Terremoto in Cina
Terremoto in Cina
© Anonimo

Le notizie e le immagini del terremoto in Cina sono su tutti i giornali e ogni giorno leggo le notizie vedendo progressivamente crescere il numero delle vittime. I miei amici cinesi sono tutti un po’ tristi, quando gli chiedi come stanno non rispondono come al solito. mi dice che quest’anno si stanno abbattendo tantissime tragedie sulla Cina: le nevicate eccezionali in concomitanza della chūnjié, la festa di primavera, a febbraio lo scontro di due treni, poi le rivolte in Tibet poco prima delle olimpiadi e adesso la terra che trema nella regione di Sìchuān. Gli altri mi chiedono se, come hanno fatto loro, voglio donare dei soldi alla croce rossa cinese. La famiglia di Péihào, che viene proprio da quella regione, dorme per strada da giorni ma per fortuna sta bene. Mi racconta del padre di un suo compagno di liceo, ritrovato vivo dopo due giorni passati sotto le macerie. Una gamba incastrata e la scelta di tagliargli il piede per poterlo tirare fuori.

Ogni giorno guardo le immagini che provengono dalla zona del terremoto. Le macchine schiantate sotto i massi franati, le case crollate, decine di braccia di bambini che spuntano dalle macerie che li hanno schiacciati, ponti crollati, vecchi che piangono. A priori sono sempre favorevole all’informazione, nel caso della fotografia di guerra poi la giustifico dicendomi che serve, o meglio dovrebbe servire, perché la gente sviluppi una coscienza pacifista. Nel caso dei disastri naturali invece è unicamente un discorso di memoria.

Di tutte le foto viste questa è quella che in assoluto trovo la più bella. Anche in questa sede bisogna tenere presente l’eccezione particolare del termine bello, esattamente come a proposito della foto della guerra in Iraq. Non voglio assolutamente sciorinare una formula estetizzante basata sul dolore altrui, quando dico bella, intendo che risponde perfettamente ai fini per cui è stata scattata, ci racconta il sisma, ci racconta i numeri di morti e ci racconta i sopravvissuti, la ricerca dei propri cari. Lo fa con leggerezza e emozione, è diretta e completa. Perfettamente sintetica e simbolica, toccante, triste e intensa.

Questa mano, alzata nel vuoto, come quella dello spettro della morte, che viene ad accarezzare le tende delle tue finestre, quando meno te lo aspetti.


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5 commenti »

  1. Mirko

    ha detto, il 19 Maggio 2008 @ 9:45 PM :

    Senza alcun intento di voler banalizzare un evento tragico come il terremoto in Cina, c’è una parola che ultimamente mi ronza per la testa quando penso alla fotografia e questa parola è “bellezza”.

    Leggere questo post mi ha fatto immediatamente suonare un campanello mentale perché nei giorni scorsi stavo pensando che mi piacerebbe approfondire il discorso bellezza/estetica in fotografia (ma anche più in generale).

    Il mio problema è che non ho gli strumenti anche solo per iniziare un approfondimento perché non ho alle spalle studi classici e/o di filosofia che mi facciano capire che tipo di analisi intraprendere ed in che direzione rivolgere eventuali ricerche.

    Potrebbe essere un’idea per una serie di prossimi articoli per il tuo blog :)

  2. Fabiano Busdraghi

    ha detto, il 19 Maggio 2008 @ 9:59 PM :

    Ciao Mirko,
    quello della bellezza e dell’estetica è un tema complesso e che va al di là della fotografia, ripercorrendo anzi tutta la storia della filosofia. Nonostante questo sono sicuro che resta sempre qualcosa da dire, e che può essere interessante leggere.

    Per questo ti dico senza riserve: buttati! Nemmeno io ho alle spalle studi classici o di filosofia, se si esclude qualche ricordo del liceo e qualcuna delle mie disordinatissime letture. Certamente è necessario conoscerne un argomento per poterlo trattare, ma credo che se ci si pone con umiltà una sorta di “ignoranza” può al contrario essere desiderabile, perché segnerà un’indipendenza totale di pensiero dalle scuole e dalle mode.

    Per il momento ci sono ancora almeno una decina di articoli sulla serie “fotografia e verità”, pubblicandone uno a settimana andrò avanti ancora due o tre mesi. Si tratta di una rivisitazione dei capitoli di un libretto che iniziai a scrivere, senza mai finire, ormai più di due anni fa. Quindi sono un argomento che mi rigiro nella testa da molto tempo, che ho opportunamente digerito e metabolizzato.

    In ogni caso sono sempre alla ricerca di nuovi argomenti e nuove fonti di conoscenza. Se vuoi ne riparliamo, perché mi piacerebbe vedere Camera Obscura come un luogo più interattivo, motivo fra l’altro, per cui nei prossimi mesi usciranno moltissime interviste. Se hai qualche idea quindi possiamo anche vedere se è possibile mettere giù qualche cosa.

    Ciao e come sempre grazie della visita
    f

  3. Mirko

    ha detto, il 19 Maggio 2008 @ 10:33 PM :

    Sto seguendo con molto interesse la serie “fotografia e verità” e la trovo molto interessante, ben articolata e, soprattutto, ben esposta, cosa piuttosto rara perché non sempre le persone che comprendono un argomento sono in grado di esplicitarlo in una maniera comprensibile.

    Non ho ancora idee sul discorso “bellezza” perché sono davvero ignorante in materia e spero che, come tu dici, questa mia ignoranza possa essere motivo di “indipendenza totale di pensiero dalle scuole e dalle mode”.

    Mi viene in mente solo una riflessione della Sontag riguardo al potere “estetizzante” della fotografia, cioè il fatto che, attraverso la visione del fotografo capace, anche un soggetto apparentemente “brutto” acquista nella foto una sua dignità. In altre parole, la fotografia ha la capacità di rendere “bello” e interessante visivamente ciò che apparentemente non lo è.

    La foto che citi in questo post ne è un esempio. Ok, in questo caso il discorso è un po’ più complicato perché in questa foto entra in gioco il fattore “etico”, ovvero quella sensazione un po’ colpevole che ci prende quando ci rendiamo conto che troviamo piacevole esteticamente un’immagine che veicola un messaggio oggettivamente atroce. Per capirci, il lavoro della Arbus potrebbe rientrare nella categoria di cui stiamo parlando.

    Ma ciò che mi interessa capire è in realtà più semplice. Dato per assodato che la fotografia ha questo potere estetizzante, mi chiedo perché e come ce ne serviamo, da dove deriva questa necessità, qual’è il ruolo che ha per chi realizza un’opera (che sia una fotografia, una scultura, un quadro, ecc) e quale il ruolo per chi ne fruisce. Fra le altre cose, l’impressione che ho è che oggi scambiamo facilmente la “bellezza” di una fotografia per la bellezza del soggetto della fotografia. Mi piacerebbe anche capire bene da dove deriva questo equivoco.

    Ciao e grazie a te degli spunti sempre interessanti.

  4. Fabiano Busdraghi

    ha detto, il 19 Maggio 2008 @ 10:48 PM :

    Riciao, e intanto grazie per i complimenti. Nonostante le idee siano già tutti in piedi e molte parti già scritte, ogni articolo di “fotografia e verità” mi costa diverse ore di lavoro. Chiarire le frasi e i concetti, non tralasciare niente, scegliere le foto che illustrino il discorso, etc. È veramente un lavoro immane! Il fatto che abbia un seguito da un senso a tutte queste ore di lavoro.

    Molto interessanti le questioni che porti in gioco, e mi riservo di pensarci meglio e rispondere in una sede più appropriata. Intanto dico solo una cosa. Questo equivoco di scambio fra la “bellezza di una fotografia” e la “bellezza del soggetto fotografato” è proprio quello che ho cercato confusamente di spiegare in questo post e nell’altro della guerra in Iraq. Mi premeva insomma che quando dico: “bellissima!” non si pensi che trovo bellissimo il terremoto e la situazione in se. La foto è bellissima per i motivi spiegati, e può esistere qualcosa di “bellissimo”, che non rispetti i canoni correnti di, come dire “piacevole”. Quindi essere armonioso, sorridente, gioioso, giovane, etc, etc. Insomma, la bellezza, una certa bellezza, come ci hanno insegnato i peti maledetti è anche nel lato oscuro dell’esistenza.

    Per tornare a noi quindi si, questo equivoco c’è e ne siamo più o meno vittime tutti. Almeno in parte si è sicuramente originato dall’altro equivoco su cui andrà a parare “fotografia e verità” quando smetteremo di parlare di definizioni. Ovvero l’idea che la fotografia dice il vero, che sia una rappresentazione oggettiva e documentaristica della realtà. Tutto questo porta ad identificare direttamente soggetto fotografato con la sua immagine fotografica, con tutta una serie di conseguenze, fra cui quella che citi. Poi forse c’è ancora qualcosa di più sotto, che ha vedere con la bellezza stessa.

    Ci penso sopra.

  5. Fabiano Busdraghi

    ha detto, il 20 Maggio 2008 @ 9:15 PM :

    Visto che ne è nata una discussione sulla bellezza riporto un testo che mi pare interessante per la discussione, tratto da un articolo pubblicato su “l’Europeo” nel 1977: “la foto simbolo della guerra di Spagna, un falso?” di Roberto Leydi.

    È chiaro che la vicenda curiosa della « foto del miliziano » può proporre molti temi di discussione e di meditazione, capaci di aiutare la nostra comprensione dei grandi fenomeni che re­golano e presiedono la costruzione del sistema iconico in cui ci muoviamo, cioè dei processi attraverso i quali si compongono le immagini destinate ai vari livelli del consumo e si definisce il nostro rapporto con quei processi e le loro conseguenze anche sociali. Varrà certo la pena di fermarsi su questi temi e questi problemi, che vanno ben al di là dello specifico « caso Capa ». In questa occasione è forse opportuno, però, avanzare qualche osservazione su due punti essenziali: perché il falso nelle foto di guerra? Perché è per lo meno imbarazzante riconoscere che la più famosa immagine della guerra di Spagna è una « ricostru­zione »?

    Bene, alla prima domanda si può rispondere, in attesa di ap­profondimenti, che raramente le foto di guerra vere (e ce ne sono tante) divengono famose ed assurgono a emblema, perché molto raramente esse sono « belle ». Cioè, le foto vere molto raramente riescono a definirsi fuori della realtà della guerra per disegnarsi in una rappresentazione « ideale » che, nonostante i lunghi decenni di familiarità con la fotografia, rimane quella della pittura celebrativa. Di qui la necessità, per il fotografo che vuole darci l’immagine simbolo, o l’immagine sintesi della guerra, diciamo pure che vuol darci l’immagine vera della guer­ra, non com’è ma come vogliamo immaginare che sia, di « co­struire », con elementi della realtà, una rappresentazione ideale. E allora si capisce non soltanto la « foto del miliziano », ma si capiscono anche altre famose foto certamente false, quali l’alza bandiera di Iwo Jima, o lo sventolamento della bandiera rossa dall’alto del tetto del Reichstag. E, proprio come nel caso della fotografia di Capa, soltanto la nostra volontà di non voler sapere che si tratta di falsi ci impedisce di cogliere subito la mistifica­zione. Perché, a pensarci bene, basterebbe ricorrere al senso comune, al buonsenso, e domandare a noi stessi come abbiano potuto quei fotografi essere in quel momento nel posto giusto nella posizione più opportuna a fissare in modo fotograficamente così perfetto l’attimo di un gesto in sé anche perfetto.

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