputo importante? Innanzi tutto perché Chiaramonte è uno dei miei fotografi preferiti e trovo che abbia la capacità straordinaria di trasfigurare i paesaggi che fotografa conferendo un senso di onirica surrealità alle sue immagini. In secondo luogo perché con questo lavoro, che ripercorre il cammino del fiume Olona dalla sorgente fino a che non scompare nei condotto sotterranei di Milano, è stato capace di nobilitare un dei contesti più ambientalmente degradati di tutto il territorio provinciale. Una nobilitazione che, come in tutti i lavori di Chiaramonte, non è una ricerca del bello a tutti i costi, ma anzi un riconoscimento di un valore storico antropico e naturale che resta ancora in potenza, un valore nascosto e sommerso su cui diviene evidente (osservando le immagini) che è necessario intervenire. Questo è quello che io chiamo “potere progettuale” dell’immagine fotografica: la sua capacità di indagare il territorio facendone emergere le necessità o le opportunità di intervento, trasformazione e riqualificazione.
Nicola Bertasi: Forse i lavori dei fotografi del gruppo Prospekt. Ma Milano non è una città di fotografia, di ricerca fotografica, e così ripropone mostre di Berengo Gardin da 50 anni come fosse l’unica persona che abbia fotografato la città. È la letteratura, i racconti in dialetto, le favole dei bar del centro che ispirano molti milanesi, me compreso. È Vittorini che crea l’immaginario della città. La nostra rivista se vuole funzionare non dovrà cercare di adeguarsi alla linea di una ricerca reportagistica e artistica che di fatto non si palesa (non perché non esiste ma perché giustamente si nasconde all’assalto) e dare spazio alla turbolenza che riempie i blog, i diari, gli scatti di chi non ha i soldi per esprimersi; dovrà cercare di assemblare i dialoghi tra i non disillusi che ancora credono di poter fare qualcosa (e sopratutto di essere liberi di pensare qualcosa di diverso!). E tutto questo per creare una corrente tra le persone meno appesantite dal crescente conformismo negativo.
La fotografia è diventata ricerca da poco a Milano ed è troppo spesso costola del marketing della pubblicità. A questo proposito sarebbe bello che Milano Città Aperta si proponesse per quelli che utilizzano la fotografia per raccontare e non per vendere. Le foto belle di Milano sono spesso invisibili, nascoste perché, semplicemente, le Storie a Milano sono invisibili, nascoste, sotterrate da cumuli di pubblicità. Bisogna ricominciare a raccontare finché le storie hanno ancora la forza di parlare, con la fotografia, la scrittura, la pittura, la musica e le altre arti. E per raccontare non basta filmare, scrivere, dipingere o fotografare, bisogna sentire le cose. E per sentire le cose……Insomma per fare questo ci vuole tanto coraggio perché bisogna bucare un sistema che va nell’opposta direzione. Ma a volte, nella storia, basta un buco davvero piccolo per aprire una breccia.
Fabiano Busdraghi: Passiamo ad una domanda un po’ filosofica e forse un po’ troppo vaga: che cosa rappresenta per voi la fotografia in senso generale? Come definireste la fotografia in quanto tale?
Isacco Loconte: Ad una domanda del genere non posso che rispondere citando quella che considero la mia bibbia fotografica, L’immaginario dal vero di Henri Cartier-Bresson.
“Fotografare è trattenere il respiro quando tutte le nostre facoltà di percezione convergono davanti alla realtà che fugge: in quell’istante, la cattura dell’immagine si rivela un grande piacere fisico e intellettuale.
Fotografare è mettere sulla stessa linea di mira la testa, l’occhio e il cuore.
Per me fotografare è un modo di capire che non differisce dalle altre forme di espressione visuale. È un grido, una liberazione. Non si tratta di affermare la propria originalità; è un modo di vivere”
Barbara Danasi: La fotografia è uno strumento di ricerca e di analisi. È un modo di cogliere la realtà nel suo sguardo più vero e nello stesso tempo più cieco; è vero che oggigiorno e già da parecchio tempo, parlare di fotografia come di “verità” può sembrare contraddittorio, ma mi piace pensare anche che le successive rielaborazioni in post produzione siano nate dopo la fotografia, e siano tutt’oggi una scelta; la fotografia è quel processo per cui la luce prende le informazioni dalla realtà così come esse si propongono davanti l’obiettivo, quindi la fotografia in quanto tale è documentazione; tutto quello che viene oltre, compreso il ruolo che si pone il fotografo nel momento in cui scatta una fotografia, è creazione e risponde ad altre leggi: il punto di vista, l’idea, il progetto, la comunicazione.
Fabiano Busdraghi: Su quest’ultimo punto, come sanno bene i lettori fedeli di Camera Obscura che hanno avuto modo di leggere Fotografia e Verità, non posso essere d’accordo e sono obbligato a scriverlo per coerenza redazionale1. Vero che la quantità di manipolazioni cui viene sottoposta un’immagine è una scelta del fotografo o più in generale dell’artista, ma le manipolazioni non possono essere viste come un’aggiunta posteriore o accessoria, perché sono intrinseche ad ogni tipo di immagine fotografica, altrimenti bisognerebbe considerare come fotografie unicamente i negativi esposti ma mai sviluppati e fissati2. Allo stesso tempo capisco l’approccio diretto e oggettivo di chi sceglie di utilizzare la fotografia a scopi documentaristici, ma si tratta appunto di una scelta, non di una caratteristica fondante della fotografia. Chiudo qui questa piccola polemica per passare alle ultime due domande, un po’ più generali.
Che cosa amate di Milano? Perché vi piace vivere in questa città?
Isacco Loconte: Di recente in occasione dell’inaugurazione del nostro progetto abbiamo scelto un testo da recitare ai presenti sotto forma di monologo. Si intitola “Sette peccati milanesi e una virtù”. La parte riguardante i peccati è facile da immaginare (anestesia, velocità, individualismo, ecc), ma il passaggio riguardante la virtù arriva inatteso e potente. Giorgio Fontana, l’autore, la chiama “il diavolo dormiente”. È un’immagine indistinta ma al contempo estremamente vivida per chi vive questa città (o almeno per me). Perché Milano è, dopotutto, anche questo. La città dove dorme un diavolo. E io aspetto con ansia il suo risveglio”.
Niccolò de Mojana: Milano offre più possibilità di qualunque altra città italiana nel campo del lavoro e dell’espressione culturale e artistica. Inoltre si ha sempre la strana percezione di abitare in una grande metropoli che conserva allo stesso tempo molte delle caratteristiche dei tipici paesini italiani.
Fabiano Busdraghi: Che cosa detestate invece di Milano? Che cosa vorreste cambiare?
Filippo Ceredi: Trovo spaventosa l’aggressività che ogni giorno si respira in città. Partendo dall’atteggiamento che molte persone di responsabilità si portano addosso, quell’aria di essere state elette da una divinità a gestire la verità (nelle università) il successo in affari (negli uffici di banche e imprese) lo stile (negli studi di moda) la socialità (nella movida). C’è qualcosa di terribilmente retrogrado in questo atteggiamento: non si risolve solo in una diffusa incapacità di ascoltare ciò che viene di nuovo dall’esterno, ma è anche un modo per diffondere in molte categorie di cittadini la paura di non essere adeguati a ciò che la società richiede da loro. Io credo che il momento storico sia difficile e ponga questioni e contraddizioni nuove, che suscitano forti tensioni sociali, ma credo anche che ci siano precise responsabilità politiche nel modo in cui questo sentimento di paura sta prendendo sempre più piede nella nostra città e altrove nel nostro Paese e purtroppo nel modo in cui tale paura si trasformi in aggressività nei confronti dei “diversi”, immigrati prima di tutti.
Alfredo Bosco: Purtroppo Milano non conosce e non riconosce un’alternativa culturale a quella che offre l’élite presente.
Se da una parte c’è un amministrazione regionale e comunale che lascia molto a desiderare, dall’altra c’è uno “zoccolo duro”, formata dalla classe benestante dedita ai buoni salotti che non produce un’adeguata soluzione per rilanciare culturalmente la città.
Ci piacerebbe cambiare questo atteggiamento “snob” proprio con il nostro progetto miciap, interessante e costituito da una generale intenzionalità artistica, senza dimenticare un sano pragmatismo redazionale.
Leggi la prima e seconda parte dell’intervista alla redazione di Milano Città Aperta, rivista online dedicata alla fotografia milanese.
- Naturalmente pubblico la risposta senza nessuna censura, visto che credo nella libertà di espressione e nel valore delle idee divergenti, ma è importante che il fatto stesso che la pubblichi non venga scambiato per una mia presa di posizione in questo senso, che condivida il messaggio contenuto nella risposta data [↩]
- Per dettagli si legga in particolare Quasi niente è fotografia. [↩]