Massimo Cristaldi è un fotografo dal lavoro eterogeneo e vario, a metà strada fra la fotografia fine art e quella editoriale. Dopo qualche mese di immersione totale nella fotografia artistica, da un po’ di tempo a questa parte lavoro nell’ambito della fotografia commerciale, quindi un punto di incontro fra i due mondi è per me particolarmente interessante.
Una delle serie di fotografie di Massimo Cristaldi, refinery flock, incarna perfettamente questa simbiosi, ed è stata un’ottima occasione per scambiare due chiacchiere.
Fabiano Busdraghi: Come hai iniziato a fotografare?
Massimo Cristaldi: Sono nato a Catania nel 1970. Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia appassionata d’Arte e con un padre che scriveva di iconologia e di storia dell’immagine. Ho passato la mia infanzia andando in giro per rigattieri con i miei, quando ancora, nei primi anni ’80, si aveva la fortuna di trovare opere di pregio in giro, data la generale poca preparazione dei rivenditori, spesso improvvisati, dell’epoca. Ogni nuovo acquisto era una conquista: un quadro, una orologio d’appoggio, una statuina. Il mondo delle immagini mi girava intorno vorticosamente: era quasi impossibile non venirne catturati. Però, nella tradizione di famiglia, ho fatto il liceo classico e mi sono laureato. Nel frattempo però, da circa 12 anni, mio padre mi aveva iniziato, con la sua FED4, alla fotografia. Già da piccolo la macchina a telemetro, tempi, diaframmi pellicole mi erano familiari.
Fabiano Busdraghi: Che cosa rappresenta per te la fotografia?
Massimo Cristaldi: In “Tempo e Immagine” (Treviso, 1992, Pagus editore) mio padre scriveva: L’Immagine “coagula” sempre un “tempo”, ed insieme sancisce la definitività dell’attimo di cui coglie il “senso”. Il mio interesse per la fotografia è molto collegato a questa frase. Coagulare un tempo, un istante, per trasformare un’emozione interiore che scorre viva, in un oggetto fisico, immutabile. Trasformare il flusso vitale in un oggetto materiale, fisico. È un verbo che mi piace molto ha un grande collegamento con la Vita. E con il suo opposto.
Fabiano Busdraghi: Qual’è la tua storia di fotografo?
Massimo Cristaldi: Ho praticamente sempre fotografato. Alla fine degli anni ottanta, a circa 18 anni, ho avuto in regalo la prima reflex personale, una Canon EOS . Già una macchina sofisticata per le mie abitudini di baby telemetrista e per i miei fondi di matricola universitaria. Con quella macchina e con un 28mm ho fatto migliaia di diapositive. Da poco ero all’università e le dia erano il modo più economico e scenografico di godere delle fotografie. Poi nel 1997 una EOS 500N. Nel 2002 la prima incursione nel digitale, una costosissima compatta e poi dal 2004 in poi tutte le EOS digitali Canon… Da circa un anno anche una medio formato Rollei della quale sono perdutamente innamorato.
Fabiano Busdraghi: Hai una formazione che non è fotografica, sei un geofisico e questo è il tuo lavoro principale. È una situazione che conosco bene, perché anche io ho una formazione scientifica e solo recentemente ho iniziato a dedicarmi unicamente alla fotografia. In realtà questo non è vero al 100%, pur avendo abbandonato la carriera scientifica mi sono inventato qualcosa per non dedicarmi appunto unicamente alla fotografia, perché avere due occupazioni in contemporanea mi aiuta a trovare un equilibrio (e ad essere sempre di corsa e in ritardo…).
Te lo vivi come un handicap o avere delle basi diverse ha i suoi vantaggi anche nel modo di fare fotografia?
Massimo Cristaldi: È una bella domanda. In effetti sono, forse per natura, un generalista. Pur partendo da una base collegata alle Scienza della Terra, dirigo un’azienda che fa ricerca IT Europea in settori consimili (ambiente e sicurezza). Viaggio molto per lavoro in Europa e alterno Catania e Roma in Italia. Mi sono occupato per anni di terremoti. Di telerilevamento satellitare. Di ambiente. Ma il mio background è umanistico. Non so quanto questo rappresenti un vantaggio dato che non ho mai pensato in una sola direzione e considero l’iper-specializzazione uno svantaggio piuttosto un pregio.
Non ho, peraltro, fatto un passo deciso verso la fotografia come quello tuo e quindi non posso considerarla una seconda occupazione. Ho però un “discepolo” fotografico che seguo molto da vicino e che fa il fotografo di mestiere. Questo mi coinvolge in alcune avventure oltre a quella di essere il suo “personal trainer”. Certo, ultimamente ho delle richieste professionali come fotografo e, assieme ad alcuni lavori pubblicati, mostre e qualche premio la fotografia occupa un ruolo importante dentro la mia testa. Poi c’è Internet. Mi arrivano richieste di foto e anche domande originali: ultimamente quella di una coppia di americani con la voglia di farsi fotografare per Catania per conservare un ricordo speciale dei nostri luoghi. E parecchi che dall’estero vogliono sposarsi in Sicilia e cercano un fotografo “atipico”. Chissà, forse esiste un business in Sicilia nei cosiddetti destination weddings…
Fabiano Busdraghi: Cose significa vivere in Sicilia dal punto di vista fotografico? Com’è il panorama artistico/culturale dell’isola? Ti senti isolato e credi che per fare il fotografo sarebbe meglio una grande città come Londra o Barcellona o ormai internet ha eliminato le barriere spaziali ?
Massimo Cristaldi: Dal punto di vista dei luoghi e della gente fotografare in Sicilia è molto bello. Io sono convinto che ogni fotografo dia il massimo nel territorio che conosce bene, piuttosto che in giro.
Fare il professionista qui vuol dire al novanta percento dei casi essere un cerimonialista. Pur rispettando e piacendomi l’approccio foto giornalistico alle cerimonie ho però difficoltà nel rapporto con potenziali clienti. La committenza locale, nel novantacinque percento dei casi, non ha una cultura fotografica o semplicemente dell’immagine. È molto “basic”. Questo è un problema che credo esista in tutto il nostro paese e ritengo che sia uno dei tanti ossimori italiani. La culla dell’arte ha praticamente perso ogni contatto con la sua storia e la sua tradizione. In un certo senso se dovessi vivere di fotografia in Sicilia dovrei abbandonarmi a richieste “banali” e questo potrebbe provocarmi dei problemi istintuali di perdita di piacevolezza nelle cose e nei progetti che faccio. Naturalmente, se non vivessi in Sicilia ma tra Londra e New York, potrei forse provare a dedicarmi più compiutamente alla fotografia, probabilmente anche pensare di costruirci su un lavoro. Forse. Qui certamente il panorama non è molto stimolante, esiste una certa riluttanza ad immaginare che possano esistere dei “fotografi-artisti”, difficile trovare qualcuno disposto a compare una fotografia per appenderla in salotto. E quindi la distanza tra quello che ti piace fare e quello che piace all’osservatore cresce.
Fabiano Busdraghi: Raccontaci un po’ della tua serie di fotografie di raffinerie e uccelli: refinery flock.
Massimo Cristaldi: In Sicilia ci sono parecchi paesi con raffinerie. Più o meno tutti noti per le cronache mafiose e spaventosamente deturpati dall’idea di industrializzare il Sud tipica degli anni passati, come se quella fosse “la Via” per la creazione di posti di lavoro. Eppure sono posti incredibili, un crogiolo di immagini potenti. Molte delle fotografie della mia “A men’s world” sono realizzate in questi posti. La raffineria non fa eccezione. Gli stormi sono uno spettacolo invernale e mostrano una simbiosi incredibile tra natura e uomo. Questo è un tema che mi è molto caro. Ho scelto il luogo e, aiutato da alcuni locali, ho preventivato l’appostamento nel punto migliore (ecco il vantaggio di conoscere i luoghi in cui si opera) e la luce migliore per lo spettacolo. Refinery flock è stato fisicamente realizzato in due ore nel dicembre 2006.
Fabiano Busdraghi: Nella tua serie sulla raffineria l’impatto estetico è evidente, ma quello concettuale è ugualmente importante. Nella fotografia artistica contemporanea spesso il lato concettuale è preponderante su quello estetico, mentre nella fotografia editoriale è l’inverso. Naturalmente è una semplificazione, ma tu dove ti poni fra questi due poli opposti? Quanto è importante l’idea e quanto la bellezza?
Massimo Cristaldi: Credo che Refinery Flock si ponga a cavallo tra l’impatto estetico e concettuale, tra la serie “fine art” e la fotografia editoriale. Alcune delle foto in cui oltre agli uccelli ci sono le ciminiere sarebbero perfette per un articolo sul global warming. Francesco Zizola ed Edward Rozzo che, in due diversi momenti, hanno visto il progetto ne hanno riconosciuto un piglio più editoriale che fine art. Come probabilmente l’ottanta percento delle cose che faccio. Ti dirò che probabilmente per me l’aspetto estetico è preponderante. Molta fotografia artistica moderna è di difficile comprensione in quanto troppo concettuale. Ovviamente semplifico anch’io perché sarebbe un discorso lungo ed articolato. Qui in Sicilia (che è il mio soggetto principale) tutto è troppo “estremo” per non trasmettere bellezza, per essere semplicemente “implicito”. Diciamo che la bellezza è preponderante, eppure può anche trasportare concetti, non trovi?
Fabiano Busdraghi: Ti occupi personalmente delle tue stampe. Cosa ti ha spinto a questa scelta? Che materiali usi e perché?
Massimo Cristaldi: Semplicemente voglio fare tutto, dall’idea allo scatto dall’editing, alla stampa. Perché il lavoro prende corpo solo quando è stampato e finito da me. Tanto da digitale che da argentico 6×6 tutto finisce in un trattamento in camera chiara e in una stampa digitale che faccio personalmente, su carta generalmente Hahnemuele, con una Epson 3800 o con una HP Z2100. La mia competenza informatica è stata fondamentale per ottenere risultati eccellenti nella stampa digitale. Sono convinto che la stampa digitale con i suoi standard di durata sia, per certi versi, la vera rivoluzione degli ultimi anni, più che le fotocamere digitali. E mi piace quest’aspetto paradossalmente artigianale in chiave contemporanea della fotografia. Oggi tutto si può, di nuovo, fare tutto da soli.
Fabiano Busdraghi: Hai delle riviste e blog di fotografia preferiti? Secondo te possono sostituire la diffusione delle immagini nei circuiti classici?
Massimo Cristaldi: Sul mio Google Reader ho circa 130 sottoscrizioni a blog di fotografia, organizzati in tecnica, arte e con un settore, piccolo piccolo, di blog italiani. Trovo molto equilibrato Exposure Compensation, interessante A Photo Editor e un po’ antipatico il blog santone Colberg. Purtroppo tutti troppo americani. Spunti e tematiche a noi effettivamente un po’ lontani. I blog tecnici mi hanno stancato, così come in forum di fotografia dove si parla solo di attrezzi, lenti e risoluzione piuttosto che di fotografia in quanto tale. La diffusione delle informazioni in rete è ormai una realtà e per la diffusione delle fotografie apprezzo molto gli sforzi fatti da alcuni siti come File Magazine o, in italia, Witness. Certamente la Rete consente una diffusione di immagini inimmaginabile ma, a mio avviso, la fotografia non va fruita attraverso un monitor a 800×600 punti, ma stampata e possibilmente, correttamente illuminata ed esposta. Di sicuro il digitale ha avvicinato tanti alla fotografia ma le foto sono oggetti materiali, non immagini virtuali. Sono fatte per restare non per essere consumante a 100 click al minuto. Richiedono riflessione, non sono come i film. Internet a mio avviso non è il modo migliore per godere della fotografia ma sicuramente per esserne informati e probabilmente, in certi casi, stimolati.
Fabiano Busdraghi: Te stesso sei autore di un blog di fotografia. Cosa ti spinge a scrivere? Scattare e scrivere sono due attività complementari o secondo te opposte?
Massimo Cristaldi: A mio avviso in Italia non si condivide molto. In genere chi scrive lo fa per chiedere informazioni. Poi sparisce, ottenuto quello che vuole. In un modello BitTorrent siamo un popolo di leechers. È raro trovare chi scrive per diffondere un pochino di conoscenza. O per dire la sua. Per questo ci sono pochi blog italiani rispetto al numero di navigatori appassionati di fotografia, eppure ci sono tonnellata di fotografi. Il mio blog riceve in media 200 visitatori unici al giorno. Un numero pazzesco di anonimi lettori. Io scrivo quando mi capita, non la considero un’attività alla quale sono portato. Però mi piace condividere quello che trovo interessante, e i miei stessi progetti fotografici. Ogni tanto scopro che alcune fotografie o pezzi sono stati scopiazzati da qualcun altro. Ecco: siamo anche un popolo di copioni. Incapaci di inventare siamo i maghi del Cut&Paste. Eppure di recente scrivo più in italiano sul blog… Vedremo, forse qualcosa cambierà se qualcuno, come me te o pochi altri si ostinerà a dare il buon esempio…
Fabiano Busdraghi: Anche a te chiedo, come a tutti gli altri fotografi intervistati, se hai delle foto “mai fatte” e se ci vuoi raccontare la loro storia.
Massimo Cristaldi: Purtroppo vedo ogni giorno molte foto che vorrei fare. E ho sempre la tentazione di dotarmi di una point&shot. Forse lo farò in futuro, quando la qualità ottenibile in stampa per i miei scopi (almeno A2) sarà soddisfacente. Non riesco, quindi, a ricordarmi di una foto in particolare che mi manca davvero. Me ne mancano tante che si aggiungerebbero ai miei progetti. Ultimamente sto realizzando alcuni progetti che ho in mente, costruendo dei set piuttosto che ritraendo il reale. Tra quelle ci sono foto della mente mai fatte che (forse) meritano di divenire realtà.
Fabiano Busdraghi: Un fotografo di cui apprezzi particolarmente il lavoro e perché.
Massimo Cristaldi: Devo citare di nuovo Francesco Zizola. Mi aveva profondamente colpito anche prima di conoscerlo durante un suo workshop. Il suo approccio umano e la sua narrazione non pruriginosa di un mondo difficile secondo me ne fanno una voce fuori dal coro nel panorama dei fotogiornalisti. Mi piace molto anche l’approccio al paesaggio di guerra di Simon Norfolk. E il lavoro di Christopher La Marca con il suo occhio verso i temi dell’ambiente.
Fabiano Busdraghi: Giusto qualche curiosità sui tuoi gusti personali. Che libro stai leggendo in questo momento? Che musica ascolti? Quali sono i tuoi film preferiti?
Massimo Cristaldi: Sono un fan di Andrea Camilleri. Al momento sto leggendo Tiziano Terzani. Ascolto e suono parecchia chitarra classica. Tra tutti i film che amo al primo posto metterei “Le ali della libertà”.
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