Anthotipo
Anthotipo
© Hans de Bruijn

Nella definizione originale in ogni caso non si parla di negativo, ingranditore e simili, ma solo di interazione fra luce e materia. Se proprio vogliamo mettercelo sto negativo facciamo un altro esempio. Immaginiamo una casa, una finestra al sole, una tenda e un vaso posato sul davanzale. Dopo qualche mese o al massimo anno sulla tenda rimarrà l’impronta scura del vaso, ed avremo, di fatto, una bella fotografia. Fra l’altro sfruttare la perdita di colore dei pigmenti dovuta al sole è alla base dell’anthotipo, una tecnica fotografica inventata da John Herschel, lo stesso inventore del cianotipo. Un supporto viene colorato con una tintura ottenuta a base di piante, una volta esposto al sole per lunghi periodi il pigmento si scolora permettendo appunto di ottenere l’immagine, proprio come la tenda.

In questo caso comunque ci sono veramente tutti gli ingredienti presenti nella stampa fotografica tradizionale. Non si usa l’ingranditore è vero, ma la maggior parte delle tecniche di stampa utilizzate durante i primi cento anni di storia della fotografia (ancora una volta, quelle considerate “più pure”) non usano ingranditore. I materiali diffusi all’epoca infatti erano talmente poco sensibili agli ultravioletti da rendere inapplicabile l’ingrandimento. Le stampe venivano quindi tutte eseguite per contatto, utilizzando uno speciale strumento per premere insieme negativo e carta, che si chiama torchietto o pressino. Il contatto serve unicamente per riprodurre al meglio i dettagli del negativo, ma non è necessario e non è certo una delle proprietà fondamentali della fotografia. Del resto c’è chi sfrutta gli effetti del mancato contatto fra negativo e carta a fini creativi. Anni fa vidi la mostra di fotografo che metteva una biglia sotto al foglio in modo da avvallare la carta e ottenere una messa a fuoco selettiva. Non ho prove certe, ma in certi casi ho la sensazione che anche Mario Giacomelli e Raymond Meeks hanno fatto qualcosa di simile. Dall’altra parte, il contatto, anche con i migliori pressini, non è mai perfetto, soprattutto se si usano carte testurate, o che hanno la spiacevole tendenza ad imbarcarsi. Ancora una volta una frazione di millimetro in un torchietto o i centimetri del vaso non fanno nessuna differenza dal punto di vista concettuale.

Thomas Bachler
Crime scenes
© Thomas Bachler

Una delle proprietà fondamentali della fotografia citate in aggiunta a quella dell’interazione fra luce e materiale sensibile è quella dell’uso di un “dispositivo fotografico”. Magari si pensa subito alla macchina, con tutto il suo complesso corredo di autofocus, esposimetro, lenti taglienti alla linea per millimetro e via dicendo. Eppure esistono molti modo di fare fotografia ben più rudimentali, dagli utilizzatori delle macchine ottocentesche agli amanti della fotografia stenopeica, un modo di fare fotografia senza lenti, che parte solo dal principio della proiezione di un’immagine su una superficie, che già ha alcune analogie con l’ombra di un vaso proiettato su una superficie. Le macchine stenopeiche, o se vogliamo il dispositivo fotografico, possono essere veramente molto semplici. Thomas Bachler per esempio, per la sua serie Crime scenes, prepara una scatola con la carta sensibile, ci spara contro un colpo di pistola e sfrutta proprio il foro del proiettile per generare l’immagine. Ridotto al minimo il dispositivo fotografico diventa quindi o una foro (o anche fessura) per proiettare l’immagine, oppure un negativo, proprio come nel caso della tenda. L’obiettivo è un terzo modo per proiettare l’immagine, ma appunto non necessariamente l’unico. Anzi, esiste perlomeno un quarto metodo, lo zone-plate, che sfrutta la diffrazione invece della rifrazione per mettere a fuoco l’immagine.

Moholy Nagy
Fotogramma
© Moholy Nagy

Un negativo quindi è sicuramente una delle forme di base di dispositivo fotografico. Il negativo può essere incollato al materiale sensibile o posizionato un po’ lontano da questo, può essere traslucente come le lastre fotografiche al collodio oppure opaco come un vaso, ma sempre di “dispositivo fotografico” si tratta. Fotografie realizzate in questo modo infatti ne esistono a bizzeffe, dai primi esperimenti con piante e merletti che hanno segnato la nascita della fotografia e che sono stati già citati nell’articolo il disegno di luce e la persecuzione dei greci, agli esempi illustri dei radiogrammi di Man Ray, le Schadographie di Christian Schad o i fotogrammi di Moholy-Nagy. Tutti questi noti artisti in ogni caso posavano oggetti su materiali sensibili e ne registravano la traccia lasciata dalla luce sul materiale sensibile.




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