Burtynsky Paysages Manufacturés
Locandina del film Paysages manufacturés (Manufactured Landscapes) di Jennifer Baichwal, un documentario sul lavoro di Edward Burtynsky.

Era da un po’ di tempo che non andavo al cinema e ne ho approfittato per vedere Manufactured Landscapes di Edward Burtynsky prima che sparisse definitivamente dalle sale parigine.

L’impressione nel complesso è stata positiva. Il documentario scorre piacevolmente, con un fluido intercalarsi di commenti dell’autore, diaporama delle sue foto, fasi di preparazione di ogni scatto, interventi esterni, dialoghi con le persone incontrate.

Alcuni passaggi mi lasciano però perplesso.

Per esempio Edward Burtynsky afferma più volte che il suo lavoro non vuole portare alcun giudizio, nessuna critica politica, presa di posizione, niente. Questo avrebbe come scopo di spostare il senso dell’opera sul documentario puro. La valenza artistica come surplus verrebbe allora dal fatto che l’arte è l’amplificatore della percezione umana, rendendo possibile una rivalutazione della realtà al di là delle opinioni soggettive.

Burtinsky deda chiken
Deda chiken processing plant.
© Edward Burtynsky

Si potrebbe disquisire all’infinito su quanto siano neutre e oggettive delle immagini hiperestetizzanti come quelle di Edward Burtynsky, senza contare che in generale qualunque lavoro creativo, in un modo o nell’altro, implica sempre una presa di posizione. Il documento mente sempre, in un modo o nell’altro. Se in più sei un fotografo che diffonde le sue immagini nel circuito della foto d’arte, oggettività meccanica e espressione artistica personale sono perlomeno in controsenso. Oltre a questo mi sembra chiaro fin dall’inizio quale sia il punto di vista di Edward Burtynsky e le sue opinioni in merito alla questione climatica e alla gestione degli spazi occupati dall’uomo. In ogni caso, il continuo insistere sull’imparzialità dell’opera, mi mette addosso perlomeno un senso di sospetto, mi viene da chiedere se non ci sia un po’ di coda di paglia.

Un altro paio di punti che mi lasciano un po’ interdetto sono le due epifanie che ha l’autore durante il film, soprattutto quando guidando si rende conto che il mondo è tutto costituito di petrolio. Bella scoperta, per fabbricare la plastica ci vuole il petrolio. Mi sembrano due passaggi un po’ troppo enfatici e facili.

Burtynsky cankun
Migliaia e migliaia di operai cinesi lavorano nella fabbrica di Cankun.
© Edward Burtynsky

Infine sono rimasto un po’ stupito dal vedere Edward Burtynsky pagare i cinesi in modo che posino come vuole lui (…e l’oggettività del documento?). Nella stessa foto usata nella locandina della versione inglese di Manufactured Landscapes, l’uomo con la bestia da soma era stato pagato e istruito per passare esattamente da quel punto quando Edward Burtynsky avrebbe premuto sul pulsante di scatto (fra l’altro a mio vedere gli è pure andata male, perché nel film si vede bene una terza persona che per caso passa dietro all’uomo con l’asino, creando -per il mio gusto- una spiacevole interferenza visiva con questo).

Tanggu port
Colline di carbone si stendono a perdita d’occhio nel porto di Tanggu
© Edward Burtynsky

A parte questi appunti comunque il film mi è piaciuto molto e il giudizio complessivo è più che positivo. Le parti più impressionanti per me sono tutta la sezione iniziale sulle fabbriche cinesi, con le loro decine di migliaia di operai stipati nei capannoni, la donna che monta la scatola elettrica con due mani ad una velocità assolutamente incredibile. Molto bello anche il capitolo sui cantieri di smantellamento delle navi e naturalmente quello della diga delle tre gole sullo Yangtze (Cháng Jiāng ) e delle città demolite dai suoi stessi abitanti.

In ogni caso la cosa più bella del fim restano le splendide fotografie di Edward Burtynsky. Le conoscevo praticamente tutte, ma è sempre un piacere riguardarle. Fotografie formalmente semplicissime, frontali, piatte, spoglie. Il senso, la bellezza, lo stupore, vengono soprattutto dall’eccezionalità dei luoghi, il lavoro del fotografo qui è più di ricerca che di composizione stravagante. Ma si riscopre tutto il piacere antico della fotografia, che può essere anche in rapporto mimetico con la realtà, lo stupore bambino di vedere come è fatto il mondo.

 

Ecco il trailer del film:





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