Camera Obscura » Tecnica /it/ A blog/magazine dedicated to photography and contemporary art Thu, 12 Apr 2012 19:59:02 +0000 en hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.3.1 L’ingrandimento digitale /it/2008/ingrandimento-digitale/ /it/2008/ingrandimento-digitale/#comments Wed, 26 Nov 2008 07:13:10 +0000 Fabiano Busdraghi /?p=688 Base
File di partenza da ingrandire più di 20 volte la dimensione originale.

Durante gli ultimi mesi sono stati pubblicati su Camera Obscura diversi articoli che riguardano i trattamenti digitali del rumore, lo sharpness, la simulazione del grano analogico e l’ingrandimento delle immagini. Vale la pena fare un piccolo punto della situazione e vedere come si comportano gli strumenti appresi in un caso reale. In questo articolo verrà quindi introdotto qualche ultimo strumento utile, per poi riprendere tutti insieme i concetti introdotti negli articoli precedenti, applicandoli ad un ingrandimento considerevole di una fotografia in bianco e nero.

Devo dire che questo articolo è particolarmente avanzato e complesso. Per comprendere correttamente la procedura seguita è necessario essere perfettamente a proprio agio con le tecniche di camera chiara descritte fino a questo punto. Per questo motivo, prima di proseguire, si consiglia caldamente la rilettura almeno dei 4 articoli principali apparsi fino ad ora su Camera Obscura che trattano questi argomenti specifici. Ecco quindi una lista in ordine cronologico di pubblicazione per accedervi rapidamente.

La fotografia utilizzata in questo articolo è stata scattata con una Nikon D3 e un 60mm f2.8 a 200iso. Una volta sviluppato con Camera Raw il file è stato reso leggermente più netto con leggero sharpness. In seguito è stato convertito in bianco e nero, per poi esser moderatamente ritoccato (gestione locale del contrasto). Si tratta di un file di ottime qualità tecniche, indispensabili per l’ingrandimento. Il file infatti non è né sfuocato né mosso, il rumore digitale è assente, come gli artefatti digitali, infine è stato prodotto da una splendida macchina che montava un’ottima otticha. Nonostante tutto questo si tratta pur sempre di “soli” 12 milioni di pixel. In teoria, stampando a 360ppi, si potrebbe ottenere una stampa al massimo di circa 20x30cm. In questo caso invece si vuole andare molto più in là, è stata applicata un’interpolazione del 460%, ovvero un ingrandimento che permetta di ottenere una stampa di ben 92x138cm circa!

Bicubic Smoother
Ingrandimento tramite l'estrapolazione Bicubic Smoother di Photoshop.

Come già detto negli articoli precedenti non si possono fare magie, i dettagli non presenti nella foto non possono venire inventati da nessun tipo di trattamento digitale. Se è questo quello che si cerca è ancora necessario scattare in grande formato analogico, almeno fino a che non saranno disponibili dei dorsi digitali 8×10. Oppure fare dello stitch digitale. L’obbiettivo in questo caso è ottenere comunque un’ottima stampa a partire da questo file, mostrando che i risultati scadenti in generale sono dovuti alla scarsa conoscenza delle tecniche di camera chiara. Si tratta comunque di un esempio di quello che è possibile fare con gli strumenti che si hanno a disposizione, non deve essere un dogma o una tecnica da applicare alla lettera. Come vedremo non esiste una procedura standard, ma una serie di strumenti a disposizione dello stampatore, che si deve adattare alla situazione e alle esigenze di stampa considerandole caso per caso. Quando si lavora su stampe digitali di questo livello si ritorna alla figura dello stampatore in camera oscura, che deve saper tirare fuori il massimo da un negativo, dandone la propria interpretazione personale. Ci si trova un po’ nella stessa situazione, ma con il vantaggio di avere a disposizione strumenti molto più versatili e una libertà d’azione molto più grande.

Il crop che accompagna questo articolo è stato scelto in modo da presentare tutte le possibili caratteristiche di una possibile stampa. File equilibrato, con tutti i tipidi di dettaglio e i toni rappresentati: grigi medi, ombre scure in alto a sinistra, alte luci in basso a destra, zone nere e riflessi completamente bianchi. Ciglia estremamente dettagliate, pelle liscia e uniforme, singoli capelli stagliati sul naso e sulla fronte. Le dimensioni del file sono tali che, una volta ingrandito, se si stampa a 360ppi si consuma giusto una pagina A4 per ogni prova di stampa, cosa particolarmente comoda per effettuare i test.

Vale la pena ricordare che in questi casi è veramente essenziale stampare per decidere come eseguire il ritocco. Le valutazioni a monitor sono assolutamente inadatte e vanno evitate. Per rendersi conto degli effetti reali della tecnica descritta si consiglia di stampare le ultime tre fotografie che accompagnano questo articolo. Si sconsiglia di aprirle direttamente nella finestra del navigatore perché sono file di dimensioni piuttosto grosse.

Genuine Fractal 5

Genuine Fractal
Ingrandimento eseguito con il plugin Genuine Fractal 5.

Dopo questa lunga introduzione inizimo finalmente a vedere come procedere. La prima cosa da fare naturalmente è interpolare l’immagine per portarla alle dimensioni volute. Per fattori di ingrandimento così alti l’algoritmo Bicubic Smoother di Photoshop non è più adeguato. Esistono altre soluzioni che permettono di estrapolare l’immagine con risultati migliori, come i plugin Photozoom Pro2 o Genuine Fractal 5. I due prodotti, per i nostri usi, sono praticamente equivalenti, e nel seguito verrà utilizzato Genuine Fractal.

Le impostazioni di quest’ultimo sono state scelte in modo da ottenere i bordi dei capelli e delle ciglia più netti e dettagliati possibili. Si è cercato di limitare artefatti eccessivamente vistosi su ciglia e capelli, ma si sono accettati alcuni artefatti leggeri nella pelle e sulle zone uniformi, visto che tanto verranno coperti dal grano aggiunto in seguito. Il grano aggiunto direttamente dal plugin Genuine Fractal è stato tenuto volutamente basso, visto che è molto più brutto e irreale di quello generato da Imagenomic Real Grain. Le impostazioni passate a Genuine Fractal, tanto per la cronaca, sono queste: Texture Control 4-35; Sharpening 2-100-30; Film Grain 20.

Confrontando il risultato ottenuto con il resample Bicubic Smooter di Phoshop, si notano subito le differenze, tutte a favore di Genuine Fractal. Il file ottenuto con Bicubic Smooter è molto più morbido e liscio. Visto così potrebbe essere un effetto più naturale, ma i dettagli come le ciglia sono troppo smussati e grigiastri per quello che verrà fatto in seguito. Certo, è possibile applicare dello sharpness, ma la dimensione degli oggetti più piccoli risoluti dall’obiettivo rimane troppo grande e diffusa. Bisogna inoltre ricordarsi che nel seguito aggiungeremo un grano molto intenso all’immagine, che ne ammorbidirà ulteriormente i bordi. Meglio partire quindi da qualcosa di più tagliente, come il file prodotto da Genuine Fractal. È vero che i riflessi bianchi sulla pelle delle palpebre sono innaturali ed eccessivi, ma diventeranno piacevoli una volta applicato il grano. Notiamo poi che il bordo generato da Genuine Fractal è nettamente superiore nelle zone ad ampio scarto di contrasto. Si noti per esempio il riflesso dello spot nell’occhio della modella. Usando Bicubic Smoother si hanno evidenti artefatti sulla zona di bordo, mentre con Genuine Fractal si ritrova quasi perfettamente l’esagono del diaframma. Sono piccoli particolari come questi che faranno sembrare netta la foto anche in mancanza di dettagli reali. L’unico punto in cui Genuine Fractal sembra inferiore a Bicubic Smooter è negli artefatti che aggiunge all’immagine, artefatti che ne traducono immediatamente la natura digitale. La superficie della foto sembra tramata, come se fosse stampata su carta o su stoffa, mentre quella di Bicubic Smoother è molto più liscia e uniforme. Questi artefatti fanno si che molti preferiscano Photozoom Pro2, ma vale la pena ricordare che anche lui aggiunge altri artefatti e soprattutto che una stampa a questo stadio porterebbe a pessimi risultati se osservata da vicino, sia con un plugin che con l’altro. L’aggiunta del grano ancora una volta eliminerà questo problema, rendendo naturale la stampa e facendola somigliare a quella ottenuta stampando da pellicola.

Aumento locale del contrasto

Overlay Grain
Fila trattato con: aumento locale del contrasto, grano sui bordi e grano in overlay.

Il primo ulteriore passaggio per migliorare la qualità della stampa è un aumento del contrasto locale, perché la mancanza reale di dettaglio pregiudica il microcontrasto, e la foto nella sua totalità sembra più morbida. Anche all’ingranditore del resto le stampe più grandi hanno bisogno di esser tirate su una carta più dura, e il digitale certamente non fa eccezione. All’ingranditore si dovrebbe contrastare globalmente l’immagine e poi lavorare di maschere e esposizione sulle diverse parti della foto in modo da ottenere una foto equilibrata, senza alte luci bruciate e ombre chiuse. Un lavoro che richiede grande sapienza e manualità. Con il digitale si potrebbe fare lo stesso lavoro selezionando globalmente ogni parte dell’immagine e aumentandone il contrasto, ma diventa una procedura estremamente lunga e tediosa. Esiste la possibilità di aumentare il contrasto locale in maniera rapida e automatica, anche se naturalmente con risultati leggermente inferiori a quelli ottenibili procededo a mano. Basta applicare una maschera di contrasto con raggio relativamente elevato e scarsa intensità, e si recupererà un minimo la sensazione di contrasto locale. Anche in questo caso i valori vanno determinati caso per caso, nella foto in questione è stato applicato su un nuovo layer il filtro Unsharp Mask con i valori 35-50-0. Il layer è poi stato messo al 65% di opacità.

Aggiunta del grano simulato

A questo punto è arrivato il momento di aggiungere il grano. Bisogna dire però che purtroppo, quando si lavora sul file intero, il plugin Imagenomic Real Grain va in crash su immagini di queste dimensioni. Per ovviare a questo inconveniente bisogna creare un nuovo file di dimensioni per esempio pari ad un ottavo del file su cui si lavora. Si riempe il file con un grigio 50% e si applica il grano, con un’intensità, viste le dimensioni su cui si lavora, direttamente del 100%. A questo punto tramite Canvas Size si raddoppia la dimensione del file, si copia il layer e lo si sposta in modo da riempire la porzione appena creata, facendo attenzione a far coincidere i bordi dei due layer senza sovrapporli. Appiattendo i layer e ripetendo l’operazione due volte si ottiene un file delle dimensioni volute che contiene il grano da applicare sull’immagine di partenza. Per finire è stato aggiunto del Noise monocromatico e uniforme con un’intensità di 12px. In questo modo si può costruire un layer di grano di qualunque dimensione.

Double Grain
Aggiunta di un doppio layer di grano in overlay.

Il layer così ottenuto è stato aggiunto in Overlay sull’immagine, applicando invece il grano direttamente sui bordi dell’immagine come spiegato nell’articolo: Il grano per migliorare i forti ingrandimenti digitali. In questo caso la maschera di bordi è stata generata dopo aver estrapolato il file. Invece di ingrandire la selezione, visto che l’intervallo attorno ai bordi è già ampio, è stata contratta di 2px e leggermente sfumata con un Gaussian Blur del raggio di 3px. Un altro buon esempio di come non bisogna seguire un articolo alla lettera, ma capirne i concetti e adattarli caso per caso. L’idea è quella di applicare il grano direttamente sui bordi netti dell’immagine. Nell’articolo citato la maschera di bordo andava ingrandita e sfumata per ottenere l’effetto voluto, in questo caso è stato deciso di restringerla, per applicare il grano veramente solo sui bordi netti. L’idea di fondo rimane la solita, l’applicazione si adatta alle esigenze del momento.

La prima foto che accompagna quest’articolo mostra il risultato ottenuto eseguendo il ritocco descritto fino a questo punto. Per molti il risultato potrebbe essere già accettabile. I capelli e le ciglia sono ben rappresentati, nelle parti uniformi e soprattutto nelle ombre il grano è visibile e piacevole. Per i miei gusti però si vende ancora troppo che si tratta di un ingrandimento spinto all’estremo. Preferisco aggiungere ulteriormente del grano, in modo che questo si sostituisca alla mancanza di particolari dell’immagine, creando materia aggiuntiva su cui l’occhio si attacca quando esplora l’immagine alla ricerca di dettaglio. Così facendo bisogna accettare un’ulteriore perdita di dettaglio ma, come già detto, lo scopo in questo caso è fare una bella stampa, non contare le linee per millimetro che possono essere ottenute con un certo corpo macchina e un certo obbiettivo.

Come fare per aggiungere ancora più grano se siamo già al massimo delle possibilità offerte dal plugin? Una semplice soluzione consiste a duplicare il layer in overlay, ruotandolo di 180° in modo da sfalsare il grano fra i due layers. La seconda stampa è stata ottenuta in questo modo. Il risultato adesso inizia ad essere veramente soddisfacente, il grano comincia a sentirsi anche visualizzando l’immagine da una distanza di circa 30cm. Ci si potrebbe fermare qui, ma analizzando attentamente l’immagine ci si rende conto che c’è ancora un po’ di lavoro da fare. La pelle della fronte e del naso nella parte destra della foto infatti è particolarmente inestetica. Sono presenti delle righe bianche che tradiscono una luce troppo cruda al momento dello scatto e la natura digitale della fotografia. Anche i riflessi nell’occhio sono ancora troppo duri e netti per i miei gusti.

Direct Grain
File definitivo, con aggiunta del grano direttamente sull’immagine, preservando però le ombre.

La soluzione consiste ad applicare il grano direttamente su tutta l’immagine, e non solo sui bordi come fatto fino ad ora, in modo da spaccare ulteriormente i bordi di questi artefatti anche nelle zone più uniformi del naso e della fronte. Il problema, come già spiegato in altri articoli, è che applicando il grano direttamente sull’immagine se ne intacca il contrasto e la gamma tonale. Naturalmente è possibile ovviare, almeno in parte, a questo problema. Per trovare la soluzione partiamo dall’osservazione che gli artefatti digitali in generale, ed è particolarmente vero in questo caso, sono particolarmente spiacevoli nelle alte luci, ma non nei toni medi (dove vengono coperti dal grano) e nelle ombre (che possono essere chiuse). Certo un leggero grano aggiunto nelle alte luci le può spegnere appena appena, ma non è così spiacevole come nelle ombre. Inoltre l’aggiunta del grano può comunque esser seguita da quella di una curva che ripristini la gamma tonale cercata. Delle ombre nere e profonde, senza grano, sono invece essenziali per dare forza all’immagine.

L’idea quindi è quella di applicare il grano soprattutto nelle alte luci e quasi per niente nelle ombre. Il plugin Imagenomic Real Grain permette di farlo facilmente, nel pannello Tonal Range infatti è possibile determinare quanto grano applicare nelle ombre, nei toni medi e nelle luci dell’immagine. In questo caso è stato quindi creato un ulteriore layer con una copia dello sfondo dell’immagine, cui è stato applicato un grano con i valori: -16, -8, 0. Il layer è posizionato sempre sotto ai layer di grano in overlay, che sono sempre più in alto nella pila (vedi nel seguito la descrizione della paletta dei layer). Per ottenere il risultato finale l’opacità del layer è stata ridotta del 60%. In pratica giusto il valore che permette di rompere appena appena le righe della texture sulla pelle del naso e della fronte, rendendo comunque intuibile la materia e la struttura originale. Una scelta delicata, che va effettuata con cura. Vale la pena infatti sottolineare che i 3 valori del plugin e l’opacità del layer variano da caso a caso, e vanno stabiliti secondo la propria sensibilità e le caratteristiche dell’immagine su cui si sta lavorando.

Conclusioni

Curva Layers
Curva di contrasto e paletta dei Layers.

Per finire un ultimo tocco è stata l’aggiunta di una curva per aumentare leggermente il contrasto, in modo da controbilanciare l’appiattimento dell’immagine che segue inevitabilmente l’aggiunta del grano. Anche in questo caso l’aggiunta viene a discapito delle transizioni di tono più fini nelle ombre e nelle alte luci, ma resta un prezzo che sono disposto a pagare perché rende la stampa globalmente più piacevole.

Per riassumere, i layer presenti nel file definitivo sono, partendo dal basso:

  • Background;
  • aumento del contrasto locale tramite Unsharp Mask ad ampio raggio;
  • aggiunta di grano direttamente sull’immagine preservando le ombre;
  • recupero di contrasto tramite la curva mostrata in figura;
  • due layer in overlay per l’aggiunta di grano uniforme (questi ultimi naturalmente possono venire appiattiti in uno solo).

Seguendo la tecnica descritta è possibile, a partire da una foto relativamente piccola, ottenere un file di grandi dimensioni perfetto per tirare una stampa particolarmente piacevole, con una materia e pastosità che maschera completamente l’assenza di dettaglio reale, ricordando gli ingrandimenti ottenuti da negativi ad alta sensibilità. Procedendo ad una stampa digitale di vera qualità, per esempio pigmenti al carbone su una bella carta Hahnemühle, si otterrà una fotografia di dimensioni veramente grandi che può sorprendentemente competere con le migliori stampe da negativo del passato.

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Il grano per migliorare i forti ingrandimenti digitali /it/2008/grano-migliorare-forti-ingrandimenti-digitali/ /it/2008/grano-migliorare-forti-ingrandimenti-digitali/#comments Sat, 25 Oct 2008 13:11:06 +0000 Fabiano Busdraghi /?p=633 Crop 100%
Crop 100% dell’immagine originale.

Spesso capita di dover ingrandire una fotografia a bassa risoluzione per farne una stampa molto grande. Con photoshop è possibile interpolare l’immagine per ottenere un file di dimensioni maggiori, ma il risultato in fase di stampa è spesso deludente.

Un ingrandimento importante dell’immagine infatti da una parte svela la mancanza di dettaglio dell’immagine, dall’altra mette in evidenzia tutti i difetti tecnici dello scatto.

Una serie di questi difetti erano già presenti ed evidenti in fotografia analogica, quando si cercava di ottenere una stampa molto grande ruotando la testa dell’ingranditore e proiettando l’immagine di una pellicola 35mm sul muro. A forti ingrandimenti ecco subito apparire, oltre alla mancanza di dettaglii fini, tutti gli errori di messa a fuoco, i problemi di micromosso, le aberrazioni ottiche dell’obbiettivo, etc.

Nel caso della fotografia digitale a questi difetti va aggiunta tutta un’altra serie di problemi, intrinsecamente legati alla natura elettronica dell’immagine: pixellizazione dovuta all’eccessivo ingrandimento, artefatti della compressione jpeg, aloni di sharpness, rumore digitale, color fringing, etc. In generale i difetti “digitali” messi in evidenza dall’ingrandimento sono più spiacevoli di quelli “analogici”.

Questo è in parte dovuto al fatto che ancora viviamo gli ultimi strascichi di un complesso di inferiorità della fotografia digitale rispetto a quella analogica. I difetti sopracitati infatti tradiscono immediatamente la natura digitale della fotografia, facendo storcere la bocca in una smorfia di disgusto tutti gli amatori della fotografia tradizionale. D’altra parte perché obiettivamente questi difetti digitali sono particolarmente antiestetici. Sarà l’educazione e l’abitudine a più di un secolo di fotografia tradizionale, ma i “difetti” analogici producono spesso immagini poetiche e sognanti, mentre quelli digitali sono veramente orribili. Basta pensare alla differenza fra grano e rumore, di cui si è parlato abbondantemente su Camera Obscura. Le stampe di fotografie scattate a 3600iso hanno un bellissimo effetto pittorialista lontano anni luce da quello del rumore digitale.

Ingrandimento
immagine interpolata con un fattore di ingrandimento di 6-7 volte.

Per tutti questi motivi, e per una buona dose di pregiudizi, sui forum di fotografia liberamente consultabili su Internet, spesso si sentono persone affermare che con una macchina da 8 milioni di pixel è impossibile stampare più grande di un 15x18cm, pena una qualità inaccettabile della stampa. Affermazioni categoriche di questo genere sono sempre riduttive e indice di una certa chiusura mentale e ignoranza. Da una parte la “qualità” di una stampa è un parametro estremamente soggettivo e una fotografia con molto dettaglio non necessariamente è migliore di una poco dettagliata. Certo, se si cerca il dettaglio finissimo basta fotografare in grande formato e si ottiene quello che si vuole, ma non bisogna fare tanto rumore se altre persone scattano in piccolo formato e stampano grande, trovando soddisfazione nei risultati. È solo un altro modo di fotografare, e nessuno a priori è meglio di un altro. Il solito esempio del 35mm esposto ad alta sensibilità, in cui il dettaglio è completamente assente, andrebbe sempre tenuto a mente. D’altra parte, oltre alla valutazione soggettiva, esistono tecniche che permettono di stampare grande eliminando buona parte degli inconvenienti citati poco sopra.

Come fare allora quando, a partire da un file a bassa risoluzione si vuole stampare grande evitando gli artefatti propri del digitale? La risposta, come spesso succede, viene dall’esperienza maturata con la fotografia analogica.

Le fotografie piccolo formato stampate molto grandi spesso sembrano migliori dell’equivalente digitale. Non solo è evidente l’assenza dei difetti propri al digitale di cui abbiamo parlato, ma l’immagine sembra anche più ricca, più dettagliata, più presente, più nitida, più a fuoco. Gli amanti dei test, che passano la loro vita a fotografare mire ottiche e a contare le linee per millimetro, senza mai fare foto vere, hanno ampiamente dimostrato che ormai il digitale, in termini di dettaglio, di linee per millimetro, di pulizia e liscezza dell’immagine, è paragonabile o superiore alla fotografia analogica dello stesso formato. Senza contare la facilità di post-produzione che permette di ottimizzare l’immagine. Eppure un forte ingrandimento da pellicola sembra più bello, più gradevole e anche più dettagliato di un equivalente digitale.

Noise Shaprness
immagine a cui è stato applicata una riduzione del rumore e un aumento di sharpenss locali.

Due delle regioni possibili sono la presenza del grano dei sali d’argento e la differenza fra quella che è la realtà obiettiva e la percezione dell’occhio umano. Questo è un punto importante, da aggiungere a quelli che dovrebbe entrare nella testa di tutta la gente che crede ciecamente nella rappresentazione fedele della realtà da parte della fotografia, tema di cui si è ampiamente discusso negli articoli della serie fotografia e verità. Per esempio una foto digitale che non sia mossa o sfuocata è, almeno fino ad un certo punto, più o meno netta a seconda dello sharpness che si applica al file. Non è la fotografia in se ad essere netta, ma quello che si crede di vedere. L’occhio non percepisce gli aloni più scuri e più chiari che photoshop applica ai bordi dell’immagine, quello che l’occhio vede è una sensazione di nettezza dovuto all’aumento del microcontrasto della fotografia. A scanso di equivoci ripeto che non sto parlando del dettaglio reale dell’immagine, se si vuole la ricchezza di minimi dettagli da esplorare con la lente si scatti in grande formato e si stampi per contatto, senza tanto rompere le scatole. Quello di cui parlo è la sensazione di acutezza visiva di un’immagine di piccolo formato, sensazione che può essere pesantemente influenzata dal trattamento digitale sull’immagine.

Nel caso di un forte ingrandimento di un’immagine analogica, anche se mancano dettagli veri e propri, quando ci si avvicina alla stampa, l’occhio percepisce molto chiaramente la struttura granulare dei sali d’argento. Se si è sviluppato correttamente la pellicola e stampato secondo tutti i crismi, questa struttura è molto secca, ben definita e esteticamente piacevole. Mancano i dettagli dell’immagine, ma è presente un reticolo estremamente ben definito cui l’occhio si attacca, come un punto fisso in un mare di vacuità. Ed ecco che si ha una sensazione di dettaglio e di nettezza, di ricchezza e precisione. È solo un’illusione, ma è questo che vediamo. Nel caso del digitale questo punto di attacco rappresentato dal grano è assente, l’occhio si perde, na ha nessun punto d’attacco. I file digitale molto ingranditi sono piatti e lavati, i bordi dell’immagine diventano righe artificiali.

Una possibile soluzione quando si vuole stampare in grande file di piccole dimensione e allora quella di aggiungere un grano piacevole, in modo da farne un punto di attacco per l’occhio, come nel caso della fotografia analogica. È importante sottolineare che bisogna essere pronti a rinunciare alla mancanza di dettaglio fine, come si diceva poco sopra se l’obbiettivo che ci si prefigge è il dettaglio allora lavorare in grande formato è la soluzione in assoluto migliore. Il soggetto di questo articolo è come utilizzare il grano per rendere più piacevole una fotografia in cui l’ingrandimento importante ha messo in evidenza la mancanza di dettaglio e i difetti del file, soprattutto quelli digitali.

Overlay grain
Aggiunta di un layer in overlay per simulare la grana della pellicola.

L’immagine originale utilizzata per questo articolo è un crop di una fotografia moderatamente ritoccata a cui è stato applicato un leggero sharpness. A 360ppi, la risoluzione nativa di stampa della maggior parte delle stampanti a getto d’inchiostro, corrisponde ad un’immagine di solamente 3x4cm circa. Osservando il file a schermo viene utilizzata la risoluzione classica del web di 72ppi, ma va tenuto presente che si sta osservando il file al 100% di ingrandimento, che l’immagine a schermo in realtà corrisponde ad una stampa molto più piccola, stampa nella realtà molto più ricca e dettagliata di quello che sembra a schermo. Analogamente il grano sembra più intenso a schermo di quello ottenuto stampando a 360dpi. Per rendersi conto quindi degli effetti reali del ritocco descritto in questo articolo conviene quindi sempre riferirsi alle stampe cartacee e non alla visualizzazione delle immagini a schermo. Per comodità è disponibile un file zip (800Kb) che contiene tutti i file che accompagnano questo articolo.

Le dimensioni dell’immagine ritagliata sono state aumentate, con un’interpolazione bicubica più liscia, per un fattore di ingrandimento di 6-7 volte. Ovvero lo stesso file -stampato sempre a 360ppi- permette adesso di ottenere una stampa di circa 8x10cm. Un ingrandimento di questo tipo è più o meno quello necessario per ottenere una stampa 50x70cm a partire da un file di una macchina di 8 milioni di pixel. I calcoli non sono esatti unicamente per esigenze di pubblicazione sul web, ma chiunque può applicare la procedura descritta su file completi cui si applica un fattore di ingrandimento analogo, o addirittura uno superiore.

Nella foto così ottenuta è evidente la mancanza di dettaglio. L’immagine appare quasi sfuocata e allo stesso tempo nel cielo inizia ad essere evidente il rumore digitale, che come già detto non è il massimo della bellezza. Per ovviare a questi inconvenienti la fotografia è stata trattata, dopo l’ingrandimento, con la tecnica di sharpness e riduzione del rumore descritta nell’articolo Tecniche locali di sharpening e riduzione del rumore. Tecnica che permette fra l’altro di ottenere una maschera dei bordi dell’immagine che sarà particolarmente utilse nel seguito dell’articolo. La riduzione del rumore e l’aumento della nettezza sono stati leggermente esagerati a fini didattici, in modo da mostrare l’effetto della tecnica descritta su immagini dove le parti uniformi sono completamente piatte e sui bordi sono molto evidenti gli artefatti digitali dovuti ad uno sharpness eccessivo.

Dopo questo trattamento digitale il rumore dal cielo è completamente sparito, e i bordi della foto sono molto più netti. Naturalmente è impossibile fare miracoli, i dettagli che mancano alla fotografia non possono essere inventati. I pori della pelle, le righette delle labbra e i peli della barba non sono ben definiti. Allo stesso tempo all’estremità dei denti, sul bordo del mento che si staglia contro il cielo e soprattutto sulla montatura degli occhiali sono evidenti gli artefatti dello sharpness.

Border grain
Grano applicato sulle campiture tramite un layer in overlay e direttamente sull’immagine in un intervallo centrato sui bordi della foto.

L’aggiunta di un grano simulato con la tecnica descritta nell’articolo Simulare una grana intensa e realistica con Photoshop migliora sensibilmente la situazione, almeno per quanto riguarda le campiture dell’immagine. La pelle adesso è molto più naturale e piacevole. L’aggiunta del grano sul mento e sulle guance sembra addirittura soppiantare l’assenza di texture della pelle, sostituendosi a questa. Anche il riflesso negli occhiali è molto più realistico di prima: l’effetto plastico e innaturale tipico del digitale è scomparso completamente. La sfumatura del cappello è molto più uniforme e graduale. Il grano naturalmente è molto evidente sul cielo, che è una superficie completamente piatta e regolare. Personalmente, una volta stampata la fotografia, lo trovo molto piacevole. Se il grano fosse comunque troppo intenso basta aggiungere una maschera sul cielo in modo da renderlo meno prepotente.

Resta ancora del lavoro da fare. L’aggiunta di una grano su un layer grigio in overlay serve ad applicare il grano prevalentemente sui grigi medi e non sulle ombre e sulle luci. Oltre a questo il grano in generale è particolarmente visibile nelle zone piatte e uniformi, ma non in quelle ricche di dettaglio. Queste due caratteristiche intrinseche del grano hanno per conseguenza che nelle zone di bordo, dove sono particolarmente evidenti gli artefatti dovuti allo sharpness, il grano non viene praticamente applicato, e l’effetto spiacevole del digitale è ancora evidente in questo file.

La soluzione si trova come al solito ricordandosi come erano le pellicole analogiche. Osservando un ingrandimento di una pellicola ad alta sensibilità si nota che il grano non si allinea esattamente sulle righe e i bordi dell’immagine, ma sfuma fra una zona e l’altra, rendendo i bordi meno netti e definiti. Praticamente dove dovrebbe esserci un passaggio tonale netto si ha un intervallo in cui il grano cambia gradualmente di intensità L’idea quindi è quella di applicare un grano direttamente sui bordi dell’immagine e sulle zone immediatamente contigue, in maniera da romperli e renderli meno definiti.

Applicare il grano solo su un intervallo centrato sui bordi della foto tecnicamente è molto semplice, visto che una maschera di bordi veri e propri è già stata creata automaticamente dal plugin TLR sharpening toolkit nella fase di sharpen e riduzione del rumore. Basta quindi fare uno snapshot dell’immagine senza il layer grain e porlo fra questo e il resto dei layers. Per farlo nascondiamo il layer grain in overlay, selezioniamo il layer più in alto di tutti nella paletta dei layer(ovvero il primo layer sotto overlay grain), premiamo ctrl+alt+shift+e per fare la copia dell’immagine e riabilitiamo infine il layer overlay grain. La copia appena fatta dell’immagine per chiarezza la rinominiamo “border grain”. Ed è su questo layer che viene applicato direttamente il rumore che simula il grano della pellicola. Attenzione, è molto importante applicare il rumore con esattamente le stesse caratteristiche del rumore sul layer grigio in overlay.

Layers
Paletta dei layers

Una volta fatto selezioniamo la maschera di bordi precedentemente creata e la espandiamo in modo da simulare i bordi diffusi della pellicola ai sali d’argento. In questo caso la selezione è stata ingrandita di 10px, ma naturalmente dipende dalla risoluzione del file. La selezione va anche sfumata (feather), in questo caso di 5px, per simulare i contorni progressivi della pellicola. Con questo tipo di selezione attiva basta aggiungere una maschera al layer border grain, in modo da applicare il grano appena aggiunto solo sui bordi della foto. Fatto ciò si nota che il layer overlay grain applica il rumore ovunque, anche sui bordi, dove stato appena applicato direttamente, creando uno spiacevole bordo dal grano molto scuro e denso. Ne consegue che, contrariamente a quanto fatto fino ad ora, anche al layer overlay grain va applicata una maschera. Maschera praticamente già pronta, perché basta selezionare la maschera del layer border grain e invertirla, per avere esattamente la maschera che fa al caso nostro. Alla fine, si veda la paletta dei layer per chiarezza, si ha un layer in overlay che applica il grano sulle parti uniformi della foto, e un layer normale che applica direttamente il grano in un intervallo centrato attorno ai bordi della foto.

Riassumendo, per applicare la tecnica di ritocco descritta basta agire come segue. Una volta completato il ritocco sul file fare una copia di tutti i layer dell’immagine e applicare a questa un rumore che simula il grano di una pellicola, per esempio come quello ottenuto con il plugin Imagenomic Real Grain. A questo layer, chiamato border grain, applichiamo una maschera di bordi “dilatati”. Per farlo si parte dalla maschera di bordi generata con il plugin TLR professional sharpness toolkit. Si seleziona questa maschera, si espande la selezione di una decina di pixel e la si sfuma della metà di questi. Si crea quindi un layer grigio in overlay cui si applica esattamente lo stesso rumore applicato sul layer border grain. Per finire basta applicare a quest’ultimo layer una maschera esattamente speculare rispetto a quella del layer border grain.

Ci si può chiedere perché fare due layer, uno per agire unicamente sui bordi e l’altro sulle zone uniformi dell’immagine. La ragione è che applicando il grano su una copia dell’immagine i toni vengono modificati e il contrasto appiattito. Il layer grigio in overlay è una delle migliori tecniche per applicare il grano prevalentemente sui toni medi dell’immagine, lasciando intatte basse e alte luci, quindi contrasto e toni della fotografia. Lo svantaggio è che il layer in overlay non rompe abbastanza i bordi, e in questo caso è necessario agire direttamente sulla foto, per avere un effetto più energico. Come si diceva poco sopra è importante applicare a entrambi i layer lo stesso identico rumore, altrimenti lezone di giunzione fra bordi e campiture non si saldano in modo corretto.

Seguendo questa tecnica anche i bordi dell’immagine sono stati rotti dal grano, mascherando quasi completamente i difetti di sharpness e rendono la fotografia molto più realistica e naturale. Naturalmente il prezzo è una leggera perdita di dettaglio aggiuntiva, visto che i bordi, e quindi i dettagli fini, sono stati spaccati dal grano. Ma non bisogna dimenticare che in realtà dettagli veri e propri non esistevano nell’immagine, quindi la perdita non è così grave, anzi. L’idea dietro a tutta la procedura del resto non è quella di avere il massimo del dettaglio, ma di rendere piacevole e credibile una fotografia in cui il dettaglio è assente.

L’aggiunta di una grana come quella descritta in questa procedura permette infatti di stampare forti ingrandimenti di immagini a bassa risoluzione ottenendo una qualità decisamente migliore di quella ottenibile con una stampa diretta, senza post-produzione digitale. Certo, il dettaglio non si può inventare, ma con una 8mp si riescono ad ottenere stampe abbastanza grandi dalla qualità più che accettabile.

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Rendere omogenea una superficie testurata con Photoshop /it/2008/omogenea-superficie-texture-photoshop/ /it/2008/omogenea-superficie-texture-photoshop/#comments Tue, 23 Sep 2008 14:17:25 +0000 Fabiano Busdraghi /?p=576 superficie texture
Superfice con texture o trama evidente su cui sono presenti delle macchie chiare e scure da eliminare.

Ritoccando una foto con photoshop capita spesso di dover rendere omogenea una superficie che presenta macchie più chiare e più scure. Può essere una tovaglia, uno sfondo, la carrozzeria di una macchina, la pella di una ragazza. Per quanto riguarda le superfici perfettamente licie e uniformi, come un cielo, il ritocco è molto semplice, basta utilizzare lo strumento clone di photoshop e eliminare tutti gli elementi di disturbo. Ma come fare quanto la superficie è testurata o addirittura ha una trama? Come eliminare le macchie più chiare e più scure conservando la texture dell’oggetto?

In questo caso non si può sicuramente utilizzare il timbro clone, perché liscia le zone ritoccate in modo evidente e innaturale. Lo strumento pezza e lo strumento cerotto di photoshop conservano la texture degli oggetti che vengono clonati, quindi sono già di per se molto più performanti del timbro clone. Funzionano benissimo per spuntinare elementi di disturbo su una superficie relativamente liscia, ma su una in cui si vuole mantenere intatta la texture in generale introducono anche loro degli artifatti poco realistici. E questo è tanto più vero quanto la superficie ha una trama dettagliata e evidente.

Come rendere omogenea una superficie con macchie chiare e scure conservandone la texture naturale?

Il segreto è quello di intervenire principalmente sulle densità e non clonare dei pezzi d’immagine, a meno che non sia strettamente necessario. Nella pratica basta fare un adjustment layer con una curva che schiarisce l’immagine, e un secondo layer con una curva che scurisce l’immagine. I valori esatti in questo caso non sono determinanti. Ad entrambi i layer si associa una maschera completamente nera, in modo che non abbiano nessun effetto sull’immagine. A questo punto si prende un pennello molto morbido e trasparente (durezza al 0% e opacità al 5-10%) e si comincia a dipingere sulle maschere di questi due adjustment layer. In corrispondenza delle macchie scure bisogna dipingere in bianco sulla maschera del layer che schiarisce l’immagine. Viceversa, in corrispondenza delle macchie chiare bisogna dipingere in bianco sulla maschera del layer che scurisce l’immagine. Il pennello trasparente permette di dosare l’effetto: pochi passaggi leggeri sulle macchie poco intense, diversi passaggi su quelle più evidenti. In generale è necessario modificare la dimensione del pennello, si parte da un pennello molto grande e poi si scende eliminando le macchioline via via più piccole.

superficie omogenea
Superfice texturata su cui le macchie sono state eliminate dipingendo sulle maschere di una curva per schiarire e una curva per scurire l’immagine.

Se dovessero apparire delle dominanti colorate le si possono correggere direttamente intervenendo separatamente sui diversi canali della curva, oppure le differenze cromatiche possono venir ritoccate in un secondo momento. L’importante è che dal punto di vista della luminanza la superficie è il più uniforme possibile. Solo a questo punto i può intervenire con leggere correzioni di cerotto e pezza. Per appiattire i due layer con le curve meglio fare una copia del background e su questa agire con gli strumenti di clonazione, in questo modo l’immagine originale è sempre a disposizione per ogni evenienza.

Seguendo questa semplice tecnica è possibile omogenizzare una superficie texturata in modo molto naturale e credibile.

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Simulare una grana intensa e realistica con Photoshop /it/2008/simulare-grana-realistica-photoshop/ /it/2008/simulare-grana-realistica-photoshop/#comments Thu, 11 Sep 2008 17:26:49 +0000 Fabiano Busdraghi /?p=562&langswitch_lang=en Senza rumore
Fotografie senza aggiunta di grana al 100% di ingrandimento.

In generale in fotografia si cerca sempre di ottenere immagini con il minimo possibile di grano, storicamente si scattava con la pellicola meno sensibile e dal grano più fine, oggi si compra la nuova reflex digitale perché ha un trattamento del rumore più efficace e permette di ottenere immagini lisce anche in condizioni di scarsa luce ambiente. È anche possibile trattare il rumore in post produzione, con risultati che possono andare anche al di la delle aspettative.

Ci sono però molti casi in cui si vuole aggiungere del rumore. Per ottenere una resa fotografica che si avvicini a quella della pellicola, o per fini espressivi, per produrre immagini dal gusto impressionista. O semplicemente per coprire un po’ di magagne.

Un’immagine leggermente sfuocata o mossa, con l’aggiunta di grana, sembra netta, visto che l’occhio “si attacca” ai puntini della grana, questi perfettamente netti e a fuoco, dando l’impressione che tutta l’immagine lo sia.

Spesso quando si è cancellato un elemento dalla foto si ottiene una zona liscia e innaturale, l’aggiunta di grano maschera i difetti del ritocco.

Rumore gaussiano
Applicazione di un rumore gaussiano con intensità 7 direttamente sulle fotografie.

Nell’articolo aggiungere il rumore per eliminare il rumore si spiega in dettaglio come in molte foto scattate ad alta sensibilità, il rumore introdotto dalla macchina fotografica è molto antiestetico, vale la pena allora filtrare il rumore, per esempio eliminando completamente il rumore cromatico, per poi aggiungere un grano più regolare, uniforme, monocromatico e soprattutto più piacevole.

Nella fotografia di moda la pelle delle modelle è sempre ritoccatissima, tanto liscia che può diventare finta e innaturale, dal classico aspetto plasticoso. L’aggiunta di grano in questo caso restituisce materia, rendendola più naturale. Ma perché lisciare la pelle per poi aggiungere un disturbo, un’imperfezione? Come nel caso delle fotografie molto rumorose, pesantemente lisciate a cui si aggiunge il grano, anche nel caso della pelle non è la granulosità in sé ad esser fastidiosa, ma i vari brufoletti, rughe, pelucchi, macchie e difetti. O anche il rumore nelle ombre, soprattutto cromatico. Sono gli elementi puntuali, che si discostano da una resa uniforme della pelle. L’effetto plastica però è ugualmente fastidioso. Una volta eliminati tutti i difetti puntuali l’aggiunta di un leggero grano uniforme e monocromatico maschera i problemi e aiuta a rendere il ritocco meno evidente.

Rumore gaussiano in overlay
Rumore gaussiano con intensità 7 applicato su di un layer grigio in modalità fusione overlay.

Il punto è che rumore e grano sono due concetti distinti, che troppo spesso vengono mischiati fra di loro. Il rumore è in generale un difetto ed è poco piacevole, il grano invece spesso rende più piacevole un’immagine. Purtroppo nella fotografia digitale il grano si simula aggiungendo una qualche forma di rumore, da cui la confusione fra i termini. Ma vale la pena tenere a mente che un rumore monocromatico e uniforme in genere ricorda la grana delle pellicole e può esser molto utile per mascherare difetti della fotografia, rendendola più piacevole e interessante.

Generare il grano

Il metodo più semplice per aggiungere del grano ad un’immagine è utilizzare il rumore gaussiano di photoshop.

Rumore gaussiano in overlay
Rumore gaussiano con intensità 17 applicato su di un layer grigio in modalità fusione overlay.

Il problema intanto è che il rumore così simulato non è dei più belli. Inoltre viene applicato indifferentemente su tutti i toni dell’immagine e questo causa un abbassamento del contrasto dell’immagine molto importante. Questo succede sempre con l’aggiunta di rumore ad un’immagine, ma esistono tecniche che permettono di contenere la perdita di contrasto. Un altro problema è che è praticamente impossibile aggiungere una grana molto intensa che resti piacevole e naturale, come si può vedere dalle immagini allegate. Infine si agisce direttamente sull’immagine, mentre sarebbe sempre preferibile farlo su di un layer indipendente. La grana infetti dovrebbe sempre essere aggiunta per ultima, in modo da evitare che eventuali correzioni dell’immagine ne modificano le caratteristiche locali, facendo venir meno l’uniformità e la regolarità cercate. Certo, è sempre possibile fare uno snapshoot dell’immagine, metterla in cima a tutti i layer di correzione e applicare a questa il grano, però se si decide di modificare qualche cosa tocca buttare via la snapshoot, rifarne una nuova e rigenerare la grana. Insomma, una bella perdita di tempo.

Nel ritocco delle fotografie di moda per ovviare a questi problemi si agisce in questo modo. Si crea un nuovo layer, sopra a tutti gli altri, lo si riempe di grigio al 50% e si mette la modalità di fusione a overlay. In questo modo il layer, essendo grigio, non ha nessun effetto sull’immagine. Se ne regola l’opacità al 75% e si applica del rumore fino ad ottenere il risultato voluto. L’opacità viene ridotta prima di aggiungere il rumore in modo da avere un minimo di margine se in un secondo momento si decide di aumentare appena appena la grana della fotografia.

Imagenomic Real Grain
Grana applicata direttamente all’immagine usando Imagenomic real Grain.

Aggiungendo il layer grigio in overlay in pratica il rumore viene applicato principalmente sui toni medi dell’immagine, lasciando quasi intatte le ombre e le alte luci, con una resa decisamente più vicina a quella delle pellicole. Inoltre si tratta di un layer completamente indipendente dall’immagine, quindi è possibile interporre fra questo e il background tutte le correzioni desiderate, senza nessun vincolo, e la grana verrà sempre applicata per ultima sull’immagine. Questo naturalmente permette anche di applicare lo stesso layer e quindi la stessa grana su tutte le fotografie di una serie, garantendone l’uniformità.

Ma come applicare la grana? Il rumore Gaussiano di photoshop è sufficiente? Come fare ad avere una resa che si avvicina ancora di più a quella fotografica?

Per rispondere a queste domande ho personalmente testato quattro plugins per photoshop. Come mia abitudine non intendo fare comparazioni precise, semplicemente ho lavorato per qualche settimana con i plugins annotando le mie impressioni, per capire quale poteva soddisfare le mie esigenze. Ho lavorato tanto applicando il grano direttamente sull’immagine quanto su un layer grigio in overlay. L’intento è stato quello di generare una grana grossa e presente, molto intensa, con un resa simile a quella della pellicola.

Imagenomic Real Grain Overlay
Grana generata con Imagenomic Real Grain su di un layer grigio in overlay.

Le immagini allegate sono presenti solo a titolo indicativo, visto che le caratteristiche fisiche del grano dipendono tantissimo dalle impostazioni scelte del plugin. In ogni caso permettono di ottenere un’idea di cosa è possibile ottenere in termini di simulazione di grana molto intensa. Si tratta di ritagli al 100% di fotografie reali, e si consiglia di visionarle al 100% di ingrandimento, per non modificarne la percezione a cusa di problemi di aliasing. È possibile scaricare tutte le immagini che accompagnano questo articolo in un unico file zip (800kb): grano.

Imagenomic Real Grain

Imagenomic Real Grain è un prodotto molto completo che permette di intervenire su diversi parametri del grano e dell’immagine.

Oltre a poter determinare l’intensità del grano indipendentemente per il colore e la luminanza si può gestire quanto grano aggiungere nelle ombre, nei mezzi toni e nelle luci, niente che non si possa fare con le maschere, ma in questo caso è rapido e efficace aumentare un po’ il grano nelle alte luci o nelle ombre. Analogamente sono presenti molti altri controlli sull’immagine, quali contrasto, luminosità, tonalità, etc.

Power Retouche overlay
Grana generata con Power Retouche Grain su di un layer grigio in overlay.

In generale non amo i plugins che contengono questo tipo di opzioni, preferisco quelli che si limitano a realizzare un’unica azione. Il caso del grano però è un po’ particolare, l’aggiunta infatti modifica contrasto e luminosità dell’immagine, in genere rendendole più grigie, quindi avere un controllo in tempo reale sulle caratteristiche tonali dell’immagine è comodo. In modo simile è possibile controllare la sfocatura dell’immagine e la risoluzione del rumore, cosa anche in questo caso fattibilissima in un secondo momento ma comoda da avere sotto mano in tempo reale. Naturalmente tutte le correzioni tonali hanno senso se si applica il rumore direttamente sull’immagine e non sul layer grigio in overlay.

Per quanto riguarda la grana generata è più morbida e strutturata di quella simulata con il rumore gaussiano, cosa che la avvicina abbastanza a quella delle pellicole. La grana grossa e intensa è relativamente piacevole, anche se non si riesce comunque ad ottenere lo stesso effetto di una fotografia esposta a 12000 iso, in cui il grano stesso costituisce la materia dell’immagine. Ma questo è un problema intrinseco. Manca un controllo della durezza del grano. Certo si può applicare lo sharpness in un secondo momento, ma sarebbe stato comunque molto utile.

Power retouche grain

Power Retouche Grain è un altro set molto completo per il ritocco. Esistono molti comandi per cambiare il grano, ma personalmente trovo difficile capire in che modo ognuno dei cursori agisca su questo. Alla fine ci si arriva, ma visto che la grana viene rigenerata in modo aleatorio ogni volta resta un filo meno intuitivo che Imagenomic Real Grain. Nel senso che si vedono i cambiamenti, ognuno dei cursori cambia effettivamente il grano, ma sembra in modo piuttosto aleatorio, non corrispondente a ciò che dichiaratamente dovrebbero fare.

Il grano grande è a mio gusto, piuttosto brutto e irreale, se lo si vuole usare meglio sovrapporlo in un secondo momento ad un grano fine. Molto utile invece la funzione che permette di stabilire la durezza del grano (ovvero lo sharpness), visto che molto spesso il grano sembra sfuocato.

Nel complesso i risultati ottenibili con Power retouche Grain e Imagenomic Real Grain sono comparabili e equivalenti.

Asiva grain

Grana mista
Grana applicata ad un layer in overlay, generata applicando nell’ordine Imagenomic Real Grain, Unsharp Mask e Gaussian Noise.

Asiva grain è un plugin dall’interfaccia piuttosto complessa e poco intuitiva, che di fatto serve unicamente a stabilire in che porzioni dell’immagine applicare il grano e con che intensità. In questo è molto efficiente, visto che è facile “selezionare” le zone tramite curve, agendo indipendentemente su colore, tonalità o luminanza.

Per un’applicazione uniforme del grano, che è quelle che cerco in questo articolo, il prodotto è però inutile, è assente una qualunque forma di controllo delle caratteristiche fisiche del rumore. La grana inoltre, se applicata su un layer completamente grigio, ha un aspetto troppo regolare e finto simile al rumore gaussiano di photoshop.

Grain natural 2

Grain natural 2 ha un’interfaccia semplicissima e scarna. Il grano prodotto è orribile, a meno che non si usi l’impostazione “size” con valori piccolissimi o la funzione “base”. Nessun vero controllo sulle caratteristiche del grano, che di fatto rimane in tutto e per tutto simile a quello ottenibile con il rumore gaussiano di photoshop. Funziona solo con immagini a 8bit, a differenza di tutti gli altri plugins visti fino ad ora.

Personalmente mi sembra un plugin che non ha assolutamente nessuna utilità.

Conclusioni

Grana
Da sinistra verso destra, grana generata rispettivamente da Power retouche Grain, Imagenomic Real Grain e Photoshop Gaussian Noise.

Imagenomic Real Grain e Power Retouche Grain sono due plugins che permettono di ottenere un grano intenso piuttosto realistico e piacevole. Entrambi sono molto versatili e completi, soprattutto per quanto riguarda l’intervento diretto sull’immagine. Per entrambi il grano è molto morbido, forse anche troppo, mi piacerebbe avere una resa intermedia fra quella ottenuta con questi programmi e quella del rumore gaussiano integrato in photoshop.

A mio gusto i risultati migliori si ottengono quindi come segue. Prima di tutto si genera il layer grigio come spiegato in precedenza. A questo si aggiunge una grana intensa usando Imagenomic real Grain o Power Retouche Grain. Si da un leggero passaggio di sharpness per rendere il grano più secco. Si aggiunge infine un leggero rumore gaussiano per aggiungere una struttura fine e molto ben definita, senza esagerare perché si ricade nell’effetto eccessivamente digitale.

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Snellire rapidamente una persona /it/2008/snellire-dimagrire-photoshop/ /it/2008/snellire-dimagrire-photoshop/#comments Fri, 18 Jul 2008 18:10:29 +0000 Fabiano Busdraghi /?p=517 Alizée
Alizée

Molti credono che le modelle che posano per i cataloghi delle grandi firme della moda siano tutte perfette.

La realtà invece è ben diversa, basta lavorare qualche giorno nel mondo della moda per rendersi conto che queste eteree divinità non sono altro che il frutto di una sapiente combinazione di trucco, illuminazione, posa fotografica e ritocco al computer. Certo le modelle sono in genere delle donne bellissime, ma per arrivare alla perfezione che si vede nelle pubblicità c’è quasi sempre bisogno di Photoshop, e spesso in dosi veramente massicce. Se lo ricordino tutte le ragazze che soffrono di complessi di inferiorità, la bellezza non è quella delle riviste dalla carta patinata.

Oltre ai classici interventi che mirano a rendere la pelle liscia e levigata come quella di una ragazzina, i giochi di luce, cromia e contrasti, sono estremamente correnti le deformazioni plastiche dell’immagine. Tratti del viso riplasmati con il filtro fluidifica, cappelli resi perfettamente rotondi, bracci snellite, schiene raddrizzate. Una volta presa dimestichezza la fotografia diventa una creta da riplasmare e modellare a proprio piacimento.

Warp
Distorsione warp

A questa categoria di interventi appartengono quelli tesi a snellire le persone, o solo un arto, renderle più alte, etc. In alcuni casi bisogna armarsi di pazienza, fluidificare localmente l’immagine, ritagliare direttamente pezzi di carne con un bisturi virtuale, schiarire e ridipingere sulla foto. Ma in molti altri casi è possibile intervenire rapidamente e semplicemente, giusto per dare una sensazione globale di slancio all’immagine.

In parole povere, per smagrire una persona, è sufficiente comprimerla orizzontalmente (se è in piedi, naturalmente), per renderla più alta la si stiracchia verticalmente. Addirittura negli stati uniti, dove l’obesità è un problema diffuso, molte macchinette compatte digitali hanno una funzione “dimagrante”, che altro non fa che comprimere l’immagine orizzontalmente, rendendo le persone apparentemente più snelle.

Lo svantaggio di una tecnica così banale è che anche il viso viene compresso orizzontalmente, storpiando i tratti e rendendo l’effetto innaturale. In modo analogo gli oggetti tondi, come una spilla o la fibbia della cintura diventano ovali.

Dimagrire
Foto snellita con photoshop

Un modo per ovviare a questo problema è selezionare solo certe parti dell’immagine da comprimere o stiracchiare, ma è necessario saper rincollare i pezzi una volta deformati indipendentemente gli uni dagli altri. Uno stratagemma che permette di ottenere ottimi risultati, a patto che il ritocco non sia una cura dimagrante estrema, è quello di utilizzare la distorsione warp. Questa modalità di distorsione infatti permette di localizzare le distorsioni sull’immagine, comprimendo o stiracchiando a volontà in zone ben determinate dell’immagine.

Nel caso della foto d’esempio, anche se la modella è molto bella, è necessario rendere l’immagine un po’ più dinamica e slanciata. La foto è stata scattata dal basso, comprimere unicamente l’immagine nel senso orizzontale renderebbe ancora più piccola la testa senza modificare significativamente i fianchi della modella. Utilizzando la funzione warp è possibile agire solo sulla parte inferiore dell’immagine, snellendo la vita, rimpicciolendo le mani e dando una sensazione di snellezza e di slancio molto gradevole, in un minuto di ritocco al massimo.

Naturalmente, per mali estremi, estremi rimedi, come è mostrato in modo esemplare da questo famoso video.

 

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Vernici per stampe a getto di inchiostro su carta artistica /it/2008/vernici-getto-inchiostro-carta-artistica/ /it/2008/vernici-getto-inchiostro-carta-artistica/#comments Thu, 26 Jun 2008 08:03:14 +0000 Fabiano Busdraghi /?p=2722 Foto originale
Fotografia originale prima della stampa.

La prima persona che mi ha parlato delle resine sulle stampe inkjet su carta da disegno è stato Marco Tardito (a cui ho anche fatto un’intervista).

Anche io in passato avevo cercato di stampare su carta acquarello con la mia epson 2100 ma i risultati erano stati terribilmente deludenti. I colori vengono completamente sballati perché i profili standard non funzionano sulle carte artistiche e i neri sono grigiastri con conseguente appiattimento del contrasto.

Se il primo problema è relativamente facile da risolvere, sempre che si possieda una sonda per produrre profili icc custom, il problema dei neri è molto più complesso. Alla base è dovuto ad un eccessivo assorbimento dell’inchiostro da parte della carta, che si spande nelle fibre di questa dando immagini piatte e senza neri. La soluzione ideale sarebbe quella di ricoprire il fondo della carta con uno strato di un qualche materiale che impedisca la penetrazione dell’inchiostro. In pratica costruire della carta per stampe a getto di inchiostro fatta in casa. Oltre a tutte le possibile tecniche di incollaggio che possono venire in mente esistono anche prodotti già pronti, come per esempio Inkaid, una specie di vernice di cui mi ha parlato Dorothy Simpson Krause nella sua intervista e che, almeno così promettono i costruttori, permette di stampare su ogni supporto.

Un peccato, perché poter utilizzare le carte per le belle arti è un’idea molto attraente. In generale le carte sono molto più belle che per quelle a getto di inchiostro e inoltre è disponibile un’enorme varietà, quasi infinita di carte dalle caratteristiche diverse.

Stampa inkjet
Stampa a getto d'inchiostro su carta Graphia. Si noti la perdita di contrasto dell'immagine.

Poi ho conosciuto Marco Tardito e mi ha parlato di una seconda possibilità, quella di verniciare dopo aver stampato. Passato qualche tempo mi ha portato a Parigi delle splendide stampe di nature morte (peraltro le fotografie erano splendide anche loro) su una carta tipo Rives BFK, pesante e testurata, quindi una vera spugna per l’inchiostro. Nonostante questo i neri erano lucidissimi e profondi, le stampe brillanti e contrastate. La superficie era ricoperta da uno spesso strato trasparente di vernice, come se ci avesse colato sopra una resina plastica di qualche millimetro di spessore (in realtà lo strato era più fine, ma questa era l’impressione), superficie lievemente irregolare che univa alla bellezza della carta quella degli oggetti realizzati a mano. L’unico problema, per quanto riguarda il mio gusto, era l’orribile odore sintetico delle stampe e un punto interrogativo sulla durata nel tempo.

Marco Tardito mi ha confessato di aver fatto infiniti test di carta e resina per trovare la combinazione giusta e ho voluto provare pure io. Visti i risultati sono lontano anni luce dalle splendide stampe di Marco, ma ho comunque imparato un bel po’ di cose su resine e vernici. Negli ultimi tempi sono più concentrato sulla fotografia e sul lavoro che sulle stampe, ma non si sa mai che un giorno mi ci mettà un po’ più seriamente.

Le stampe sono state fatte su carta Graphia, una bella carta siciliana non troppo cara, liscia e bianca. Il test, come mio solito, non è rigoroso. Mi sono limitato a stampare 5 o 6 immagini diverse e verniciarla ognuna con 3 diverse resine: della vernice acrilica, della gomma arabica e una vernice al poliuretano. Quelle che seguono sono le mie annotazioni in merito e le scansioni di una delle immagini della serie. Gli scan sono particolarmente difficili da eseguire quindi un vero giudizio andrebbe espresso unicamente dal vero. Le foto sono riportate a titolo puramente indicativo.

Acrilico

Acrilico
Stampa verniciata all’acrilico. Le macchie bianche sono i resti del retro di un’altra stampa rimasta incollata su questa.

L’acrilico va diluito in acqua, cose che ne facilita la preparazione a qualsivoglia diluizione. L’aspetto è quello di un liquido viscoso bianco, come del vinavil diluito. L’odore ricorda quello dell’ammoniaca, ma non è troppo intenso. Il rivenditore mi ha detto che non ingiallisce, anche dopo lunghi periodi di tempo, nei due mesi che sono passati non ho notato nessun cambiamento. Un flacone da mezzo litro costa circa 8 euro.

L’acrilico utilizzato direttamente alla diluizione cui l’ho comprato è molto pastoso e tira rapidamente. Diluito uno ad uno è più facile da stendere, ma rimangono comunque le striature del pennello. Anche passando un pennello asciutto molto morbido per lisciare le asperità, dopo la prima stesa grossolana (imitando quindi la tecnica dello smoothing della gomma bicromata) è difficile da stendere in maniera veramente uniforme. Da bagnato le striature del pennello sono bianche e quindi particolarmente evidenti nelle ombre, ma quando asciuga diventano trasparenti. La superficie della stampa rimane comunque striata, cosa evidente osservando la stampa con una luce radente.

Probabilmente l’acrilico va diluito molto di più per poterlo stendere in maniera efficace, oppure va spruzzato con un aerografo. Il rivenditore però mi ha detto che più è diluito più perde brillantezza. Bisogna verificare se sovrapponendo diversi strati si riesce a recuperare la brillantezza. In questo caso bisogna verificare anche se gli strati successivi non rammolliscono e asportano quelli precedenti.

Nel giro di 30 minuti circa la stampa è secca al tatto, ma se funziona come la maggior parte delle vernici meglio aspettare qualche ora prima di una seconda mano.

La superficie, pur se rimangono le striature del pennello, è omogenea, nel senso che le striature sono regolari e l’effetto può essere piacevole. La stampa è lucida e brillante, quanto quella della gomma arabica e del poliuretano, ma indicativamente direi che i neri sono meno profondi.

Dopo aver aspettato qualche giorno ho impilato le stampe e le ho messe sotto un peso per appiattirle. Tutte le stampe verniciate con l’acrilico si sono incollate fra di loro, cosa che non è successa né con la gomma arabica né con il poliuretano. Staccandole parte del retro della stampa si è incollato alla foto sottostante. Non ci sono crepe.

Gomma Arabica

Gomma Arabica
Stampa a getto d’inchiostro ricoperta di gomma arabica.

Anche la gomma arabica è solubile in acqua, cosa che permette di ottenere tutte le diluizioni che si desidera. Si presenta come un liquido trasparente leggermente ambrato, cosa che potrebbe leggermente riscaldare la tinta delle stampe. La gomma è praticamente inodore, il lieve sentore è piacevole e naturale, fa pensare alle botteghe dei mestieri artigianali. Una bottiglia da 1litro a 14 baume costa meno di 10 euro, rendendola decisamente la più economica delle vernici provate.

L’ho provata direttamente, senza diluirla 1 a 1 come faccio con le stampe alla gomma, sapendo che era un po’ troppo densa. La stesa rimane facile, l’aspetto della stampa umida è lucido e molto piacevole. Mano a mano che secca però si formano delle microbolle dovute all’assorbimento della carta, microbolle che non riescono a scappare perché la soluzione è troppo porosa, rendendo la superficie della foto irregolare.

Probabilmente usando la gomma arabica a diluizioni superiori si incorre meno in questo problema. Si può provare anche l’aggiunta di qualche goccia di alcool etilico, visto che nella preparazione della carta tessuto della stampa al carbone diminuisce sensibilmente la presenza di bollicine. Per quanto riguarda la sovrapposizione di strati vale lo stesso dubbio dell’acrilico, bisogna verificare se gli strati successivi asportano quelli precedenti. La gomma arabica potrebbe essere indurita con una piccola aggiunta di dicromato di potassio, rendendola completamente insolubile. Il problema è che il dicromato lascia una dominante verde alla gomma ed è molto tossico, quindi preferirei farne a meno: inutile usare la gomma perché è un prodotto naturale se poi ci si aggiunge una sostanza altamente tossica e cancerogena.

Anche dopo un paio di mesi la superficie della stampa è lievemente appiccicosa al tatto, ma non sembra colare, o incollarsi come l’acrilico, che al tatto sembra perfettamente secco.

La superficie, da perfettamente liscia come era, si è ricoperta da finissime crepe che seguono il senso delle fibre della carta. Nonostante questo l’effetto rimane piacevole.

Nel complesso per il momento è la resina che preferisco: niente odori, ingredienti naturali, brillantezza e neri profondi, relativa facilità di stesa, tradizione fotografica centenaria che ne conferma la stabilità nel tempo. Ma soprattutto, guardando le stampe, è a pelle quella che preferisco.

Poliuretano

Poliuretano
Stampa inkjet con una mano di vernice al poliuretano. Si noti la superficie irregolare della stampa e i bordi gialli.

La vernice è solubile con il classico solvente industriale, e non in acqua, infatti è grassa al tatto. Pur essendo trasparente ha un leggerissimo colore violaceo. L’odore è quello intenso e spiacevole dei solventi. Ho comprato la vernice meno cara che ho trovato in un negozio di Bricolage, il prezzo è comunque di 9 euro per 250ml, quindi in assoluto la più cara delle tre resine provate.

La vernice al poliuretano penetra molto rapidamente nella carta, se ne può mettere parecchia e viene rapidamente assorbita. La carta umida è la più brillante delle tre, ma quando secca la superficie torna opaca. La stesa è facilissima e uniforme, anche con un pennello duro. Se con diversi mani si riesce a creare uno strato che non venga eccessivamente assorbito sarebbe perfetta.

Una volta secca la superficie è irregolare, in certe zone rimane matte in certe è lucida. I neri sono i fra i più profondi ma la superficie è molto irregolare.

Dopo solo due mesi lo strato di poliuretano è visibilmente ingiallito.

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Scurire il cielo in modo naturale con Photoshop /it/2008/scurire-cielo-photoshop/ /it/2008/scurire-cielo-photoshop/#comments Tue, 27 May 2008 14:20:29 +0000 Fabiano Busdraghi /?p=413 Cielo bruciato
Molto spesso il cielo è più luminoso di un paesaggio, in una fotografia esposta correttamente per quest’ultimo il cielo risulta slavato o addirittura bruciato

Su Camera Obscura cerco di pubblicare articoli tecnici unicamente di livello medio alto. Internet è piena di materiale introduttivo e per neofiti, eppure spessissimo chi scrive per il web non fa altro che proporre l’ennesima guida di base, quando a mio giudizio quello che manca sono gli articoli approfonditi e avanzati.

Oggi farò una piccola eccezione pubblicando un articolo facile facile, dove spiego rapidamente come fare a scurire un cielo troppo chiaro in maniera credibile. Questo perché non ne posso più di vedere dei cieli scuri scuri o aggiunti alle foto palesemente falsi e inestetici, spero quindi che questi consigli possano essere di utilità per un pubblico un po’ più ampio dei maghi di photoshop.

Capita spessissimo di aver bisogno di scurire un cielo in una foto dove è completamente slavato. In generale i casi sono due: o si scurisce il cielo già presente nella foto (abbassandone la luminosità con le curve oppure sviluppando diversamente il file raw se si vuole recuperare dettaglio), oppure se ne incolla di sana pianta uno nuovo. Come ormai sapranno i frequentatori assidui di Camea Obscura che hanno già letto Fotografia e verità, per quanto mi riguarda entrambe le operazioni sono lecite. Per i più reticenti e chi considera la fotografia come una copia fedele della realtà posso dire che almeno il primo caso, scurire un cielo troppo slavato, è un’operazione più che giustificata.

Cielo scurito
Scattando in raw è possibile abbassare la luminosità dell’immagine e recuperare dettaglio e colore sul cielo.

Intanto una nota di carattere tecnico: l’occhio umano, a differenza della pellicola, è capace di adattarsi a differenze di contrasto molto elevate. Quando guardiamo un paesaggio spessissimo il cielo è molto più luminoso del terreno, ma il nostro occhio riesce a farne una sintesi perfetta. Scattando meccanicamente una foto di questo paesaggio otterremo però un terreno troppo scuro e un cielo troppo chiaro. Già questo dovrebbe far pensare che alla fine la fotografia non è poi così fedele alla realtà, qual’è la verità, quella che vedono i nostri occhi o quella che vede la pellicola? Comunque, senza voler polemizzare, ci sono poche soluzioni, il contrasto è troppo elevato e l’unica è schiarire il suolo e scurire il cielo.

Questa è un’operazione corrente che data quasi come la storia della fotografia. Quasi sempre in camera oscura si maschera la foto per bruciare un po’ i cieli. Quando il cielo è scurito in maniera non eccessiva è anche considerata un’operazione lecita nella fotografia di giornalismo, visto che non modifica in alcun modo il messaggio dell’immagine. Molti fotografi famosi, come per esempio Salgado, ne hanno fatto quasi un marchio di fabbrica, i cui cieli sono quasi sempre terribilmente scuri e tragici, per dare una sensazione di spettacolare tragicità.

Cielo scontornato
Scontornando semplicemente il cielo l’effetto è molto innaturale. L’orizzonte in lontananza a destra è più chiaro del cielo, questo è ovunque troppo scuro vicino all’orizzonte e la selezione del palazzo, per quanto precisa, è troppo artificiale.

Oggi, con la facilità del ritocco digitale, moltissime persone danno una bottarella di ritocco alle loro foto, e uno degli interventi più diffusi è proprio il bilanciamento della luminosità del cielo e del paesaggio. Purtroppo in moltissimi casi l’effetto è completamente innaturale e esagerato, puzza lontano un miglio di digitale e di ritocco, ed è anche piuttosto pacchiano. Per carità, non ho niente a che ridire contro le esagerazioni e gli effetti innaturali. I paesaggisti americani in bianco e nero sulla scia di Ansel Adams spessissimo usavano filtri rossi o infrarossi, ottenendo cieli completamente neri che facevano risaltare paurosamente il bianco brillante della neve e della roccia delle montagne. Quando però una foto è tutta giocata su tinte e contrasti plausibili, anche il ritocco del cielo dovrebbe andargli dietro.

L’errore fondamentale è quello che si basa su uno scontorno preciso del paesaggio. Osservando attentamente la realtà intorno a noi ci si rende subito conto del difetto di questo approccio.

Intanto il terreno, perdendosi nella foschia dell’umidità atmosferica, mano a mano che ci si allontana dal fotografo, diventa più chiaro e bluastro. Scontornando il cielo precisamente al livello dell’orizzonte quello che si otterrà è un terreno molto chiaro e slavato sovrastato da un cielo molto scuro, cosa praticamente impossibile in natura e quindi innaturale fin dal primo sguardo.

Cielo con maschera a gradiente
Utilizzando una maschera a gradiente l’effetto è immediatamente più naturale e lo scontonro dei palazzi si esegue con molta più facilità.

La seconda osservazione riguarda il cielo. Anche questo, al pari del terreno, cambia di colore e di luminosità mano a mano che ci allontaniamo dall’orizzonte. Questo dipende da fari fattori: polarizzazione, polvere, nebbie etc, ma in generale l’effetto e spessissimo il solito: il cielo è molto chiaro vicino all’orizzonte e meno luminoso verso lo zenit, è di un azzurro slavato a contatto col suolo e di un blu carico e intenso sopra le nostre teste. Questa è una caratteristica piacevole, almeno per quanto riguarda la fotografia di paesaggio. Visto che la parte alta del cielo si trova quasi sempre in quela alta della fotografia, ne consegue che l’immagine verrà naturalmente chiusa, che è l’espressione in gergo che indica uno scurimento dei bordi dell’immagine per guidare lo sguardo verso il centro e gli elementi di interesse della foto.

Layers
Layers con maschera a gradiente.

Il terzo problema è lo scontorno preciso dell’orizzonte fra cielo e paesaggio. Per quanto con photoshop sia possibile fare una selezione precisa spessissimo l’effetto sarà comunque innaturale. Questo è dovuto al fatto che sia le aberrazioni dell’obiettivo che il color fringing dovuto al demosaicing del captore, spessissimo inducono dei lievi aloni attorno alle interfacce fra zone a luminosità diversa. In pratica la transizione non è mai netta, ma si fa sempre su qualche pixel. Il risultato, scurendo molto il cielo, è che appare o una riga scura o una chiara (a seconda di dove si fa cadere la selezione) all’interfaccia fra il cielo e il paesaggio. È già difficile e noioso fare una selezione precisa, ma eliminare questi problemi di interfaccia è, sebbene possibile, infinitamente più difficile, lungo e faticoso.

La soluzione che risolve contemporaneamente questi tre problemi esiste, è molto semplice e di rapida messa in pratica. L’idea è quella di fondere il cielo scurito con l’immagine sottostante utilizzando una maschera a gradiente. Basta sovrapporre il layer esposto per le ombre, ovvero il terreno, con quello esposto per il cielo, applicando a questo un gradiente verticale. In pratica nella parte alta della foto si utilizza completamente il layer esposto per il cielo, nella parte bassa unicamente quello del terreno, e la transiszione si fa dall’orizzonte, o poco sotto, fino al limite superiore della foto.

Maschera
Maschera a gradiente modificata.

Dico poco sotto l’orizzonte, perché in caso di foschia e di paesaggi che diventa più chiaro mano a mano che si va verso l’orizzonte, tirando il limite del gradiente al di sotto di questo si riesce a scurire in parte anche il terreno, ottenendo un effetto più naturale e risolvendo il primo dei nostri tre problemi. Per quanto riguarda il secondo è quasi una tautologia: utilizzando un gradiente il cielo in alto sarà scuro e in basso rimarrà chiaro. Però utilizzare un gradiente semplifica anche il terzo problema. Visto che la maggior parte dello scontorno in generale si fa nella parte bassa della foto, qui la maschera è già grigio scura, e scurirne ulteriormente una parte non crea nessuna difficoltà, visto che il contrasto locale della maschera è molto più basso che nel caso precedente. Tanto che, spessissimo, è possibile fare uno scontorno grossolano con una selezione sfumata, per ottenere un effetto molto credibile. Nel caso ci siano elementi del paesaggio che si protraggono fino al limite superiore della foto sarà allora necessaria una selezione precisa e tutto il lavoro per eliminare le interfacce fra zone scurite e zone schiarite, ma l’entità del ritocco sarà comunque molto più piccola, con un guadagno considerevole da parte nostra.

L’ultima accortezza ancora da seguire è quella di mascherare in parte le zone che risultano ancora troppo chiare o troppo scure nel cielo e nel paesaggio. Seguendo questa procedura, ovvero fondendo un cielo con un paesaggio utilizzando una maschera a gradiente, sarà molto semplice ottenere in pochi minuti di ritocco un cielo pieno di colore e dettaglio ma che resti allo stesso tempo molto naturale.

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Trasformare una foto in disegno a matita con Photoshop /it/2008/trasformare-foto-disegno-matita-photoshop/ /it/2008/trasformare-foto-disegno-matita-photoshop/#comments Mon, 24 Mar 2008 10:14:51 +0000 Fabiano Busdraghi /?p=2824 Disegno a penna o matita con Photoshop
Con Photoshop è possibile trasformare una fotografia in un disegno a penna o matita.

Da molto tempo stavo facendo esperimenti per convertire una fotografia in un disegno, o più precisamente, per mettere in piedi una procedura di ritocco con photoshop che permetta di simulare un disegno a matita, carboncino, sanguigna, a partire da una fotografia.

La maggior parte dei tutorial disponibili online fanno uso di filtri automatici di Photoshop, che per il mio gusto personale sono tutti pessimi, sia quelli artistici, che di stilizzazione, o identificazione bordi. L’immagine ha sempre un che di artificiale, ricorda solo lontanamente le tecniche artistiche cui si ispira, si vede subito che è una foto che è stata filtrata e non un vero disegno e infine tutte le immagini di questo tipo si assomigliano tutte terribilmente fra di loro. Per ottenere dei buoni risultati è sempre preferibile lavorare a mano e non fidarsi di un sistema automatico.

Un tutorial disponibile online che parte da questo presupposto, e che è di gran lunga il migliore fra tutti quelli che ho testato, è Photo to Pencil Sketch scritto da Tim Shelbourne (sul cui sito sono disponibili altri ottimi tutorial gratuiti) e pubblicato su Photoshop Photo Effects Cookbook.

Graphic pen
Il risultato ottenuto con i filtri automatici è decisamente poco convincente.

La più grossa difficoltà che ho trovato nel seguire questo tutorial è che bisogna essere un po’ pittori per poter applicare i colpi di matita in modo piacevole, altrimenti si vede subito che il disegno è fatto da qualcuno che sa appena tenere in mano la penna. Inoltre è praticamente indispensabile avere a portata di mano una tavoletta grafica, perché con il solo mouse, come faccio io, è praticamente impossibile disegnare correttamente. Ho fatto diversi esperimenti per qualche tempo, e alla fine ho trovato un modo soddisfacente per ovviare a questi problemi. Oltre a questo ho trovato tante piccole accortezze che non sono citate nell’articolo originale. Oltre a ripercorrere la procedura citata poco sopra questo articolo contiene tutta una serie di riflessioni personali che permettono di ottenere risultati decisamente migliori.

La preparazione della fotografia

Fotografia da trasformare in disegno
Fotografia originale da trasformare in disegno a matita.

La prima cosa da fare è partire da un’immagine adeguata. Il disegno e la fotografia funzionano strutturando l’immagine in maniera profondamente diversa. Nella fotografia si ha la dolcezza della transizione tonale, la ricchezza dei dettagli, le ombre chiuse e le luci bruciate sono di solito decisamente inestetiche. Il disegno a matita o a penna deve invece costruire i neri con il tratto, con delle linee discontinue, la scala di grigi è data dalla densità relativa di linee bianche e linee nere. Inoltre nel disegno c’è molto meno dettaglio, le campiture, la materia, le superfici, fanno parte della pittura, il disegno si concentra sui bordi, le forme, il tratto. Capire queste differenze cui accenno appena è di importanza fondamentale per ottenere un buon risultato.

Ne consegue che le immagini più adatte sono le immagini grafiche, che funzionerebbero anche solo con bianchi e neri e poche scale di grigi. Le fotografie contrastate e essenziali. Dove i piccoli dettali non sono di importanza, ma quello che conta sono i volumi di bianco e di nero. Per adattare l’immagine conviene aumentare considerevolmente il contrasto, per separare adeguatamente le ombre dalle luci. Un aumento globale del contrasto in generale non è né sufficiente né adeguato. Conviene selezionare a mano parti della fotografia, aumentarne o diminuirne considerevolmente luminosità. Schiarire, scurire, aumentare il contrasto locale, zona per zona. In questa fase bisogna già aver chiaro più o meno dove si vuole andare a parare ed è necessaria un po’ di pratica.

Preparazione disegno
Di solito è opportuno preparare l’immagine aumentando il contrasto locale, scurendo o schiarendo certe parti della foto, eliminando dettagli indesiderati.

Non si deve avere paura però di forzare un po’ la mano, si può partire tranquillamente da una fotografia eccessivamente contrastata, avere per esempio alcune ombre completamente nere e un viso dalla pelle quasi completamente bianca, su cui occhi e labbra risaltano con decisione. Non è nemmeno necessario lavorare con particolare precisione, le maschere possono essere un po’ grossolane, le selezioni non troppo precise, le diverse parti della fotografia leggermente troppo chiare o troppo scure.

Non c’è nessun problema nemmeno ad utilizzare un’immagine leggermente mossa o sfuocata, anzi, una fotografia da buttare via perché decisamente troppo morbida può dare ottimi risultati con questa tecnica. Quindi se si hanno immagini con errori tecnici che si butterebbe via con particolare dispiacere vale la pena fare una prova, una cattiva fotografia può essere la base per uno splendido disegno.

Preparazione per il disegno

Opzioni pattern fill
Opzioni Pattern Fill per simulare un foglio da disegno.

Il tutorial di Tim Shelburne comincia col creare una specie di base che simuli la carta da disegno. Una volta aperta e desaturata l’immagine si crea un nuovo fill layer grigio chiaro, che sarà il colore della carta su cui si va a disegnare. Poi di nuovo in New fill layer -> pattern. Nella seconda finestra di dialogo, cliccando sulla freccettina accanto all’icona, si apre il menù dei pattern. In questo, cliccando sulla ulteriore freccettina, si può selezionare Greyscale papers. Tim Shelbourne consiglia di usare Fibers 1 e un Pattern Scale di 340%, per poi mettere il layer in Soft light e 35% di opacità. Questa naturalmente è solo una delle possibilità, il valore di pattern scale dipende tantissimo dalla dimensione dell’immagine, se il file è di grandi dimensioni sarà necessario un valore elevato. In ogni caso vale la pena ricordare che questa tappa serve unicamente a creare una superficie vagamente testurata che ricordi la carta da disegno, quindi vale la pena sperimentare con diversi pattern, diversi valori di scala di questo, come opacità e blending mode del layer stesso.

Traccia d’aiuto per il disegno
Traccia d’aiuto per il disegno

La seconda tappa del tutorial serve a costruire una traccia che ci aiuti in seguito a disegnare, e che volendo può essere utilizzata per definire i bordi dell’immagine. Si duplica il background e si porta la copia al di sopra di tutti gli altri layer, per cercare i bordi Tim Shelburne consiglia di usare il filtro Stylize > Glowing Edges con i valori Edge Width 3, Edge Brightness 11, Smoothness 10, ma questi non sono fondamentali per la riuscita dell’immagine finale, anche perché spesso questo layer serve unicamente nella fase iniziale del disegno e può essere eliminato in seguito. Una volta applicato il filtro il layer va quindi invertito, per renderlo positivo, messo in Multiply come opzione di fusione e con una debole opacità, come il 15%.

Layer per disegno
Pila dei layer utilizzati. Grattando la maschera dell’ultimo layer si ottiene il disegno.

L’ultima tappa prima di iniziare a disegnare è quella di creare un ulteriore copia del background, e posizionarla sopra a tutti gli altri layer. A questo layer si applica un po’ di rumore, con il filtro Noise, e un’intensità di circa 10, in modo da “rompere” parzialmente l’immagine e renderla meno fotografica. Si mette l’opzione fusione a Darken e si aggiunge una maschera di livello completamente nera. Disegnando in bianco su questa maschera si rivela l’immagine sottostante, la traccia preparata prima permette di scegliere dove disegnare. Incrociare tratti secchi simula una matita dura, usando pennelli morbidi si avrà la stessa ottenuta sfumando con le dita un disegno. Mantenendo i tratti di disegno sulla maschera separati fra loro si avrà l’impressione di ottenere un disegno a matita o a penna, impastandoli il disegno assomiglierà più a un carboncino.

Il disegno

Nel suo tutorial Tim Shelburne consiglia semplicemente di utilizzare un pennello del set Dry Media Brushes. Personalmente trovo particolarmente difficile questa soluzione, soprattutto per chi non ha una tavoletta grafica e l’abitudine di disegnare. Dopo varie prove ho trovato un’alternativa molto pratica, veloce e che permette di ottenere risultati a mio vedere più convincenti.

opzioni brush Photoshop
Le opzioni delle brush di Photoshop permettono di modificare le caratteristiche dei preset di un pennello (croce). Con le opzioni Shape Dynamic è possibile incrociare i tratti con direzioni casuali (quadrato), mentre con le opzioni di Scattering è possibile sfalzare i tratti (cerchio).

L’idea è di trovare un modo per produrre tratti ben definiti e precisi, rapidamente e più o meno automaticamente. Usando un pennello originalmente definito per i graffi, scaricabile gratuitamente alla pagina Scratch Grunge Photoshop Brushes, ho ottenuto esattamente il risultato voluto. Una volta installato il set, è disponibile un preset di 572 pixel, dalla forma molto allungata e sottile, perfetto per simulare il tratto di una penna e di una matita.

Disegno a matita con photoshop
Disegno a matita con photoshop

Con questo pennello, se utilizzato direttamente, si formano delle righe parallele regolari, che denunciano immediatamente la natura digitale dell’immagine. Utilizzando le opzioni del pennello però è possibile ovviare efficacemente a questo problema. Premendo F5 si apre la paletta delle brushes. La finestra Brush Tip Shape permette di modificare l’inclinazione del tratto, per esempio se si desidera seguire una direzione preferenziale di disegno, o la spaziatura fra i tratti, che conviene mantenere abbastanza elevata. Nella finestra Shape Dynamics agendo sui controlli Size Jitter e Minimum Diameter è possibile produrre una serie di tratti dalle inclinazioni casuali, perfetto per scurire larghe campiture dell’immagine. Per sfalsare invece la parte finale e iniziale dei tratti si possono utilizzare le impostazioni della finestra Scatter. Naturalmente è possibile crearsi dei preset per passare rapidamente da una combinazione all’altra di opzioni.

Dettaglio disegno con photoshop
Dettaglio al 100% del disegno con photoshop. Sullo sfondo le linee sono ancora sufficientemente rde da dare l’impressioen del tratteggio. Si è però insistito troppo sul volto, dove i tratti hanno rivelato la fotografia sottostante. È quindi opportuno riniziare evitando di disegnare sulla pelle della ragazza.

Usando queste opzioni si può facilmente passare il tratto su gran parte dell’immagine. Mano a mano che il disegno si costruisce è opportuno insistere solo sulle parti che si vogliono scurire, per esempio non passando o quasi il pennello sulle parti chiare, come la pelle. Se si esagera con i passaggi infatti queste rivelano la fotografia sottostante e si perde l’effetto di disegno a penna o matita. Insistendo invece sulle parti scure l’effetto è molto convincente. Vale la pena mischiare la direzioni casuali del tratto con passaggi unidirezionali, in maniera da creare una certa coerenza, una direzione preferenziale di disegno. Può essere anche utile aggiungere delle parti con dei tratti a mano, con un pennello tipo Dry Media, in questo caso l’effetto ricorda più il carboncino che la penna o la matita.

Mano a mano che il disegno prende forma è auspicabile iniziare ad interpretare l’immagine, lasciare alcune zone più chiare, o con una densità inferiore di tratteggio, scurire quasi completamente altre, lasciare delle zone “incompiute”. Selezionare scientemente dove applicare il tratteggio è fondamentale per una buona riuscita del disegno.

Finiture del disegno

Blending option Multilpy
Con l’opzione di fusione Multilpy, anche se le righe rade del tratteggio hanno schiarito l’immagine, il disegno prende forza e contrasto.

Arrivati ad un certo punto è impossibile continuare ad applicare il tratteggio perché altrimenti si rivela completamente la foto sgranata sottostante. In generale a questo punto ho voglia di intervenire ancora sull’immagine, in modo creativo, reinventare la materia che ho davanti. A partire dal momento in cui si trasforma una fotografia in disegno bisogna prendere il coraggio a due mani e iniziare a disegnare davvero.

Visto che è difficile, per non rovinare il lavoro già fatto, con Ctrl+Shift+Alt+E copio un’istantanea dell’immagine, che incollo su un nuovo layer. Riduco l’opacità del pennello e aggiungo del tratteggio a mano dove voglio dare corpo all’immagine, in generale nelle ombre, per coprire elementi non voluti, come sullo sfondo, o infine per dare una leggera materia nelle alte luci. Questa è in assoluto la parte più difficile, ma anche più divertente. Nell’immagine che accompagna l’articolo per esempio ho deciso di dare un tratteggio fine sul viso, in maniera da recuperare molto dettaglio e poi di coprire interamente lo sfondo, le mani, i capelli della ragazza di tratteggi casuali, come se il volto uscisse dal nero del disegno.

Disegno colorato
Esistono infinite possibilità per colorare un disegno con Photoshop.

Una volta che si è raggiunto il punto voluto col tratteggio conviene duplicare ancora una volta l’immagine, sempre con Ctrl+Shift+Alt+E e metterla in modalità di fusione Multiply. Questo scurisce l’immagine, a volte anche in modo eccessivo, ma può essere molto comodo per ridare forza al disegno. Il punto è che senza fare in così non si ottengono mai neri così profondi come nell’immagine di partenza. Questo perché per ottenerli sarebbe necessario grattare completamente la maschera, ma così facendo si rivelerebbe appunto la foto sottostante. Per conservare l’effetto disegno è necessario lasciare degli spazi bianchi fra i tratti, che appunto schiariscono l’immagine. Aggiungendo questo layer si ridà profondità ai neri conservando l’effetto tratteggio. Diciamo che con il layer si ha un effetto più simile alla penna e al carboncino, mentre senza il disegno somiglia più a quello ottenuto con una matita dura. Modificando l’opacità del layer si troverà sicuramente l’effetto voluto e il compromesso fra intensità e gamma tonale dell’immagine. A questo punto è spesso utile regolare leggermente contrasto o luminosità dell’immagine, cosa che può esser fatta facilmente con una curva di aggiustamento.

Il disegno è finalmente finito, ma è ancora possibile giocare un po’ con i colori per ottenere vari effetti. Esistono infiniti metodi per colorare immagini monocromatiche, quindi si ha solo l’imbarazzo della scelta.

Conclusioni

La tecnica illustrata permette di trasformare rapidamente e efficacemente una fotografia in un disegno a matita o a penna. È inoltre disponibile una action per Photoshop CS3, disegno a matita, che automatizza gran parte del lavoro dettagliato in questo articolo.

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Bruno Van Dyke su Cianotipo /it/2008/bruno-van-dyke-cianotipo/ /it/2008/bruno-van-dyke-cianotipo/#comments Sun, 24 Feb 2008 11:25:34 +0000 Fabiano Busdraghi /?p=2858 Van dyke brown su cianotipo
Stampa van Dyke Brown su cianotipo su carta Arche Platine. Negativo analogico con interpositivo su carta RC.

Un paio d’anni fa, durante un viaggio in macchina nel sud italia, stavo parlando con un amico napoletano, anche lui fotografo, di tecniche antiche di stampa. In particolare citai la possibilità di sovrapporre stampe brune, o van Dyke Brown a stampe cianotipo.

La risposta fu rapida e laconica:

-Blu e marrone fa cafone!

Che poi volendo può esser completato anche dal proverbio gemello: “marrone e nero, cafone vero”.

In realtà sovrapporre una stampa bruna ai sali ferrici ad un cianotipo è una tecnica, come tutte, che può essere interessante, soprattutto per stampare negativi troppo duri, o per recuperare stampe VDB venute male. Detto così suona poco elegante, ma in realtà nel mondo delle tecniche antiche di stampa conviene lasciarsi un po’ andare, far giocare anche al caso i suoi tiri mancini, lasciar spazio alla serendipidità e accettare quello che il fato ci vuorrà regalare. Chi pratica queste tecniche di stampa in generale lo fa per riscoprire un look alternativo, produrre immagini diversissime da quelle che si è soliti vedere, produrre stampe uniche. E per questo non c’è niente meglio del caso, o se vogliamo del caos.

Anche per questa ragione, in generale, consiglio a tutti i praticanti di tecniche antiche di stampa di non buttare via mai niente, anche la stampa meno riuscita un giorno potrà diventare un elemento interessante su cui (ri)lavorare. Si scoprono di continuo nuove tecniche, nuove combinazioni, nuove possibilità e ci si rende conto che quel pessimo platino che si è buttato via sarebbe perfetto per testare la nuova tecnica in cui ci si è appena imbattuti.

Il vantaggio tecnico di sovrapporre cianotipo e VDB è che la prima tecnica richiede un negativo molto più morbido della seconda. Ovvero stampando un negativo duro si possono “riempire” alcuni toni con il blu del cianotipo e altri con il marrone della stampa VDB. Visto che i colori sono molto diversi spesso si ottengono interessanti effetti dualtone, sprazzi di posterizzazione e, a volte, anche di solarizzazione.

È possibile stampare prima il cianotipo e poi il VDB oppure invertire l’ordine. Nel secondo caso però, visto che la formula classica del cianotipo contiene ferrocianuro di potassio, un ingrediente usato in molte formule per ridurre la densità di immagini o negativi sovraesposti e sovrasviluppati, l’immagine argentica della stampa VDB viene largamente intaccata al momento della stesa della soluzione cianotipo. Anche stampando prima un cianotipo e poi un VDB la prima stampa viene un po’ corrosa dalla seconda stesa, ma l’effetto è contenuto e i risultati restano interessanti.

Visto che il VDB incassa negativi più duri le alte luci eventualmente slavate della stampa cianotipo vengono piacevolmente “riempite” dalla stampa ai sali ferrici, creando un particolare effetto dual tone. Il blu del cianotipo viene poi desaturato dalla presenza del marrone, rendendolo più scuro e più neutro, cosa che trovo più piacevole del colore brillante delle stampe cianotipo dirette.

La fotografia che accompagna questo articolo è stata scattata in occasione della festa della Madonna dell’Avvocata, quando la maggior parte degli abitanti di un paio di paeselli della costiera Amalfitana salgono fino al santuario e passano una giornata intera ballando ai ritmi della tammuriata locale. Vecchia OM-2 meccanica, se non ricordo male caricata con FP4 Plus. Interpositivo su carta RC e negativo ingrandito su film Adox. Purtroppo il negativo era troppo duro, ed è stato ammorbidito con il Dupont 4-R, Ederís harmonizing reducer. Prima di ammorbidirlo ho stampato un paio di ciano, fra cui quello in questione, sul retro di un foglio di Arche Platine su cui un paio d’anni prima avevo già stampato qualcosa. Visto che il negativo era appunto troppo duro ho sovrapposto una stampa VDB usando lo stesso negativo. Il cianotipo rimane presente nelle ombre e il VDB riempe piacevolmente i toni medi dell’immagine. Nel viso si vede riemergere il cianotipo, che sottolinea i tratti del viso. Nella stampa manca ancora qualche cosa nelle luci, appena ho tempo e voglia aggiungerÒ un ultimo strato o due di gomma bicromata per arricchire le luci e amalgamare il tutto.

In ogni caso, anche con quelli che nascono come errori e possibile divertirsi e ottenere immagini interessanti. Anche se a volte, fanno un po’ cafone…

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Il rumore nelle fotografie digitali zone plate /it/2008/zone-plate-rumore-digitale/ /it/2008/zone-plate-rumore-digitale/#comments Mon, 11 Feb 2008 11:49:40 +0000 Fabiano Busdraghi /?p=2870 Zone plate
La spesa, fotografia zone zone plate stampata in A3 a getto d’inchiostro, 2008. Per apprezzare correttamente il grano dell’immagine è necessario vedere la stampa, perché la riduzione di risoluzione necessaria per la pubblicazione sul web ne falsa la percezione.

Le fotografie ottenute utilizzando uno zone plate al posto di un obiettivo, come le fotografie stenopeiche, soffrono di un rumore digitale importante e dalle caratteristiche diverse rispetto a quello presente sulle normali fotografie ottenute con un obiettivo.

Uno zone plate è sicuramente più luminoso di un foro stenopeico, tanto che in pieno sole è possibile scattare a mano libera, ma rimane comunque molto meno luminoso di un obiettivo tradizionale, quindi si usano spesso le alte sensibilità della macchina fotografica e/o tempi di posa lunghi. Le immagini ottenute inoltre sono molto morbide, non solo in termini di dettaglio, ma anche di contrasto. Spesso quindi si applicano livelli e curve di Photoshop per dare energia alla fotografia, ma che contemporaneamente amplificano il rumore digitale presente nell’immagine.

zone plate banding
Nelle fotografie digitali zone plate e stenopeiche sono spesso presenti delle strutture a bande diagonali.

Le caratteristiche del rumore sono profondamente diverse da quelle che si riscontrano nella fotografia digitale tradizionale. Sia con gli zone plate che con i fori stenopeici ho notato delle bande diagonali ad alta frequenza che attraversano tutta l’immagine. Nelle ombre il rumore poi è intenso e strutturato in modo inusuale. L’utilizzo di un programma che filtri il rumore, come Noise Ninja, non porta a risultati apprezzabili, probabilmente perché il disturbo nell’immagine non avviene alle frequenze per le quali il plugin è stato progettato.

Per eliminare questi artefatti una possibilità è quella di applicare un filtro gaussiano, sfocando il rumore e lisciando quindi l’immagine. La perdita di dettaglio in questo caso è quasi sempre assolutamente trascurabile, visto che le fotografie zone plate sono già per loro natura molto sfuocate.

rumore zone plate
Le caratteristiche visive del rumore delle fotografie zone plate sono profondamente diverse da quelle ottenute nelle fotografie ordinarie, cosa che ne rende difficile la rimozione.

Un’altra possibilità è quella di aggiungere del grano per coprire il rumore digitale. Personalmente questa è una tecnica che preferisco, perché in un’immagine già completamente flou, il grano costituisce una specie di ancora per l’occhio, in un mondo completamente sfuocato una struttura regolare permette di costituire una sorta di sistema di riferimento visivo.

Quando si aggiunge del rumore digitale per simulare il grano della pellicola è d’obbligo osservare il risultato su una stampa cartacea, perché la visualizzazione a monitor induce tutta una serie di artefatti dovuti principalmente a problemi di aliasing. Le immagini allegate a questo articolo sono quindi fornite a titolo indicativo. In ogni caso, dopo alcuni tentativi con il file originale da cui sono tratte, ho ottenuto un ottimo risultato su una stampa formato A3, usando una getto d’inchiostro Epson 2100.

Per prima cosa ho sviluppato il file Raw convertendo la fotografia in bianco e nero e giocando considerabilmente con contrasto e curve. Ho bruciato completamente alte luci e reso completamente nere le ombre, perché quello che mi interessava era l’effetto grafico e amplificare l’impressione di luce accecante che è una delle caratteristiche delle fotografie zone plate che mi attira di più. La gamma tonale così ottenuta poi è tipica delle pellicole sottoesposte e sovrasviluppate, che appunto hanno un grano molto visibile.

zone plate noise mask
Una maschera di livello negativo dell’immagine applicata permette una resa più naturale del grano della foto.
Si noti come nella maschera, ottenuta come semplice negativo dell’immagine di partenza, sono presenti delle bande diagonali che attraversano tutta la fotografia.

L’immagine risultante, una volta aperta con Photoshop, ha un rumore che è molto difficile filtrare e che trovo particolarmente spiacevole. Dopo aver eliminato tutti i puntini corrispondenti ai granelli di polvere presenti sul captore (nel caso dello zone plate e delle foto stenopeiche, vista la profondità di campo infinita, le impurtità sul captore non perdonano e sono tutte assolutamente visibili) ho dato un leggero passaggio di sharpen per rendere il rumore più secco. Ho quindi duplicato il layer e aggiunto un rumore gaussiano monocromatico molto forte, più di quello che avevo realmente bisogno, in modo da avere una buona base di partenza.

In questo modo il rumore copre uniformemente l’immagine rendendola piatta e poco luminosa. Si vede subito poi che si tratta di uno strato di rumore uniforme sovrapposto alla fotografia, che non assomiglia minimamente al piacevole grano che invece costituisce l’immagine ai sali d’argento quando si usano pellicole molto sensibili.

Una tecnica semplice e veloce che permette di ottenere un effetto molto piacevole consiste nell’aggiungere una maschera al layer cui è stato applicato il rumore uniforme, in modo da evitare l’aggiunta di questo nelle alte luci. In questo modo la fotografia conservera contrasto e luminosità, e la distribuzione irregolare del rumore gaussiano assomiglierà a quella del grano analogico. Per ottenere questo effetto basta creare una maschera che sia il negativo dell’immagine, quindi nella paletta canali, basta premere ctrl e cliccare sull’icona dei canali, invertire la selezione, tornare nella paletta layer, rendere attivo il layer cui è stato aggiunto il rumore gaussiano e aggiungergli una maschera di livello.

Zone plate con aggiunta rumore
L’aggiunta del grano permette di coprire il rumore digitale e produrre un piacevole effetto di struttura costituente l’immagine.

In genere questa maschera è troppo contrastata e conviene intervenire su questa, per esempio con lo strumento “livelli”, in modo da ottenere il risultato voluto. In generale è opportuno rendere il punto del nero un grigio scuro (si fa facilmente con lo slide “output” dei livelli) al fine di applicare un minimo di rumore anche nelle alte luci dell’immagine. In seguito può essere utile intensificare o ridurre il rumore localmente, schiarendo o scurendo la maschera di livello. In questo caso per esempio ho avitato di applicare un rumore troppo intenso scurendo la maschera in corrispondenza del corpo dell’uomo. Per finire si regola l’effetto finale con l’opacità del layer.

Con un po’ di esperienza si riesce a valutare a schermo l’entità di ogni intervento, ma, almeno all’inizio, è sicuramente opportuno cercare conferma con alcune prove di stampa. Il risultato finale a stampa è molto piacevole e credibile. Si ha la morbidezza, gli aloni di luce tipici delle fotografie zoneplate, la materia è costituita da un piacevole grano secco e ben disegnato, che ricorda molto quello delle vecchie pellicole ad alta sensibilità.

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Action photoshop riduzione rumore e sharpening multi layer /it/2008/action-photoshop-riduzione-rumore-sharpening-multi-layer/ /it/2008/action-photoshop-riduzione-rumore-sharpening-multi-layer/#comments Sun, 03 Feb 2008 07:48:15 +0000 Fabiano Busdraghi /2008/camera-chiara/action-photoshop-riduzione-rumore-e-sharpening-multi-layer/ Dimensione file duplicato
L’action Mask Noise Sharpen si interrompe per chiedere la dimensione del file duplicato su cui calcolare la maschere. Per scegliere la dimensione corretta basta selezionare nel menù Preset il nome del file di partenza.

L’action set Noise & Sharpen descritto in questo articolo contiene 3 action che automatizzano le tecniche di riduzione del rumore e applicazione dello sharpening descritte negli articoli Tecniche locali di sharpening e riduzione del rumore, Anti color fringing per eliminare il rumore cromatico residuo e Aggiungere il rumore per eliminare il rumore, di cui si raccomanda la lettura prima dell’utilizzo dell’action.

Questa action chiama il plugin Noise Ninja e lo script TLR professional sharpen toolkit, quindi prima di lanciarla è necessario installare queste due componenti aggiuntive di photoshop. L’action è stata registrata con la versione CS3 di photoshop, ma dovrebbe funzionare anche con versioni diverse.

La prima action del set è Maschere Noise Sharpen. Questa genera i layer Sharpen e Noise, cui applica Noise Ninja e Smart Sharpening, rispettivamente con una maschera di superficie e di bordo generata da TLR sharpen toolkit.

Prima di lanciare l’action è necessario duplicare il layer di base e rinominarlo temp. Questo è un passaggio necessario perché, se il layer di base non è un vero background, come quando si apre un file da camera raw direttamente come smart object (cosa che faccio sul 90% delle mie immagini) l’action non potrebbe funzionare. Se il background è uno smart object poi l’action si occuperà automaticamente di rasterizzarlo. Se sono presenti degli adjustement layers, i layers Noise e Sharpen saranno generati fra il layer di base e gli adjustment layers.

L’action parte dal presupposto che si lavori a 16bit. Visto che con questa profondità colore la generazione delle maschere di superficie e di bordo è molto lunga, questi calcoli vengono effettuati su una copia del file a 8bit. In questo modo la procedura è molto più veloce (bisogna comunque pazientare qualche secondo) e i risultati in ogni caso non sono assolutamente diversi da quelli ottenuti a 16bit. Questa procedura inoltre è necessaria per non appiattire gli adjustment layers eventualmente presenti. Appena lanciata l’action vengono subito chieste le dimensioni del file duplicato (purtroppo sembra che photoshop non permetta di automatizzare questo passaggio). Per selezionare la giusta dimensione, nella finestra che appare a schermo, basta selezionare nella voce Preset, il nome del file corrente e premere ok.

L’action si interrompe una seconda volta per permettere di scegliere le opzioni di TLR prefessional sharpen toolkit. Nel caso si usi sempre una certa configurazione è possibile salvarla come predefinita, modificando i parametri dello script. Si veda la documentazione dell’autore per i dettagli.

Layers generati dalle action
Le action descritte in questo articolo generano 5 layers, che possono poi essere appiattiti in un unico chiamato Noise & Sharpen.

A questo punto, l’action Maschere Noise Sharpen chiede se si vuole intervenire sulle maschere appena generate oppure continuare. Spesso si vuole applicare completamente a delle zone dell’immagine la riduzione del rumore e niente sharpen o viceversa. Basterà quindi interrompere l’action, selezionare una zona della maschera e riempirla di nero o di bianco rispettivamente. Inoltre a volte si vuole sfuocare leggermente la maschera, oppure ridurne la granulosità, o aumentarne il contrasto, quindi in questo momento si possono applicare tutte queste correzioni manuali. La maschera di superficie poi è il negativo di quella di bordo, quindi tutti gli interventi fatti sulla maschera di bordo poi si rifletteranno invertiti su quela di superficie.

Rilanciando l’action, oppure se questa non era stata bloccata, vengono richiamati Noise Ninja e Smart Sharpen, naturalmente lasciando all’utente la possibilità di scegliere i valori di questi filtri.

Alla fine si ottengono i due layer Noise e Sharpen con le rispettive maschere e le opzioni di blending settate in modo corretto. Fra questi e il layer di base è presente un terzo layer, chiamato Noise & Sharpening, che è semplicemente una copia rasterizzata del layer di base. Questo è presente solo per comodità, arrivati alla fine del ritocco se si appiattiscono i 3 layer non sarà necessario rinominare l’ultimo, ottenendo direttamente appunto Noise & Sharpening.

L’azione Add Noise prepara un layer copia del layer noise, cui viene applicato del rumore monocromatico. La maschera del layer è comletamente nera, visto che l’aggiunta del rumore deve essere una scelta oculata e preferibilmente circoscritta. L’action Anti Color Fringing invece prepara un layer, sempre copia del layer Noise, cui viene applicato un leggero filtro gaussiano e che viene fuso in modalità colore. La maschera è completamente bianca, ma se sono presenti delle zone con forti transizioni cromatiche è bene escluderle a mano. Questi ultimi due passaggi sono opzionali e quindi non sono stati inseriti in un’unica action. Se si desidera utilizzarli entrambi si consiglia di lanciare per prima l’action Add noise e poi Anti Color Fringing, in modo che i layer di riduzione del rumore stiano sempre sotto a quelli di aumento del dettaglio.

Alla fine si otterranno 5 layers di cui si può gestire indipendentemente l’opacità e le maschere, in modo da ottenere esattamente il risultato voluto.

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Anti color fringing per eliminare il rumore cromatico residuo /it/2008/anti-color-fringing-eliminare-rumore-cromatico-photoshop/ /it/2008/anti-color-fringing-eliminare-rumore-cromatico-photoshop/#comments Fri, 01 Feb 2008 12:03:35 +0000 Fabiano Busdraghi /?p=2884 Residuo rumore cromatico
In certe zone dell’immagine, soprattutto nei bordi netti o dove il rumore è più intenso, Noise Ninja lascia un residuo di rumore cromatico.

Discutendo con Claudio Muzzetto dell’articolo Tecniche locali di sharpening e riduzione del rumore è venuto fuori un passaggio aggiuntivo che permette di eliminare completamente ogni residuo di rumore cromatico. Si tratta di una tecnica generalmente usata per ridurre il color fringing (aloni colorati sui bordi delle transizioni fra luci e ombre, generalmente dovuti ad aberrazioni cromatiche), ma può essere utilizzata con successo per filtrare il rumore cromatico. Ancora una volta si consiglia di scaricare le immagini e osservarle con un ingrandimento del 100% per rendersi conto degli effetti reali ottenuti con la tecnica descritta.

Una volta arrivati nella configurazione a due layer descritta nell’articolo appena citato si può notare che un residuo di rumore cromatico è ancora presente nelle righe orizzontali dello sfondo, nella trama dei pantaloni e nella maglietta della ragazza. Per quanto riguarda lo sfondo Noise Ninja riconosce correttamente i bordi, e per evitare una perdita di dettaglio il plugin evita di applicare il filtro in zone come questa. Nel caso della maglietta invece probabilmente il rumore viene interpretato come dettaglio, e ancora una volta Noise Ninja non filtra l’immagine in questo punto, lasciando appunto un residuo di rumore cromatico.

Per ovviare a questo problema è sufficiente agire come segue. Si duplica il layer Noise, ovvero il layer cui il rumore è già stato filtrato con Noise Ninja, lo si rinomina Anti color fringing e se ne elimina la maschera di livello. Su questo layer si applica un leggero filtro gaussiano, in generale un raggio di sfocatura compreso fra i 2 e i 4 pixel è sufficiente. L’immagine apparirà sfuocata, ma se modifica la blending option di questo layer da normal e color, il residuo di rumore cromatico sparirà completamente e l’immagine tornerà perfettamente netta, grazie al layer Sharpen posto subito sopra il layer Anti color fringing.

Anti color fringing
Utilizzando un layer sfuocato in blending option colore si elimina completamente ogni residuo di rumore cromatico, senza perdere in dettaglio.

Più il raggio di sfocatura del filtro Gaussian Blur è grande e più il rumore viene cancellato, ma allo stesso tempo, se sono presenti nell’immagine delle zone in cui si passa rapidamente da un colore all’altro, la saturazione lungo questi bordi diminuirà in modo spiacevole. Come al solito si tratta di un compromesso. In ongi caso è sempre possibile aggiungere una maschera di livello per evitare di applicare questo layer su certe zone dell’immagine. A questo punto si può continuare come descritto nell’articolo citato per modificare a mano le maschere, aggiungere un leggero rumore monocromatico uniforme, etc. Il vantaggio è che nessun residuo di colore cromatico sarà ancora presente nella foto.

È possibile automatizzare tutti questi passaggi scaricando il set di action Noise & Sharpen.

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Tecniche locali di sharpening e riduzione del rumore /it/2008/sharpening-locale-riduzione-rumore-photoshop/ /it/2008/sharpening-locale-riduzione-rumore-photoshop/#comments Sun, 13 Jan 2008 12:46:45 +0000 Fabiano Busdraghi /?p=2911 No noise no sharpen
Immagine originale, con correzione dell’esposizione e del contrasto ma nessun intervento di sharpening e riduzione del rumore.

Nel campo della fotografia analogica, una volta fissato il fattore di ingrandimento del negativo, il dettaglio di una stampa è determinato principalmente da una buona tecnica di ripresa (assenza di micromosso, messa a fuoco corretta, adeguata profondità di campo, etc.) e dal potere risolvente degli obiettivi di ripresa e di quello montato sull’ingranditore. Il grano dell’immagine è invece determinato dalla scelta della pellicola, dall’esposizione e dallo sviluppo di questa. Lo sviluppo permette inoltre di controllare l’acutanza dell’immagine. In seguito, durante la fase di stampa, è possibile modificare sia il dettaglio che il grano della foto, per esempio utilizzando maschere di contrasto o sfocando certe zone con una calza da donna interposta fra l’obiettivo e il piano dell’ingranditore, ma gli interventi sono lunghi, laboriosi, difficili da eseguire e hanno un impatto comunque limitato su acutanza e grano dell’immagine.

Nel caso della fotografia digitale la tecnica di ripresa, la qualità degli obiettivi e la scelta dell’esposizione influiscono ancora pesantemente su dettaglio e grano (o più correttamente rumore, visto che il grano analogico e il rumore digitale, per quanto parzialmente assimilabili, hanno origine e caratteristiche diverse). In post-produzione però due strumenti potentissimi sono ora a disposizione del fotografo: i filtri di sharpen e quelli di riduzione del rumore.

Sharpen e noise integrati in Camera Raw
Sharpen e riduzione del rumore integrati in Camera Raw.

Purtroppo questi strumenti rimangono spesso incompresi dai fotografi, oppure vengono utilizzati meccanicamente e in modo maldestro. La conseguenza di questo stato di cose è che molti ex fotografi analogici si lamentano del rumore e dell’assenza di nitidezza delle immagini digitali, pensando che sia un difetto intrinseco al sistema di ripresa. In realtà questo è largamente imputabile all’uso incorretto di sharpen e filtri antirumore. L’applicazione corretta di questi strumenti porterebbe a risultati almeno comparabili a quelli a cui i fotografi analogici sono abituati, se non superiori.

Un’ottima panoramica sulle tecniche digitali per il controllo dell’acutanza è l’articolo, di cui consiglio caldamente la lettura, Lo sharpening di Andrea Olivotto. Articolo veramente completo, tanto per le definizioni introduttive che per le tecniche avanzate, con decine di link ad articoli diversi, plugins e risorse online. Sullo splendido sito di Russell Brown sono presenti un paio di ottimi tutorial video sullo sharpening, come sulle maschere, di cui viene fatto un uso estensivo in questo articolo.

Per quanto riguarda invece la riduzione del rumore, un confronto molto completo di vari software, è Noise Reduction Tool Comparison. Attualmente purtroppo questo articolo è un po’ antiquato, vista la rapidità con cui cambiano (e migliorano) i programmi di riduzione del rumore nelle fotografie digitali, va preso più come una lista di possibili software, da testare per trovare quello che più soddisfa le proprie esigenze. Un articolo sempre sulla riduzione del rumore è già apparso anche su Camera Obscura: Aggiungere il rumore per eliminare il rumore.

Workflow di sharpen e riduzione rumore

Only Noise Ninja
Applicazione di Noise Ninja su tutta l’immagine senza nessun filtro di sharpening.

Per quanto riguarda il mio workflow personale, come prima cosa metto a zero lo sharpen e il filtro del rumore di Camera Raw. In seguito utilizzo quasi unicamente lo strumento Smart Sharpen (di cui si veda l’ottimo tutorial di Russell Brown Smart Sharpen revealed) di Photoshop per gestire il dettaglio e Noise Ninja per la riduzione del rumore. Utilizzo questi due filtri perché li conosco bene e il risultato mi soddisfa pienamente, ma non sto affermando che siano i migliori strumenti. In ogni caso le idee esposte in questo articolo, lo sharpening e la riduzione del rumore a due layer e le applicazioni locali dei filtri, possono essere sfruttate con successo qualunque algoritmo si usi per aumentare l’acutanza e ridurre il rumore dell’immagine.

Come per tutte le tecniche digitali non esiste la manna dal cielo che risolva tutti i problemi automaticamente, altrimenti sarebbe incorporata nel firmware delle macchine digitali. I migliori risultati si ottengono adattando l’uso degli strumenti a seconda della tipologia di immagine su cui si sta lavorando e dei risultati voluti.

A seconda dei casi quindi utilizzo unicamente lo Smart Sharpen o Noise Ninja, eventualmente selezionando solo alcune delle zone dell’immagine dove applicare questi due filtri. Per esempio sui cieli applico pesantemente Noise Ninja, ottenendo volte celesti pulitissime e questo anche se il contrasto delle nuvole viene aumentato in modo molto pesante da eventuali interventi di ritocco. Su zone della foto molto dettagliate invece, come prati o capelli, applico unicamente lo Smart Sharpen.

Smart Sharpen after Noise Ninja
Applicazione del filtro Smart Sharpen all’immagine cui è già stato applicato Noise Ninja.

In molti casi il procedimento di selezione manuale può essere automatizzato o completato dall’uso di maschere di superficie e di bordo generate automaticamente. A questo fine uso veramente spesso il plugin TLR professional sharpening toolkit, che in generale permette di ottenere ottimi risultati su immagini che contengono tanto zone molto uniformi che zone dettagliate. I risultati sono particolarmente buoni soprattutto se le maschere vengono un po’ rifinite a mano in modo da adattarsi completamente all’immagine. Tutte queste operazioni vengono effettuate su due layer copia del background, uno per la nitidezza e l’altro per il rumore, a cui vengono applicate due maschere. In questo modo è sempre possibile modificare intensità dell’effetto o le zone in cui viene applicato.

Ci sono dei casi in cui però è necessario raffinare ulteriormente questa tecnica. Certe immagini sono particolarmente difficili da trattare, e la scelta di utilizzare l’uno o l’altro strumento, come eseguire le maschere, etc… diventa una questione di difficili compromessi. Immagini che hanno un rumore molto forte, sottoesposte o scattate ad alta sensibilità, che presentino anche zone ad alto dettaglio mescolato al rumore, come la superficie del mare o i vestiti, sono particolarmente difficili da trattare. In questo tutorial mostrerò una soluzione che fa un uso combinato di tutti gli strumenti citati e che permette di ottenere risultati sorprendenti proprio in questi casi particolarmente complessi.

Recuperare una fotografia sbagliata

Only Smart Sharpen
Applicazione del filtro Smart Sharpen su tutta l’immagine. Nessuna riduzione del rumore.

L’immagine utilizzata in questo tutorial è tratta da un lavoretto che ho fatto poco tempo fa. Avevo messo la macchina in manuale per fare gli scatti di una location da incollare in uno stitch. Poi la modella ha preso una buffa posizione e ho fatto uno scatto al volo, senza badare all’esposizione. Visto che stavo sottoesponendo pesantemente ho subito cambiato i parametri di esposizione, ma nel seguito è proprio l’immagine rubata che è stata scelta mio malgrado come immagine definitiva.

L’unica possibilità in questo caso è fare un buon lavoro di editing per rendere la fotografia accettabile. Con Camera Raw ho aggiustato l’esposizione generale di addirittura uno stop, aprendo in più le ombre con il comando Fill Light. In Photoshop ho poi gestito il contrasto locale aumentandolo in varie zone in modo da aggiustare completamente la gamma tonale della foto. Tutte queste operazioni hanno portato ad un aumento considerevole ed inaccettabile del rumore. In questo caso è particolarmente difficile selezionare a mano le zone uniformi e quelle dettagliate perché lo sfondo è costituito da un intricato mosaico. Sono presenti molte linee che vanno rese più nette e allo stesso tempo aree piatte su cui è particolarmente evidente il rumore. I vestiti della modella poi devono conservare la sensazione e il dettaglio della stoffa pur non presentando un rumore eccessivo. Naturalmente si tratta di un esempio eccessivo, nel caso reale la cosa migliore è rifare la foto correggendo gli errori di ripresa, ma dal punto di vista didattico è un ottima opportunità per illustrare la tecnica cui è dedicato questo articolo.

I valori dei filtri e le impostazioni usate

Noise Ninja after Smart Sharpen
Applicazione del filtro Noise Ninja all’immagine cui è già stato applicato Smart Sharpen.

Per rendere le immagini elaborate confrontabili fra di loro tutti i filtri sono stati applicati con gli stessi valori. Per ottenere risultati migliori sarebbe stato necessario scegliere accuratamente i valori dei parametri di ogni filtro, ma in questo caso si tratta unicamente di una dimostrazione.

Noise Ninja, naturalmente con il profilo adeguato a sensibilità iso e modello di macchina fotografica in questione, è stato utilizzato con il valore 15 per i comandi strength e smoothness, sia per quanto riguarda la luminanza che il colore. Questi valori relativamente alti sono stati utilizzati per mostrare le conseguenze di un uso aggressivo del filtro di riduzione del rumore. Il contrasto è stato mantenuto a 10 e lo sharpen a 0, in modo da utilizzare solo lo Smart sharpen per quanto riguarda l’acutanza. Lo Smart sharpen è stato utilizzato per semplicità nella versione base, con 130 di amount e 0.8 di radius, valori abbastanza standard per immagini di questa dimensione. Il plugin TLR è stato usato unicamente per generare le maschere di superficie e di bordo, con i valori High resolution per la macchina fotografica e medium per sharpen width.

Layers
Layer noise e sharp con maschera di superficie e bordi rispettivamente. Si noti che l’opzione di blending per il layer sharpen è luminosity.

Lo sharpen e la riduzione del rumore di Camera raw sono stati messi a zero e tutte le operazioni sono state effettuate a 16 bit. Smart sharpen e Noise Ninja sono stati applicati su delle copie del background poste al di sotto di tutti gli adjustment layers, ovvero le operazioni di filtraggio sono state applicate dopo lo “sviluppo” con Camera Raw e prima delle operazioni di correzione tonale in Photoshop. Alla fine del ritocco tutte le versioni dell’immagine sono state appiattite, convertite in sRGB a 8bit e salvate in formato jpeg con 10 come valore di compressione. Le immagini allegate sono tutte lo stesso crop al 100% dell’immagine originale, nessuna modifica è stata fatta alle dimensioni native della fotografia. Per confrontare comodamente tutte le immagini è consigliato scaricarle sul proprio computer e osservarle al 100% di ingrandimento, visto che per valori diversi effetti di aliasing possono modificare la percezione dell’acutanza e della riduzione del rumore. Un file compresso con tutte le immagini dell’articolo è disponibile per il download (2.3Mb).

Uso semplice di Noise Ninja e Smart Sharpen

Using Edge and Surface Masks
Applicazione di Smart Sharpen e Noise Ninja su due layer copia del background. A questi è rispettivamente applicata una maschera di bordo e di superficie generate dal Plugin TLR professional sharpen toolkit. Il layer noise si trova sotto al layer sharpen, quest’ultimo usa luminosity come blending mode.

La prima immagine è semplicemente il file senza nessun filtro per aumentare il dettaglio o ridurre il rumore. Il rumore cromatico è particolarmente fastidioso sui pantaloni, mentre nelle zone uniformi dello sfondo è particolarmente evidente il rumore sulla luminanza. L’immagine è impastata e con poco dettaglio a causa della perdita di nitidezza dovuta al processo di demosaicing. Per ottenere un risultato accettabile è assolutamente necessario far sparire il rumore cromatico dai vestiti mantenendo allo stesso tempo una resa naturale della materia di cui sono costituiti. In più sarebbe opportuno ridurre il rumore di luminanza dello sfondo, senza compromettere le linee del mosaico da cui è costituito.

Giusto per completezza, riporto è il risultato che si ottiene se si utilizza sharpen e riduzione del rumore integrati in Camera Raw. Il rumore cromatico è sparito dai pantaloni, ma con questo anche parte del dettaglio di questi. Con strumenti più raffinati, come si vedrà alla fine dell’articolo è possibile ottenere un dettaglio molto più ricco. Allo stesso tempo sullo sfondo sono rimasti degli artefatti che personalmente trovo molto sgradevoli, Noise Ninja in questo senso è molto più efficace.

Applicando unicamente Noise Ninja su tutta l’immagine si ottiene un ottimo risultato per quanto riguarda il rumore nelle zone uniformi, e l’algoritmo conserva anche in maniera discreta le linee nette del mosaico dello sfondo. Purtroppo però i dettagli dei vestiti vengono irrimediabilmente lisciati, dando alla fotografia un aspetto plasticoso e finto particolarmente sgradevole. L’applicazione successiva a Noise Ninja dello Smart Sharpen permette di recuperare appena appena un po’ di acutanza ma aumenta visibilmente il rumore residuo che non è stato filtrato da Noise Ninja.

In modo simile applicare unicamente Smart Sharpen su tutto l’immagine non porta a buoni risultati. La foto è molto netta ma il rumore viene amplificato in modo inaccettabile. Anche l’utilizzo successivo a Smart Sharpen di Noise Ninja è fallimentare.

Uso delle surface mask e edge mask

Edge mask
Maschera di bordo generata dal plugin TLR professional sharpening toolkit. Si noti come parte del rumore, sia sul fondo che sulla maglietta, viene interpretato dal plugins come se fosse del dettaglio. Si noti inoltre che nella zona dei pantaloni, rumore e dettaglio sono inestricabilmente mischiati.

La maschera di superficie è uguale ma invertita.

Una possibile soluzione è utilizzare in contemporanea Noise Ninja e Smart Sharpen, cercando di separare i loro effetti in modo da applicare il primo solo sulle aree uniformi e il secondo solo sugli angoli dell’immagine. La differenza rispetto a prima è che non si applica più il filtro sulla totalità dell’immagine. Dove viene applicato lo sharpen non viene fatto girare l’algoritmo di riduzione del rumore e viceversa.

Il plugin TLR permette di generare automaticamente delle maschere di superficie e di bordo. Si creano quindi due layer copia del background, uno a cui si applica Noise Ninja con la maschera di superficie e uno sopra a questo cui si applica Smart Sharpen con maschera di bordo. Si deve aver cura di mettere l’opzione di blend a luminosity del layer di sharpen, in modo da non intensificare il rumore cromatico.

Questa configurazione usata sulla nostra immagine permette di ottenere risultati molto soddisfacenti per quanto riguarda lo sfondo, in cui il rumore è quasi completamente eliminato dalle aree piatte, mentre le righe del mosaico sono correttamente accentuate dallo sharpen. L’esempio mostrato è semplicemente il risultato ottenuto automaticamente, aggiustando i valori di Noise Ninja e Smart Sharpen, variando l’opacità dei layer e migliorando a mano le maschere si possono ottenere risultati veramente eccellenti.

Risultati ottimi ovunque salvo che in zone ad alto dettaglio come appunto i vestiti. Aumentando lo sharpen si guadagna si in acutanza ma aumenta il rumore, intensificando l’effetto del filtro del rumore si perde la trama del tessuto. Inoltre TLR non riesce a generare una maschera di superficie e di bordo corretta. Rumore e dettaglio sono in questo caso intimamente legati fra loro, ed è molto difficile separarli in maniera da filtrarli indipendentemente. Qualunque soluzione scelta sarà sempre un compresso poco soddisfacente.

Aumentare il dettaglio di luminanza filtrando il rumore cromatico

Layer noise e sharpen senza maschere
Stessa configurazione a due layer ma senza maschere di bordo e superficie.

Una soluzione soddisfacente si può trovare riflettendo su cosa sia il rumore, dove diventi evidente, in quali casi sia fastidioso e cosa si desideri conservare nell’immagine. La prima considerazione da fare è che in generale il rumore cromatico è molto spiacevole, mentre quello di luminanza, soprattutto se uniforme, è in molti casi accettabile. La seconda considerazione è che il rumore è particolarmente visibile nelle aree uniformi dell’immagine, mentre dove vi è molto dettaglio, anche se il rumore è particolarmente intenso, questo passa quasi inosservato. Può sembrare un’affermazione banale, ma è bene sottolineare che il rumore di luminanza nelle zone ad alto dettaglio è raramente fastidioso.

Per tradurre in pratica queste idee, si prenda la configurazione precedente e si elimini semplicemente la maschera di bordo del layer sharpen (anche la maschera del layer noise può venire eliminata, in assenza della maschera di bordo quella di superficie è completamente inutile), senza dimenticare però che l’opzione di blend del layer deve essere luminosity. Ancora una volta, rispetto ai primi esempi, lo sharpen e la riduzione del rumore vengono applicati indipendentemente. Entrambi i filtri vengono applicati alla totalità dell’immagine, ma individualmente sono applicati ad una copia vergine del background, quindi non interagiscono negativamente fra loro come visto in precedenza.

Procedendo in questo modo si ottiene un ottimo dettaglio nei vestiti, il grano quando è visibile è secco e piacevole, il rumore cromatico è sparito ma allo stesso tempo la trama della stoffa è perfettamente mantenuta, i dettagli del tessuto vengono messi correttamente in valore dallo sharpening. Certo, per quanto riguarda lo sfondo, l’eliminazione della maschera di bordo porta all’amplificazione del rumore anche nelle aree piatte di questo. Il grano così ottenuto però è ben definito e monocromatico, tanto che l’immagine potrebbe essere già accettabile così com’è, senza interventi ulteriori.

Se in certe zone dell’immagine dovesse essere ancora presente un residuo di rumore cromatico è possibile eliminarlo con una tecnica ispirata a quella per eliminare il color fringing. I dettagli sono illustrati nell’articolo Anti color fringing per eliminare il rumore cromatico residuo.

È possibile automatizzare tutti questi passaggi scaricando il set di action Noise & Sharpen.

Applicazione locale di aumento del dettaglio e riduzione del rumore

Manual Mask
Immagine finale, con maschere aggiustate a mano a seconda dell’effetto desiderato.

Per ottenere in assoluto il miglior risultato a questo punto è necessario intervenire a mano sulle maschere. Per la versione definitiva dell’immagine ho mantenuto sui pantaloni il layer di sharpen sovrapposto a quello di noise senza nessuna maschera. Sulla maglietta ho applicato unicamente la riduzione del rumore e niente sharpen. Poi ho aggiunto un leggero rumore gaussiano, come spiegato nell’articolo aggiungere il rumore per eliminare il rumore.

Per quanto riguarda lo sfondo ho applicato le maschere di superficie e di bordo generate automaticamente da TLR con un leggero filtro di Dust & Scratches per lisciarle un poco. Questo perché nelle immagini particolarmente rumorose il grano viene interpretato dal plugin come se fosse del dettaglio. Allo stesso tempo ho avuto cura di rendere le zone nere della edge mask leggermente grigie, in modo da aggiungere allo sfondo un pelo di dettaglio in più e un leggerissimo grano, simile a quello dei vestiti. Queste accortezze sono necessarie per evitare l’effetto plasticoso delle superfici troppo lisce ottenute con passaggi aggressivi di Noise Ninja. Alla fine, per completare il lavoro, qualche modifica alla trasparenza dei layer per armonizzare il tutto. Naturalmente l’immagine è un semplice esempio. A seconda dei gusti personali la materia della stoffa può sembrare troppo netta e innaturale, può non piacere il leggero grano sullo sfondo, etc. Ma queste sono mie semplici scelte personali, il punto importante è che si hanno a disposizione due layer sopra il background che permettono di ottenere tutti gli effetti voluti, variando semplicemente opacità e maschere.

Nel complesso, visto che la maggior parte delle maschere sono generate automaticamente e che le selezioni manuali possono esser fatte rapidamente con il lazo e un raggio di sfumatura di una decina di pixel, la procedura per l’applicazione locale di sharpen e filtro del rumore mi ha preso al massimo 5 minuti. I risultati sono stupefacenti se si confronta l’immagine finale con quella di partenza. Nei pantaloni viene fuori un dettaglio inimmaginabile, lo sfondo diventa liscio come se fosse stato fotografato a 100iso e esposto correttamente, il leggero grano serve unicamente a dare materia alle superfici e non è visibile in stampa. I risultati sono così convincenti che ho potuto salvare uno scatto a priori completamente sbagliato e consegnare il lavoro facendo finta di non aver esposto la fotografia come da manuale.

Tutorial video

Ho realizzato un breve video con una dimostrazione pratica della tecnica di ritocco descritta in questo articolo. In questo modo, anche gli utenti meno familiari con Photoshop, possono vedere dal vivo come si creano le maschere di superficie e di bordo, si generano i layer per lo sharpen e per la riduzione del rumore, si lanciano i filtri, e infine come possono venire modificate le maschere per poter modulare gli effetti dei plugin.

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Sorgente di luce UV per contatto e ingranditore UV /it/2007/sorgente-luce-uv-ingranditore/ /it/2007/sorgente-luce-uv-ingranditore/#comments Tue, 18 Dec 2007 15:05:58 +0000 Fabiano Busdraghi /?p=2932 Cassa UV
Cassa di tubi UV per la stampa di tecniche antiche.

La maggior parte delle tecniche antiche e alternative utilizzano materiali sensibili alle radiazioni ultraviolette e non alla luce visibile. Inoltre quasi tutti i supporti sono molto più lenti della normale carta ai sali d’argento. Non è quindi in generale possibile utilizzare un semplice ingranditore come si fa normalmente in camera oscura. È necessario invece utilizzare una sorgente luminosa UV di grande superficie e stampare per contatto utilizzando un pressino o torchietto per ottenere un contatto perfetto fra negativo e supporto di stampa.

In realtà almeno teoricamente è possibile utilizzare un ingranditore, ma nella pratica non è sufficiente sostituire la lampadina con una che emetta raggi ultravioletti, altri problemi rendono un’unità per stampe a contatto molto più pratica e economica.

In primo luogo, visto che che la quantità di luce diminuisce con il quadrato della distanza dalla sorgente e vista la scarsa sensibilità dei materiali, la sorgente luminosa deve essere molto potente e raffreddata efficacemente per non bruciare il negativo. I tempi di esposizione con un eventuale ingranditore UV sono molto lunghi, su internet gira la voce che circa 15 minuti sono necessari per una gomma bicromata 18X20cm, che diventa un tempo improponibilmente lungo già con un cianotipo, tecnica che in generale è fra le 3 e le 5 volte più lenta di una gomma. I formati superiori poi richiederebbero ore di esposizione, mentre una gomma si stampa per contatto in circa 2 minuti indipendentemente dal formato. È vero che ingrandire i negativi può essere un’operazione lunga, complessa e tediosa, ma se si deve stampare un’edizione di 20 esemplari, diventa prioritario che i tempi di esposizione delle stampe restino ragionevoli o perlomeno inferiori a quello necessario per ottenere un negativo ingrandito. Senza contare che attualmente si possono ottenere negativi digitali di ottima qualità, molto rapidamente e col minimo sforzo.

Il secondo grosso problema è che la maggior parte dei vetri filtra gli UV, compresi i vetri, sono generalmente utilizzati per gli obiettivi e i porta negativi. Si dice però che gli obiettivi El Nikkor lasciano passare circa il 50% delle radiazioni UV, quindi potrebbero essere un buon punto di partenza. Ma ecco subentrare un ulteriore problema: gli obiettivi sono progettati per minimizzare le aberrazioni ottiche nel campo del visibile, ma non in quello ultravioletto. Inoltre si ha lo stesso problema di messa a fuoco che si ha scattando su pellicola IR, e non esiste nessun modo semplice per focalizzare correttamente il negativo sul piano di stampa.

Gira la voce che alcuni anni fa Durst annunciò un ingranditore che permettesse di stampare su normale carta ai sali d’argento, su carta AZO e inoltre su Platino e Palladio. Non so se la notizia è vera, ma quello che è certo è che l’ingranditore dedicato alla carta AZO costava 12000 dollari, più 5500 dollari per la sorgente luminosa, rendendo quindi estremamente costosa la soluzione ingranditore UV.

Tutto sommato quindi, visto che ottenere negativi ingranditi non è poi difficile, stampare per contatto permette alla fine dei conti di risparmiare tempo, è una scelta economica e relativamente semplice da mettere in atto e elimina i problemi di aberrazioni e messa a fuoco propri degli obiettivi.

 

Cassa UV accesa
L’interno dell’unità UV con i 7 tubi “luce nera” accesi. L’emissione di ultravioletti di tipo B è contenuta, quindi non sono necessarie precauzioni eccessive come nel caso delle lampade abbronzanti.

Per quanto riguarda la scelta dei materiali, i tipi di luce, etc, su Unblinkingeye c’è un ottimo articolo di Sandy King, Ultraviolet light sources for printing with the alternative processes, quindi non sto a ripetere quello che è stato così approfonditamente e sapientemente descritto.

La scelta della luce può diventare una variabile importante, come testimonia l’articolo appena citato. La sorgente di luce utilizzata infatti, oltre alla rapidità di esecuzione, può influire su contrasto, colore, e in generale tutte le caratteristiche della stampa.

Le possibilità sono infinite: si può passare da una semplice lampada abbronzante (sconsigliata, perché oltre a scaldare eccessivamente emette molti raggi UV di tipo B, nocivi per la pelle e quasi completamente filtrati dal vetro) a un bromografo, una macchina utilizzata in passato dalle case tipografiche per incidere lastre off-set (che ha il vantaggio di fare il vuoto per il contatto fra negativo e stampa, rendendo inutile il pressino o torchietto, le più piccole in genere hanno una superficie utile di 50x70cm, che permette di ottenere agevolmente stampe di grosso formato), fino alla sofisticatissima AmerGraph ULF-28, sogno di tutti gli stampatori per contatto.

Maniglia e interruttore
Maniglia e interruttore della lampada UV.

In generale però non è necessario utilizzare macchine raffinatissime e complesse, per ottenere buone stampe basterebbe utilizzare il sole, se questo non avesse la cattiva abitudine di essere una sorgente di luce incostante, difficilmente quantificabile, e soprattutto non esser disponibile di notte, momento in cui la maggior parte delle persone trovano il tempo per stampare. Nel seguito di questo articolo descrivo quindi brevemente la sorgente di luce che utilizzo correntemente, una soluzione economica e semplice da costruire che permette di ottenere ottime stampe in un tempo ragionevole. Colgo l’occasione per dare qualche consiglio su possibili migliorie per chi volesse costruire la propria sorgente UV per le stampe per contatto.

La sorgente di luce sono dei tubi simili a quelli che si trovano in certe discoteche, che producono quella luce violetta che si riflette sul bianco dei vestiti e mette in risalto la polvere sui vestiti. Il fatto che venga utilizzata come luce continua in locali pubblici dovrebbe rassicurare chiunque per quanto riguarda l’eventuale presenza di UV di tipo B e la nocività delle radiazioni emesse. Anche se per precauzione evito di guardare i tubi accessi, non ho mai riscontrato i problemi di dolori agli occhio o alla testa di cui parlano certi stampatori. I tubi che uso sono i Sylvania Blacklight-blue F18W/BLB-T8 che costano circa 35 euro l’uno, ma penso che qualunque tipo di neon di luce nera possa andar bene.

Visto che stampo al massimo negativi di formato A3+, ovvero 32x48cm, ho calcolato il numero di tubi per coprire questa superficie mettendoli il più vicino possibile fra loro, ovvero 7 tubi di 60cm di lunghezza, che coprono un’area di 38x60cm. In realtà almeno un ulteriore tubo sarebbe stato molto utile, visto che noto una leggera perdita di luminosità sui bordi verticali dell’imagine. Consiglio quindi chiunque voglia stampare negativi di formato A3+ di utilizzare almeno 8 tubi di 60cm di lunghezza, o in ogni caso di coprire almeno un’area di 45x50cm. La superficie esterna della cassa va invece studiata in modo che si adatti correttamente al pressino utilizzato.

I tubi sono stati montati il più vicino possibile fra loro, ovvero ad una distanza fra gli assi di circa 5,5cm, le basi dei supporti impediscono di avvicinarli ulteriormente. Se fosse possibile trovare dei supporti più fini, in modo da avvicinare ulteriormente i tubi fra di loro, sarebbe possibile aumentare il numero di neon a parità di superficie. Questo, anche se aumenta il costo complessivo dell’unità, aumenta anche la quantità di luce diminuendo per conseguenza i tempi di esposizione.

Neon blacklight-blue
I neon utilizzati sono i “Luce nera, tipo blu”.

La distanza dei neon dal piano del pressino o torchietto è piuttosto esigua, ovvero 6,5cm, e per piccole stampe l’ho anche ridotta a soli 4cm. Per quanto riguarda l’uniformità dell’illuminazione in ogni caso non ho mai notato la presenza di bande in corrispondenza dei tubi, quindi una distanza fra tubi di 5,5cm e una di 6,5cm fra questi e il piano dell’immagine, permette di ottenere un’illuminazione uniforme a tutti gli effetti.

Con questa configurazione i tempi di esposizione sono di circa 2-3 minuti per una gomma bicromata, 3-4 minuti per una stampa bruna, 4-5 minuti per un platino/palladio e 10-15 minuti per un cianotipo classico.

Per il resto si tratta di una semplice cassa di legno con i tubi montati all’interno. Le dimensioni esterne sono di 42x68x16cm (50x68x22cm contando le sporgenze). Sulla parte superiore sono montate due maniglie che permettono di spostare comodamente l’unità. Un interruttore, azionabile anche col piede, permette di accendere e spegnere tutti i neon simultaneamente. Una miglioria che devo decidermi ad apportare è sostituire l’interruttore con un timer, perché capita spesso di dimenticare di misurare il tempo di esposizione, mentre con un contapose basta impostare il tempo di esposizione e ci si può dimenticare della stampa fino a che i tubi si spengono automaticamente e l’allarme sonoro ci indica che l’esposizione è ultimata.

Fori di ventilazione
Fori di ventilazione e schermo dell’unità di esposizione agli ultravioletti.

Sul fianco dell’unità sono praticati dei fori che permettono la circolazione dell’aria, evitando un surriscaldamento eccessivo dei neon. Questo è un punto importante visto che la quantità di luce UV emessa diminuisce drasticamente all’aumentare della temperatura. Un piccolo ventilatore incorporato sarebbe più efficace, e lo aggiungerò il giorno che sostituirò l’interruttore con il timer. In ogni caso la cassa diventa veramente calda soltanto durante la lunga esposizione delle stampe cianotipo; per quanto riguarda la gomma bicromata il ventilatore probabilmente non è strettamente necessario. Montare un ventilatore infine permette anche di limitare la fuoriuscita di raggi UV, per esempio montando un manicotto a sifone che faccia uscire l’aria. I buchi infatti sono appena schermati, e per il momento se sto esponendo una stampa devo evitare di passare vicino alla luce con un altro foglio sensibilizzato.

Un grosso problema che ho avuto in passato infine è che i supporti dei neon sono progettati per essere fissati ad un soffitto o una parete e in seguito non esser più toccati. Spostando continuamente la cassa le staffe laterali si sono aperte e in due o tre occasioni sono diventate così molli che hanno fatto cadere un tubo che si è puntualmente rotto sul pressino. Ho risolto completamente questo problema incastrando delle barre di polistirolo che facciano pressione sulle staffe che sostengono i neon.

Polistirolo per stringere le staffe di sostegno
Polistirolo incastrato fra il bordo della cassa UV e le staffe di sostegno per evitare che queste si aprano lasciando cadere i tubi neon.

Anche se la mia cassa di luce UV è perfettamente efficace, l’anno scorso ho avuto l’occasione di lavorare con uno stampatore che ha montato i neon all’interno di un mobile fisso. Sul davanti c’è uno sportello che si richiude perfettamente, quindi basta inserire il pressino nel compartimento sotto le luci. Devo dire che se dovessi costruire un’altra unità UV seguirei probabilmente il suo esempio, visto che un mobile risolve completamente il problema di caduta dei neon, uno sportello permette di contenere completamente la fuoriuscita di radiazioni UV, è facile montare un ventilatore e un timer permanenti e infine non si deve continuamente spostare, prendere e mettere a posto l’unità -cosa che alla lunga diventa fastidiosa- basta aprire uno sportello e inserire il torchietto, tutto è a portata di mano. L’unico svantaggio è che in questo modo è impossibile stampare su un supporto più grande del compartimento stesso. Se per esempio si stampa dei negativi A3+ centrati su un foglio 50x70cm, il pressino misurerà 60x80cm circa, ma è sufficiente che la cassa di illuminazione copra 45x60cm, dimensioni molto più contenute di eventuale mobile fisso che permetta di stampare su carta 50x70cm. Detto ciò, una volta decise accuratamente le dimensioni delle stampe che verranno realizzate, un mobile fisso è sicuramente più comodo di una cassa mobile.

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Montare i diaframmi stenopeici su piastrine di supporto /it/2007/montare-diaframmi-stenopeici-supporto/ /it/2007/montare-diaframmi-stenopeici-supporto/#comments Sun, 16 Dec 2007 15:16:19 +0000 Fabiano Busdraghi /?p=2941 Strumenti necessari
Strumenti necessari per montare un foro stenopeico su una piastra di supporto.

I diaframmi di microscopio elettronico sono degli splendidi fori stenopeici di diametro perfettamente noto e regolare, ma sono piccoli (piastrine circolari di 3 millimetri) e vanno montati su delle piastrine di diametro maggiore per evitare di rovinarli e utilizzarli con più facilità. In questo articolo verranno esposte alcune accortezze che permettono di montarli in modo facile e efficace. I fori non sono venduti già montati perché le esigenze di ognuno possono essere molto diverse le une dall’altre.

Il materiale necessario è quasi tutto di uso corrente: una lattina di alluminio, dello scotch nero da elettricista e uno strumento per praticare fori da 2mm. Se avete in casa un trapano a colonna e una punta da 2mm avete tutti il necessario, ma purtroppo non tutti hanno una piccola officina sotto mano. Nel mio caso mi sono procurato un punzone da 2mm, che si compra per 1 euro e 50 centesimi in una qualunque ferramenta. Considerando che un martello in genere è presente in ogni casa, così come un pezzo di cartone compatto che faccia da tappetino, la spesa per avere tutto il necessario è più che contenuta.

Per iniziare si ritaglia dalla lattina una lastrina di alluminio delle dimensioni volute, da un centimetro quadrato in su. Si taglia un paio di centimetri quadrati di nastro adesivo o lo si posa al centro della piastrina di alluminio. Non è necessario che sia veramente incollato, tanto andrà staccato alla tappa successiva. Si appoggia il tutto sul tappetino di cartone con lo scotch verso l’alto, si pone al centro il punzone e con un colpo di martello si pratica il foro contemporaneamente nel nastro adesivo e nell’alluminio.

A questo punto si può staccare il nastro adesivo e metterlo a portata di mano, per esempio attaccato al bordo del tavolo. Se si è usato il punzone la piastrina di alluminio sarà avvallata dalla parte dove ha ricevuto il colpo e presenterà un piccolo cono dalla parte opposta. Va quindi girata e appiattita con un paio di colpi di martello. Può esser necessario rigirare la piastrina e dare dei piccoli colpi di martello da entrambi i lati. Se sono presenti delle bave si può passare qualche colpo di carta vetrata, ma in generale è facile praticare dei fori puliti e senza sfrangiature. Se la lastrina è di dimensioni considerevoli e non verrà ricoperta interamente con lo scotch, per esempio se costituirà una parete intera della scatola stenopeica, è venuto il momento di dipingerla di nero. Una pittura spray nero opaco è poco onerosa e asciuga in pochi minuti.

A questo punto viene la parte in cui è necessario lavorare con un minimo di precisione. L’idea è di posare il diaframma di microscopio elettronico sul piano di lavoro. Prendere lo scotch forato e portarlo in contatto con il diaframma, mirando attraverso il foro nel nastro adesivo per fare in modo che il foro del diaframma si trovi esattamente al centro del foro nel nastro adesivo. Grazie alla colla dello scotch il diaframma resterà incollato in posizione. In seguito si poggia il nastro adesivo sul piano, con il lato con la colla e il diaframma rivolto verso l’alto, si prende la piastrina di alluminio e la si porta in contatto con il nastro adesivo, mirando attraverso il foro al centro della piastrina per collimare i fori. In questo modo il diaframma di microscopio è libero al centro e si troverà in un sandwich di nastro adesivo e alluminio lungo un millimetro sul suo bordo.

Personalmente trovo che il piano di lavoro sia un po’ scomodo perché non c’è spazio per le dita, allora posiziono il diaframma di microscopio su un cilindretto di un centimetro di diametro e qualche centimetro di lunghezza. Nel mio caso uso una confezione di burro cacao, ma solo perché è il primo oggetto che mi è capitato sotto mano con quella forma. In questo modo si possono posare i polsi sul piano di lavoro, la punta delle dita può arrivare vicino al diaframma del microscopio, ed è molto facile collimare i due fori guardando attraverso il buco nello scotch prima e nell’alluminio dopo.

Tutto qui, basta controllare che il nastro adesivo sia ben incollato e la piastrina è montata perfettamente al centro. Il tutto è molto più lungo a spiegare che a fare. Per il momento ho montato una decina di diaframmi e non ho mai sbagliato una sola volta, quindi la procedura descritta non dovrebbe presentare particolari difficoltà.

A questo punto se si desidera è possibile verniciare l’interno del diaframma con un pennarello nero, ma consiglio di farlo solo se ne ha veramente l’esigenza, visto che si rischia di danneggiare il foro. I problemi di riflessi possono insorgere soprattutto con molto sole o fotografando in controluce, per la maggior parte delle immagini e con tempo nuvoloso non è assolutamente necessario dipingere il foro.

Le dimensioni della lastrina di supporto dipendono dallo spessore del materiale con cui è costruito il resto della scatola. Più questo è spesso più è preferibile utilizzare una piastra di supporto grande, in modo da allontanare degli spessori che possono proiettare ombre limitando la dimensione effettiva dell’immagine registrata sul supporto sensibile. Al limite tutta una parete della scatola può essere costruita dall’alluminio di una lattina. Se si utilizza una scatola di latta invece in generale il metallo è abbastanza fine da permettere di praticare il foro da 2mm direttamente nel coperchio della scatola.

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