L’ironia del nuovo, fra tradizione e innovazione
Ma non è di questo che volevo parlare. Cercando i video siamo finiti in una cartella con delle fotografie e la cosa sorprendente è che una conteneva una serie di immagini realizzate esattamente seguendo la stessa identica procedura di Julien Benhamou. Aggiungendo, se vogliamo essere maligni, che lo sconosciuto zio del mio amico le aveva realizzate una decina d’anni prima di questo promettente giovane fotografo.
Mi hanno sempre stupito le coincidenze. Mi capita spessissimo di pensare ad una cosa e vedere qualcos’altro che la ricorda, canticchiare, per dire, Imagine e sentire qualcuno nel metro dire “Ho appena comprato un libro sui Beatles”. Non sono superstizioso, ma davvero sembra che a volte il mondo si concentri e si annodi su degli aggregati di senso. Rimango favorevolmente colpito dal lavoro di un fotografo, mi giro già in testa le frasi che voglio scrivere e qualche minuto dopo trovo, frugando nel computer di un morto, la stessa identica idea.
Ma cosa bisogna pensare di tutto ciò? L’impressione favorevole deve essere cancellata perché Julien Benhamou non è stato il primo ad averla? Oltre allo zio del mio amico, quante altre persone l’avranno già avuta e realizzata?
Mi viene subito in mente una frase di Picasso, anche se non so se è una citazione apocrifa o se l’ha detta veramente lui.
Se hai una buona idea l’hanno sicuramente già fatto in dieci, se invece hai un’idea geniale, stai sicuro che l’hanno già fatto in cento.
Alla fine conta davvero trovare qualcosa di completamente e sconvolgentemente nuovo? È ancora possibile?
Tempo fa, visto che sono un grande amante del mare, scattai molte foto dell’orizzonte, con l’idea di ridurre il mare al minimo, all’essenza, a segno astratto, a niente più di una sensazione che va a braccetto con il grigio del cielo, quella sottile malinconia del mare nei giorni di pioggia. Iniziai a creare piano piano una serie di paesaggi vuoti, paesaggi marini in prevalenza, provenienti da ogni parte del mondo.
Quando iniziai credo che non sapessi nemmeno chi fosse Franco Fontana, mentre in seguito avevo presente unicamente il suo famoso lavoro sulle colline toscane e le sue geometrie urbane. Una volta poi, dopo aver scattato decine e decine di foto per la mia serie, sono capitato davanti a delle fotografie di Fontana. Fotografie del mare in tutto e per tutto simili alle mie. Ne rimasi molto deluso, perché era una serie su cui riposava qualche piccola ambizione. Già mi immaginavo delle stampe molto grandi, in una galleria spaziosa, dai muri tutti bianchi. Invece le stesse foto erano già state fatte trent’anni prima e per giunta da un fotografo italiano. Progetto da abbandonare, settimane di lavoro inutili. Oltre alla delusione però un pizzico di orgoglio, perché avevo reinventato, indipendentemente, un lavoro dei più grandi e noti fotografi italiani della storia. Se le sue foto avevano raggiunto quel livello lì, allora non era poi una pessima idea. Peccato averla avuta troppo tardi.
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Fabiano Busdraghi
said, 29 May 2008 @ 2:36 PM :
Oggi leggendo il blog di Massimo Cristaldi ho trovato un articolo Tutti uguali? che mi ricorda molto il tema trattato in questo. Massimo si rifà ad un altro divertente articolo We Are Independant, Yet We Are Somehow The Same di Chase Jarvis.
Sembra quindi che non sia l’unico a rendersi conto che alla fine, gira e rigira, sembra sempre di vedere foto tutte uguali. Anzi, la cosa divertente è che non solo scattiamo tutti la stessa immagine, ma scriviamo nei blog anche le stesse cose!
Massimo Cristaldi
said, 29 May 2008 @ 2:58 PM :
Non avevo letto questo tuo articolo e quindi la cosa è effettivamente ANCORA più inquietante!!! Forse ha ragione Chase con l’idea della “social fabric”. Forse questo è quanto spinge fotografi come Francesco Zizola a cercare posti “nuovi” e complessi e a trovarsi, al ritorno, molto più shockati della nostra realtà che da quella, fatta di guerre e situazioni difficili che lui generalmente ritrae…. (parole sue, durante il suo ultimo workshop a Milano).
Fabiano Busdraghi
said, 29 May 2008 @ 4:15 PM :
Il problema è che sembra che viviamo un mondo ad omologazione infinita. Ieri stavo facendo un test photoshop per un’azienda che si occupa di moda e sfogliando qualche rivista che c’era in giro non potevo non stupirmi di come le foto mi sembrassero veramente tutte uguali.
Come fare? Dov’è la soluzione allora? Secondo me ha proprio ragione Chase Jarvis. Bisogna abituarsi all’idea che altra gente ha le nostre stesse idee, che a volta tocca buttar via un lavoro iniziato perché qualcuno c’è arrivato prima e l’ha pure realizzato meglio di quelloc he avremmo fatto. Che le idee contano poco, le idee realizzate sono tante. Se poi rimaiamo comunque in una massa pazienza, l’importante è fare bei lavori. Se poi un giorno avremo un colpo di genio tanto meglio, altrimenti pazienza, avremo comunque fatto qualcosa di interessante.
Per quanto riguarda lo shock della propria cultura poi è una cosa che capisco bene. Io, nel mio piccolo, ogni volta che torno in Italia da Parigi mi sento shockato, figurati quando torni dall’Iraq. La cosa poi mi fa pensare ai commenti di tanti amici che hanno passato un anno intero in Antartide. Gli chiedi:
-Allora, è dura?
-No, quello che è duro è riabituarsi al mondo di qua quando torni a casa.
Io un anno in Antartide non l’ho mai passato, ma quando son tornato a casa dopo qualche mese quella sensazione cui accenna chi ha svernato l’ho intuita benissimo.
ciao ciao
f
Massimo Cristaldi
said, 29 May 2008 @ 11:10 PM :
I soggetti sono davvero importanti. Scegliere dove puntare la macchina o quale set, stage, costruire è importante. Io, che ho una passione per i momenti decisivi, ogni tanto mi lascio andare a qualche rudimentale tentativo di “stage”. Seguendo un concetto o un’idea che ho dentro e che non potrei ottenere andando in giro con la macchina al collo. Ma, essendo come te un “onnivoro” sono anche un “esagerato” e spazio dentro forse troppi generi e attrazioni che (forse) mal si addicono a chi dovrebbe costruire, in modo “commerciale” (anche per eventuali galleristi) un set di immagini convincenti. E torniamo al vecchio adagio…. Se si fotografa per se stessi seguendo le proprie emozioni si è contenti ma solo in certi casi si è “premiati”….