Le foto(copie) di Samuele Piccoli
Di fronte ad un tale paradosso, quando ho del tempo mio, ho scelto di farlo diventare veramente mio, “ho da fare un sacco di cose? Tutte balle”, così facendo, magicamente, riesco ad avere la possibilità di fermarmi, riflettere e guardare indietro.
Fabiano Busdraghi: Nelle tue stesse fotografie si nota effettivamente un lungo lavoro manuale di arricchimento dell’immagine. Per il senso comune della maggior parte delle persone le tue immagini infatti non sono “vere e proprie fotografie”, ma un misto di disegno, collage, transfert e nemmeno lontanamente appartengono alla categoria fotografica.
Se hai letto la mia serie di articoli su fotografia e verità saprai che per quanto mi riguarda si tratta di una affermazione mal posta. Come ti poni rispetto a questa problematica? Credi che la fotografia sia ben definibile? Ogni tipo di libertà è lecita?
Samuele Piccoli: Ho letto molto attentamente gli articoli comparsi su Camera Obscura perché, vivendo a stretto contatto con altri fotografi/fotoamatori, sono gli argomenti più soggetti ad accese dispute. Per rispondere alla domanda occorre necessariamente fare un passo indietro a livello concettuale. Per spiegarmi meglio vorrei raccontare una storia zen tanto cara al mio quasi concittadino Tiziano Terzani.
Un colto professore va a trovare un monaco e gli domanda: “dimmi, cos’è lo zen?”
Il monaco non risponde, lo invita invece a sedersi, gli mette d’innanzi una tazza e comincia a versarci del the. La tazza si riempie, ma imperterrito il monaco continua a versare. Il professore è interdetto, per un po’ non dice niente poi, vedendo che il monaco continua a versare lo avverte:
-È piena, è piena!
“Già!” risponde il monaco “anche tu sei pieno di opinioni e pregiudizi. Come posso dirti io cos’è lo zen se prima non vuoti la tua testa?”
Sono perfettamente conscio del fatto che quanto detto non risolve affatto le varie dispute filosofiche, ma perché auto-limitarsi? Perché rinchiudersi dentro delle definizioni? Una disciplina che si struttura e si muove esclusivamente dentro immutabili schemi è scienza, non può essere definita arte.
Realizzare foto tecnicamente ineccepibili non è il canale che preferisco per raccontare un sentimento, per trasmettere uno stato d’animo. Non voglio essere frainteso, adoro il fotografo o la fotografia che ha bisogno di un certo tipo di carta per ottenere un certa tonalità di bianco o un certa gamma tonale, sono i trucchi che utilizzo anch’io. Ammiro anche chi già in fase di scatto sa già dove effettuerà una mascheratura quando sarà di fronte all’ingranditore.
Io però non sono così, voglio essere diverso, devo essere diverso, e per fare questo, la sola tecnica non basta. Voglio che una spennellata di emulsione liquida data male durante la fase di preparazione del foglio renda la foto unica, imprevedibile, onirica. Ecco il mio obiettivo. Unica ed onirica, le mie foto devono essere così. I volumi scomparire le prospettive rovesciarsi, l’esposizione disturbare, il fermo non esistere, il movimento diventare chiaro. In questa ricerca dell’onirico, cosa cambia se il mezzo di acquisizione dell’immagine è un sensore, una polaroid o una pellicola? Senza la fotografia i miei ritratti non avrebbero significato e noi non saremmo qui a parlarne.
Fabiano Busdraghi: Sono un grandissimo ammiratore di Tiziano Terzani, di cui ho letto praticamente tutti i libri, quella storiella l’avevo letta ma me l’ero dimenticata. Grazie mille per farmela tornare in mente! Per il resto sono perfettamente d’accordo con te, perché limitarsi alle definizioni quando quello che conta è la creazione?
Ma torniamo al nostro articolo. Hai generosamente accettato di condividere la tua tecnica su Camera Obscura. Qual’è il procedimento che segui per ottenere le tue foto(copie)? Ci puoi descrivere nel dettaglio la tecnica che usi?
Samuele Piccoli: Premetto dicendo che il procedimento in se è veramente molto semplice ed i materiali sono facilmente reperibili. Il risultato del trasferimento però non è mai omogeneo, ci sono un sacco di fattori che incidono sul risultato finale come la temperatura, la pressione esercitata sulla foto, il tipo di “chimico” che usiamo per trasferire l’immagine (acetone o trielina), per non parlare poi della carta che viene utilizzata e dalla velocità con la quale strappiamo la foto una volta asciugata.
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