Le città immaginarie di Giacomo Costa
Fabiano Busdraghi: Le tue fotografie si riconoscono al primo colpo d’occhio, sia per i soggetti che per l’atmosfera dell’immagine. Da anni ormai stai lavorando sul tema dello spazio urbano, del rapporto dell’uomo alla città. Allo stesso tempo in passato hai lavorato su soggetti (e stili) completamente diversi; come paesaggio montano, ritratto e autoritratto. Stavi ancora cercando una tua visione e adesso hai completamente abbandonato questi temi o continui comunque a produrre immagini diverse dal tuo soggetto principale?
Giacomo Costa: Sul ritratto lavoravo prima di iniziare la mia ricerca artistica mentre sull’autoritratto lavoro tuttora ma solo per un mio divertimento, non ho mai pensato che fossero immagini pubbliche. Parlano dell’altro lato della mia persona, di quello poco serio, sbandato, pericoloso, un argomento che adesso inizia a interessare il pubblico ma che in realtà era molto più privato.
Viceversa il paesaggio montano è parte del mio percorso di vita e di artista ed è sempre presente nei miei lavori, anche in quelli urbani, sia direttamente come nel caso delle “scene”, sia per antitesi in tutte le serie più metropolitane. Vedo la città affollata e caotica perché ho ben in mente e davanti agli occhi il paesaggio rarefatto della montagna.
Fabiano Busdraghi: In passato hai lavorato molto sull’autoritratto, e un autoritratto in cui la messa in scena personale assume molta importanza, fotografie che diventano quasi testimonianza di performance. Puoi parlarci un po’ di questo genere, e di quelle che sono le tue motivazioni in merito?
Giacomo Costa: Quando ho iniziato a studiare fotografia mi usavo come modello anche perché sono paziente e su di me potevo fare interminabili studi di luce che invece rendevano amici e modelli rapidamente insofferenti. Ma anche in questo caso ci ho preso gusto e fotografarmi era diventato un piacevole passatempo.
Come accennavo prima l’autoritratto è una forma di autoanalisi, un modo per ricordarmi che dietro all’artista c’è anche l’uomo e l’uomo, nella sua vita privata, nel suo quotidiano, non necessariamente è un’artista. Si possono avere pensieri cupi ma non per questo vivere in maniera cupa. L’autoritratto mi permette di esprimere la mia ironia che è un tratto fondamentale e forte del mio modo di essere.
Agli inizi questo tipo di ricerca era principalmente rivolto e dedicato a me, era il lato mio privato e non mi era mai capitato di pensarlo come qualcosa da esporre, usavo i miei autoritratti nelle pubblicazioni perché mi piaceva scherzare su di me e sul fatto di essere così spesso e troppo preso sul serio. Passando il tempo e diventando più conosciuto il pubblico ha iniziato anche ad interessarsi al mio lato privato e quindi gli autoritratti sempre più vengono considerati parte del mio lavoro…io tuttavia continuo a pensare che siano un pensiero leggero e un modo per dire che non c’è niente di peggio che prendere gli artisti troppo sul serio e ancor peggio è quando un’artista si cala troppo nel suo personaggio
Fabiano Busdraghi: Assolutamente d’accordo! Tanti sedicenti artisti dovrebbero scriverselo a caratteri cubitali su un poster da incollare in camera da letto. E se posso permettermi di essere sincero devo confessarti che questo, questa ironia, questo mettersi in gioco e non darsi arie, è il tratto che più mi piace della tua personalità, almeno da quel poco che posso intuire da questa intervista.
Ma passiamo alla prossima domanda. Puoi approfondire il discorso su una delle fotografie che accompagnano questa intervista?
Giacomo Costa: Non so in che maniera potrei farlo e per onorare il primo fondamentale insegnamento del mio primo gallerista che diceva che non c’è niente di peggio di un’artista che parla de suo lavoro, scivolerò via dalla domanda, con eleganza!
Fabiano Busdraghi: Va bene, domanda cestinata, anche se la tua risposta è stata interessante lo stesso! Passiamo alla prossima allora.
Hai un sito molto ricco e curato, cosa relativamente inconsueta per un fotografo. Spesso si vedono siti con solo due o tre gallerie, un portfolio ridotto all’osso e raramente aggiornato, minuscole fotografie delle dimensioni di un francobollo.
Nel tuo caso invece ci sono moltissime immagini, che permettono di ripercorrere l’evoluzione del tuo lavoro negli anni. Alcune serie poi sono molto diverse da quelle recenti, fra l’altro questi lavori li ho conosciuti unicamente grazie al tuo sito.
Quanto è importante una vetrina come la tua su internet? La diffusione dei tuoi lavori segue più le vie classiche: gallerie, esposizioni, pubblicazioni cartacee, etc, oppure è affidata soprattutto ai circuiti artistici su Internet? Che cosa pensi di queste iniziative?
Giacomo Costa: Per me il sito è come un giardino, qualcosa che va curato con amore tutti i giorni, è una sorta di disciplina marziale giapponese. È il mio modo per mostrare il mio lavoro non come fosse un catalogo ma come se fosse la storia della mia vita.
Agli inizi non mi serviva per diffondere il lavoro: quando si è semi-sconosciuti i metodi tradizionali sono sempre i migliori. Adesso che la mia notorietà, soprattutto internazionale, è molto cresciuta e viaggiare per vedere le mostre è cosa difficile, il sito diviene fondamentale per creare contatti e mantenere vive relazioni.
Credo che ancora la gran parte delle realtà su internet siano più dei contenitori piuttosto che delle forme di ricerca artistica condivisa…ma la rete è talmente grande che non potrei essere più di tanto sicuro di questa mia sensazione.
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