Sottoesposizione
Sottoesponendo è possibile scurire una scena particolarmente chiara.

Abbiamo visto nell’ultimo articolo della serie fotografia e verità che durante il XIX secolo l’atteggiamento dominante è stato quello di mettere avanti la somiglianza perfetta fra reale e fotografia, detto in altre parole la sua caratteristica fondamentalmente iconica.

A partire dall’inizio secolo scorso invece l’accento della maggior parte dei fotografi e dei filosofi è stato sulla fotografia come trasformazione del reale. I pittorialisti, impegnati nella loro battaglia per giustificare la fotografia come forma d’arte, non perdevano una sola occasione per elencare i casi in cui la fotografia falliva come rappresentazione mimetica della realtà.

È per me stupefacente pensare che, più di cento anni dopo, ancora bisogna ripetere argomenti simili per convincere le persone che la fotografia può avere un rapporto mimetico con la realtà, ma che questa non è assolutamente una sua caratteristica fondamentale. Insomma, una foto può più o meno assomigliare alla realtà, ma in un certo modo la distorce sempre. Non voglio perderci troppo tempo, quindi sarò abbastanza veloce. Rudolf Arnheim, nel suo libro Film as art, smonta sistematicamente il rapporto mimetico con la realtà, e rimando a questo testo ogni lettore interessato. Per il momento mi limito ad elencare alcune caratteristiche della fotografia, per chiunque abbia fatto un minimo di fotografia e non si limiti a pigiare un bottone, rendono evidente come la fotografia comporti immancabilmente distorsioni della realtà.

La cosa interessante è che la fotografia fallisce nel compito che gli viene affibbiato di avere un rapporto mimetico preciso con la realtà non solo quando ci si sforza di ottenere una resa pittorica, quando si maltrattano le emulsioni o si esplorano le cosiddette tecniche antiche. La fotografia, intrinsecamente, non riproduce in maniera precisa la realtà nemmeno quando la si usa nel modo più diretto e puro possibile.

Aberrazioni obiettivo
Dettaglio (sinistra) di una foto del Mont St. Michel dove sono evidenti i difetti ottici dovuti alle aberrazioni dell'obiettivo.

Per cominciare si possono citare tutti i difetti delle ottiche. Perdita di nettezza sui bordi, resa dello sfuocato ad esagoni (o qualunque poligono disegnato dalle lamelle del diaframma), aberrazioni varie degli obiettivi, vignettatura, distorsioni a cuscinetto e a barilotto. Nessuno quando guarda alla realtà la vede con una perdita di luce ai bordi. Quasi nessuno ha negli occhi delle aberrazioni che pregiudicano la nitidezza della percezione del mondo. La visione umana dello sfuocato è sempre indiretta, appena si fissa lo sguardo in un punto lo si mette subito a fuoco. A meno naturalmente di essere miopi, ma in ogni caso la realtà, di per se, è sempre a fuoco, sono solo le immagini ottiche di questa che possono essere più o meno sfuocate.

Anche la focale degli obiettivi deforma profondamente la realtà. La visione umana corrisponde grossomodo ad una focale di 50mm su una pellicola di 24×36mm. Tutte le focali superiori o inferiori implicano deformazioni importanti dello spazio, della prospettiva, delle distanze. Con un grandangolare spinto si può far sembrare una stanza infinitamente più grande di quello che è in realtà, esasperare le fughe prospettiche, far sembrare le nuvole in cielo un accavallarsi impetuoso di cavalloni di mare in tempesta, gli oggetti vicini diventano smisuratamente grandi e quelli lontani minuscoli e irraggiungibili, il naso di una persona diventa grosso come un pallone e le orecchie piccole piccole. I teleobiettivi invece schiacciano completamente le prospettive, annullando le distanze. Oggetti lontani e vicini sembrano tutti alla stessa distanza dal fotografo. Trucchetto conosciutissimo di tutti i paparazzi, con un obiettivo si riesce a far sembrare che due persone camminano a braccetto quando invece si trovano a diversi metri di distanza l’uno dall’altro.

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6 commenti »

  1. Danx

    ha detto, il 2 Luglio 2008 @ 6:45 PM :

    Anche la registrazione della luce è diversa tra occhio/mente e sensore, infatti quante volte dobbiamo usare il flash o realizzare doppie esposizioni, per avere una foto che ritragga ciò che ha visto l’occhio/mente?
    ——————————————————————————
    Purtroppo quando la fotografia deve rappresentare la realtà, essa viene manipolata per la propaganda.
    Oppure si fotografa un fatto senza pubblicare nello stesso articolo foto di fatti da cui è scaturito il fatto principale. O le conseguenze.
    Si fanno miliardi di foto ogni giorno. Serviranno a qualcosa, quelle all’infuori della soggettività, spinte dai propri pensieri?
    La foto di un evento rimane fine a se stesso, anzi vittima dell’evento.

  2. Fabiano Busdraghi

    ha detto, il 3 Luglio 2008 @ 9:06 AM :

    Giusto.
    In questo articolo si parla soprattutto della difficoltà della fotografia di diventare copia mimetica esatta della realtà, quindi proprio quello che dici nella prima parte del tuo commento.
    Per quanto riguarda l’uso propagandistico della fotografia, il suo essere vittima degli eventi, sarà proprio l’oggetto di un articolo della serie. Se la scaletta rimane immutata sarà l’11 o il 12.
    ciao ciao

  3. Claudio

    ha detto, il 10 Dicembre 2008 @ 4:58 PM :

    Mentre leggevo già si visualizzavano nella mia testa le immagini dei turisti di Piazza dei Miracoli, è stato divertente poi trovare la tua stessa identica citazione. Un po’ come “quando fischietti Imagine e senti qualcuno parlare di John Lennon…”.

    L’ambiguità è che in un determinato istante la realtà è tridimensionale, il supporto fotografico bidimensionale, e questo gap da solo basterebbe a confermare il tuo discorso. Se poi si considera il tempo stesso come quarta dimensione, noi utilizziamo un supporto bidimensionale per rappresentare una scena tridimensionale che si evolve nel tempo. Facilissimo quindi eludere la rappresentazione mimetica della realtà. Ci si chiede dunque se davvero la Torre sta su perché il turista la tiene o di che colore è il muro, grigio, nero o bianco?

    Anche perché tra l’altro si potrebbe integrare il tuo discorso con un’ulteriore variabile, della quale parli in maniera trasversale ma non diretta. Perché poi si andrebbe ad indagare innanzitutto su cosa sia la realtà, noi diamo per scontato che sia ciò che noi vediamo, che il mare sia blu. Nell’infrarosso termico il mare è nero. Ovvero la nostra percezione della realtà è estremamente limitata se si considera quanto sia minimo l’intervallo delle lunghezze d’onda del visibile in confronto all’intero spettro elettromagnetico. E quindi quando si parla di luce bisognerebbe indicare se ci si riferisce al visibile o se è possibile qualsiasi radiazione elettromagnetica. E in quel caso, la realtà cambia, perché la materia non mantiene affatto il suo comportamento costante con le frequenze. Per cui anche dire che le foglie sono verdi è sostanzialmente non scorretto ma quanto meno incompleto. Sarebbe corretto dire che nell’intervallo delle lunghezze d’onda del visibile la foglia riflette le radiazioni alle frequenze corrispondenti al verde.
    Questo era più che altro un ulteriore elemento che con la marea di variabili che hai già citato rende ancora più confusa e divertente questa esamina che sfocia nel surreale più puro.

    Ciò che mi diverte maggiormente invece è proprio il gap dimensionale, e le incredibili possibilità di manipolazione del tempo e della profondità per raggiungere alterazioni della realtà. Uno dei primi criteri di catalogazione degli scatti che avevo fatto in passato fu proprio quello di organizzarli in “deformazioni della realtà”, nelle quali sfruttavo, oltre al gap dimensionale, un’ulteriore caratteristica che rende il supporto fotografico diverso dalla realtà. Non solo è bidimensionale, ma ha anche dimensioni finite, per cui estrapolando oggetti dal loro contesto è possibile un’ulteriore momento di alterazione (ah, Duchamp!).

  4. Fabiano Busdraghi

    ha detto, il 11 Dicembre 2008 @ 11:43 AM :

    Ciao Claudio,
    e grazie ancora per le tue continue letture di Camera Obscura.

    Quella di John Lennon è una cosa che mi capita spessissimo. Da bravo materialista ateo che non crede in niente, penso che siano coincidenze pure e semplici. Eppure a volte sono così eclatanti che viene spontaneo chiedersi se nella realtà non ci siano nodi spazio temporali che avvicinano momenti, persone, luoghi e cose. Delle sorte di aggregati di senso. Certo che a volte è proprio sorprendente…

    Chiedersi se la realtà esiste veramente o meno è una domanda vecchia forse come la storia del pensiero. Ci ho pensato molto da ragazzo, e ne ho pure scritto diffusamente, essendo fra le altre cose un grande ammirratore di Schopenhauer e avendo spesso pensato che i solipsisti di fatto avevano ragione. Però è una domanda che ho volutamente tralasciato in questi aritcoli. In primo luogo perché è “non scientifica”. Certo, sembra strano dire una cosa del genere quando si parla di metafisica, ma un senso c’è. Quando studiavo fisica teorica a Pisa imparai che non ha senso chiedersi, al di là della meccanica quantistica, se è possibile sapere allo stesso tempo dove si trova la particella e qual’è il suo impulso. È una domanda a cui, usando gli strumenti della meccanica quantistica, non si può rispondere, e inoltre non è interessante, perché la meccanica quantistica è una teoria che permette di spiegare in modo soddisfacente le osservazioni fatte nel campo della fisica delle particelle elementari. Nel caso della fotografia è un po’ lo stesso. Mi interessava restare vicino al senso comune delle persone, senza lanciarmi in speculazioni filosofiche che di fatto possono essere pure opinioni personali. Il fatto come dici tu che la fotografia sia un’immagine bidimensionale e limitata di un mondo quadridimensionale e illimitato è evidente e verificabile da tutti…

  5. Claudio

    ha detto, il 11 Dicembre 2008 @ 12:10 PM :

    Sugli aggregati di senso, io, da buon materialista ateo, ovviamente ritengo che siano pure e semplici coincidenze. Dopotutto siamo anche noi che ci accorgiamo di quando accade la coincidenza, ma se considerassimo tutte le volte che non accade, il rapporto credo entrerebbe tranquillamente nelle probabilità delle coincidenze. Poi noi siamo anche più ricettivi verso certe cose piuttosto che altre. Per cui in qualche modo favoriamo queste situazioni. Che delle volte però effettivamente assumono toni così eclatanti…

    Per il discorso della realtà io volutamente non parlo di filosofia, non che non mi interessi, ma io parlavo di scienza. Volevo solo sottolineare che tu parli diffusamente di luce, ma luce è solo la radiazione visibile o tutto lo spettro elettromagnetico? La realtà reagisce diversamente alle diverse lunghezze d’onda, per cui a seconda di come la si osservi muta. Non è Schopenhauer, è Plank. (Toh, m’è partita Imagine dalla selezione casuale su 20 GB di musica…). Insomma, la filosofia è cara e bella, ma io preferisco usare un approccio più scientifico.

  6. Fabiano Busdraghi

    ha detto, il 12 Dicembre 2008 @ 11:48 AM :

    Ora non mi ricordo di preciso e dovrei rileggermi tutta fotografia e verità, ma naturalmente luce è tutto lo spettro del visibile. Del resto credo che i conservatori ortodossi della fotografia analogica conisderino le fotografie con pellicole sensibili agli infrarossi e agli ultravioletti, come delle “vere fotografie”. Insomma, spero che almeno l’idea che la realtà, intesa come insieme dei fenomeni esplorabili che ci circondano, sia un po’ più ampia dello spettro diretto dei nostri sensi sia un po’ passata. La fotografia astronomica e la fotografia microscopica sono da tutti considerate fotografie.

    Quando cito il flou, o il gap dimensionale stile torre di Pisa, spesso mi sento dire che è comunque una forma di realtà. Una fotografia di una distorsione ottica di un obbiettivo, di un’illusione di prospettiva, etc ma comunque la registrazione fedele di un’immagine generata da un sistema ottico reale, e per questo reale, “vera fotografia”. Ma la gente che la pensa in questo modo non si rende conto che la scala di valori di ciò che è reale o meno è piuttosto arbitraria. Basta considerare il mosso dovuto a lunghi tempi di esposizione, in quel caso l’immagine diciamo reale è “spalmata” sul materiale sensibile, e l’immagine sulla foto non corrisponde minimamente a questa presunta realtà, ma è stata generata dall’accoppiata realtà-negativo-movimento. Quindi certamente un’indice ma non un’icona. Detto fra parentesi: le foto scattate con tempi inferiori al 1/125s a noi sembrano nette, ma tutti gli oggetti in movimento sono più o meno spalmati sull’emulsione. Dal punto di vista teorico 5s o 1/1000s non fa nessuna differenza, a partire dal momento che si tratta di un intervallo di tempo non istantaneo…

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