Chuck Close
Olio su tela
© Chuck Close

In questo quarto capitolo della serie su fotografia e verità, riprendiamo la nostra dimostrazione per assurdo, ovvero cerchiamo di dare una definizione univoca di cosa sia la fotografia, basata su una delle proprietà fondamentali di questa. Mettiamoci per un momento nell’ottica di chi usa tale definizione per legittimare la propria pratica a discapito delle altre, diverse, che disaprova. Questo, di fatto, è proprio l’atteggiamento che vorremmo confutare con tutta questa serie di articoli. L’obiettivo non è stabilire chi ha ragione e chi ha torno, ma vedere meno pregiudizi e una fruizione più rilassata e aperta del complesso panorama fotografico.

Una delle definizioni tentate per la fotografia, anzi, probabilmente la più popolare, è quindi quella che dice: è vera fotografia l’immagine prodotta unicamente dall’interazione della luce con un materiale sensibile.

È una definizione particolarmente congeniale alla maggior parte degli stampatori moderni che usano le tecniche antiche e agli adepti della camera oscura. Spesso infatti questa definizione è usata polemicamente contro la stampa digitale a getto d’inchiostro. In questo caso è evidente l’interesse personale degli stampatori di tecniche antiche nell’adottarla come unica definizione di “fotografia”. Da una parte c’è il loro lungo e complesso lavoro manuale, le ore passate in camera oscura, gli esperimenti, il prezzo esorbitante di certa chimica, come i sali di platino, della carta acquarello, del materiale necessario per mettere in pratica tutta quest’antica arte, tutto questo sapere artigianale. Dall’altra, almeno nell’immaginario degli stampatori di tecniche antiche e dei vecchi guru della camera oscura, visto che in realtà è più complicato, dall’altra parte dicevo, c’è l’idea di premere un bottone e vedere un prodotto che esce direttamente dalla stampante, una stampa completamente meccanica.

Stampante Epson
Stampa a getto d'inchiostro.

Ecco allora la tentazione comprensibile di dire che questa non è fotografia. Il risultato è che il loro prodotto ha un grande valore, si riconosce all’interno di un filone storico importante, con tutte le sue tradizioni e blasoni, dall’altro lato si tratta invece di poco più di una fotocopia, di un prodotto artificiale e poco nobile, senza fascino.

Stiamo al gioco, almeno per un momento. La logica seguita è questa: la stampa digitale a getto d’inchiostro non utilizza in nessun momento l’interazione fra la luce ed un materiale sensibile. L’inchiostro viene finemente spruzzato sulla carta, in un procedimento meccanico tipografico e non fotografico. La stampa a getto d’inchiostro è quindi più vicina alla pittura o alla riproduzione di un quadro in un libro d’arte. Si tratta di un disegno precisissimo fatto da una macchina, il disegno di una fotografia, ma non è una fotografia vera e propria, appunto perché in nessun momento entra in gioco l’interazione fra luce e materiale sensibile.

Shi Xinning
© Shi Xinning

Questo in sintesi, è l’argomento che usano molti stampatori di tecniche antiche o tradizionalisti ortodossi della camera oscura contro la stampa a getto d’inchiostro. Basta una semplice ricerca in forum o mailing-list come apug o Alt-photo-process-l , per trovare pagine e pagine su questo argomento, fiumi e fiumi di inchiostro virtuale versato, per dimostrare che le stampe a getto d’inchiostro non sono fotografie e fregiarsi del titolo di “ultimi veri fotografi”.

La cosa di fatto ha la sua logica. Basta pensare alla tecnica delle griglie usate da Chuck Close, o a molti altri pittori hyper-realisti che hanno lavorato a partire da fotografie, dipingendo su fotografie o utilizzando tecniche di griglie. Una fotografia viene proiettata a forte ingrandimento su una tela di grandi dimensioni, divisa in tanti minuscoli quadretti. Il pittore riempe ogni quadretto con il colore che più si avvicina a quello della fotografia. Una volta finito il quadro questo assomiglia incredibilmente alla fotografia di partenza. Nel caso di alcuni dei dipinti di Chuck Close, che ho avuto modo di ammirare dal vivo, il risultato è così fine da essere virtualmente indistinguibile da una vera fotografia.




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