Mïrka e l’insetto, di Gilles Berquet
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Claudio
said, 8 December 2008 @ 11:02 AM :
Nella mia opera casuale di scoperta di questo tuo mondo sono giunto qua. Il mio modo di godere di questa foto è molto simile al tuo, l’insieme della foto è molto elegante ed equilibrato, ma ciò che crea la tensione è concentrato quasi esclusivamente nello sguardo di Mirka. Da un momento all’altro l’insetto potrebbe essere schiacciato in un colpo crudele e sadico o lasciato andare via ancora più sadicamente, quasi a dire “vivi perché io te lo concedo”. Come se qualcosa avesse distratto Mirka e noi attendessimo che la sua concentrazione torni sull’insetto, un po’ timorosi dello sviluppo possibile. Ma al di là della foto, che ti ringrazio per avermi fatto conoscere, mi è piaciuto molto un tuo discorso che cito pari pari:
Il modo in cui una fotografia (ma generalmente un’opera) viene proposta è importantissimo. Trovo delizioso il paragone con il piccolo gioiello, è una cosa alla quale non avevo mai riflettuto, forse perché non mi si è mai presentato direttamente il problema, eppure nella smodata ricerca dei megapixel e dell’impatto notevole di stampe giganti, l’intensità di una foto piccola risalta enormemente. Non ho visto questa foto “dal vivo”, ma solo tramite la tua segnalazione, eppure non riesco a non pensarla esattamente come l’hai descritta, piccola, immersa nel bianco, come un anello che si porge alla promessa sposa.
Fabiano Busdraghi
said, 8 December 2008 @ 3:40 PM :
Effettivamente la dimensione dell’immagine è un problema a cui sono spesso confrontato. Su Camera Obscura sono presenti numerosi articoli che spiegano come ingrandire tantissimo delle foto, e altri, come questo, in cui al contrario si esalta il piccolo formato.
Un po’ come in tutte le cose non mi piacciono le mezze misure, o stampo grandissimo o stampo piccolo piccolo, 11×11cm, anche meno. L’amore per le piccole stampe è nato praticando le tecniche antiche di stampa, che all’inizio erano la vera motivazione di questo blog. Un po’ il costo del platino, un po’ le difficoltà crescenti che si incontrano via via che si stampa più grande, un po’ la possibilità di stampare i negativi analogici per contatto, un po’ il gusto della stampa piccola, precissima e curata. Quando si lavora con le tecniche antiche si tratta davvero di piccoli gioielli, da conservare con cura. Si riscopre il piacere dell’oggetto da tenere fra le mani, la voglia di guardare da vicino, di concentrarsi nell’osservare.
A parte quello che è il mio gusto e il mio modo di operare comunque di esempi di gente che decide di stampare molto piccolo se ne trovano a decine. Ne citerò solo uno, sconosciuto. Un mio caro amico, che risponde al nome di Adrien Arles, una volta si costruì una scatolina stenopeica tagliando uno di quei cilindretti neri dove si mettono le pellicole analogiche. Il risultato erano delle bellissime, minuscole fotografie rotonde. Direi che non dovevano superare il centimetro di diametro, ma questi piccoli cerchietti neri incollati al centro di un foglio 20×30cm di una bella carta da acquarelli facevano proprio la loro porca figura!
Come al solito in fotografia non ci sono regole, l’esplorazione delle dimensioni possibili di stampa è solo un’altro strumento al servizio di ciò che vogliamo dire e di come lo vogliamo dire. Viva il piccolo, viva il grande, e per una volta dico pure viva quello che sta in mezzo!