Joel-Peter Witkin, Ars Moriendi
Ars Moriendi, 2007. Stampa analogica 68.5×67.5cm in edizione di 12 esemplari.
© Joel-Peter Witkin

Da qualche mese sto pensando di inaugurare una nuova categoria di Camera Obscura, qualcosa come “attorno ad una foto”. Una serie di articoli, ognuno dedicato ad un’unica immagine, una fotografia particolare, speciale, che è entrata nella mia vita ed è rimasta là, come una pietra posata nel mezzo di una strada. Una di quelle foto che vedi e ne rimani meravigliato, è il caso di dirlo, proprio a bocca aperta. Può essere amore, repulsione, impressione, invidia, poco importa. Quello che conta è che sono immagini che mi accompagneranno tutta la vita, con la loro forza emotiva e visiva, senza abbandonarmi mai. Sono immagini rare, sempre più rare mano a mano che la noia e la conoscenza inquinano lo stupore con cui guardiamo al mondo. Sono immagini rare e preziose, da conservare con cura.

 

Qualche mese fa sono andato alla galleria Baudoin-Lebon per visitare la mostra di Joel-Peter Witkin. In realtà l’opera di Witkin la conoscevo già relativamente bene, ma rimango sempre interdetto, non sapendo benissimo cosa pensare. Ne sono affascinato, ma non so dire se è repulsione o amore o entrambe le cose. Non sto a citare le sue immagini, che sono famosissime, nè a ripetere le motivazioni che stanno dietro la sua fotografia, gli aneddoti biografici macabri che sono già stati ampiamente discussi. Mi concentrerò unicamente su una fotografia: ars moriendi.

Fin dal primo sguardo me ne sono innamorato. La pulizia della composizione, la posa languida, antica e decadente, le macabre spoglie umane ma soprattutto la contrapposizione stridente fra il corpo bianco della ragazza e le teste nere dei cadaveri ai suoi piedi.

Questa è sicuramente la prima impressione e la più forte. Il corpo nudo è così pieno di vita, è così vero, che potrebbe uscire dalla fotografia, potrebbe essere una ragazza stesa proprio davanti a te. Le pieghe della pelle, sul fianco, ne fanno una bellezza vera, di tutti i giorni. Una bellezza concreta, non una delle bambole cui siamo abituati, una bellezza dai seni abbondanti che iniziano appena ad essere cadenti, la pelle ancora giovane che fra poco inizierà ad invecchiare, una bellezza antica, carnosa, le braccia rotonde, i fianchi e le cosce fornite. Il biancore della pelle, il pallore mortale non fanno in realtà che esaltarne il soffio di vita. Questa bellezza ci guarda con tristezza e malinconia, un viso giovane che sta appena iniziando a sfiorire, occhi afflitti per chissà quale sottile dolore. I guanti bianchi, lo specchio, la mollezza del gesto, di quella mano con la piuma, ne sottolineano la nobiltà aristocratica, la decadenza demodé.

ars moriendi, fanciulla
Ars moriendi, dettaglio della fanciulla nuda.
© Joel-Peter Witkin

Potrebbe essere una fotografia antica, una splendida demoiselle fin de siècle, che posa per una foto inno alla bellezza femminile, al nudo, all’erotismo. Se non fosse che ai suoi piedi sono stese delle orribili teste di cadaveri. Teste di vecchi, il volto distorto dalla morte e dalla putrefazione, le mute bocche spalancate in cui restano pochi denti traballanti, la pelle flaccida e cascate, gli occhi infossati, ciocche di capelli incollate alla carne da chissà quali liquami.

Il contrasto è fortissimo, ma è racchiuso nell’immagine con una straordinaria unità. La ragazza nuda, con la sua lunga piuma bianca, sembra fare aria ai cadaveri decapitati, come se fossero idoli da venerare, divinità cui offrirsi in sacrifico, come se la morte fosse la massima autorità cui porre i propri ossequi. Allo stesso tempo, le teste mozzate e urlanti, stese ai piedi della fanciulla, sembrano a loro volta venerare la vita, paiono cantare un inno alla primavera, sembrano una macabra offerta alla bellezza e alla giovinezza, sembrano un folle pegno d’amore, un amore estremo.




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