Le linee di vita, di fuga e di divenire reale di Cristina Mian e Marco Frigerio
Cristina Mian e Marco Frigerio sono una coppia di fotografi artisti che provengono rispettivamente dal mondo della pittura e della poesia. Hanno una visione molto lucida e profonda sull’arte, la loro attività fotografica e la filosofia dell’immagine, quindi più che un’intervista tradizionale questo è stato un dialogo pensato per fornire spunti per riflessioni, parlare di arte contemporanea e filosofia, ripercorrere il loro lavoro di qualche tempo fa Working Class, discutere della loro fotografia attuale, con la serie Side Effects, e accennare al progetto ancora in corso Corpo senza Organi.
Ne è risultata una lunga pagina, completa e esauriente sulla loro visione della fotografia, li ringrazio quindi in modo particolare per l’impegno e la passione dimostrate.
Fabiano Busdraghi: Esistono mille modi di fare fotografia, mille argomenti, mille stili, mille approcci e nessuno a priori migliore dell’altro.
Voi, almeno come punto di partenza, avete scelto un approccio che sembra diametralmente opposto al mio, quello della fotografia concettuale. In realtà poi nel seguito abbiamo trovato punti che invece sono, come diceva Marco qualche tempo fa, “pericolosamente vicini”. Mi pare infatti che sia io che voi siamo doppiamente interessati all’aspetto concettuale e espressivo, senza che una delle due componenti vada a sopraffare l’altra. Non parlo assolutamente dell’aspetto formale, della ricerca del bello, della foto estetizzante. Mi riferisco all’elemento puramente strutturale, del contenuto. Mi pare che sia io che voi siamo interessati tanto al messaggio razionale quanto alla componente emotiva. La differenza fra i nostri approcci mi pare che, banalizzando, sia schematizzabile in questo modo: io parto da uno stimolo espressivo, estetico, irrazionale, emotivo a cui poi accompagno un messaggio concettuale razionale, voi mi sembra che partiate piuttosto da un’idea intellettuale, un concetto puro, che esprimete arricchendolo con un impatto emotivo, una performance, un gesto diretto. I due metodi non appaiono più quindi come diametralmente opposti, ma piuttosto speculari e complementari.
Cristina Mian: Si, quello che dici è una corretta analisi del nostro approccio alla fotografia, in cui da una parte la componente concettuale ha una importanza primaria, veramente non mi ricordo nemmeno più dei tempi in cui ci comportavamo da fotografi “veri”, cioè andando in giro con la macchina fotografica a cercare “ispirazione”. Ora tutte le nostre immagini nascono a tavolino, nel soggiorno di casa nostra, mentre leggi un testo, ascolti una musica, ma dall’altra anche l’aspetto espressivo, emozionale, è importantissimo per noi, indissociabile da quello concettuale…non so dirti se questa natura “bifronte”, se questo doppio aspetto, sia legato al fatto che anche noi siamo “doppi”, nel senso che lavoriamo in coppia e quindi in qualche modo nella nostra fotografia c’è sempre una sommatoria di più pulsioni, di più aspetti, può darsi che sia così…se vogliamo semplificare sicuramente Marco è più sbilanciato sul versante concettuale ed io invece su quello espressivo, estetico, istintuale, sarà per la mia formazione pittorica.
Anche se in realtà la faccenda è più complessa ed è anche rivestita da ampie zone oscure, di pulsioni irrazionali, infatti l’idea del gesto diretto, del coinvolgimento nostro personale all’interno della scena, con il conseguente dischiudersi del nostro impianto emotivo, è di Marco e non mia.
Io quello che so è che non posso pensare la fotografia come staccata dalla vita, come lontana da un processo di ricerca strettamente connesso alla mia vita, come elemento motore di scoperte…
Marco Frigerio: E penso che il punto sia proprio questo, cioè per entrambi la fotografia rappresenta lo strumento privilegiato per operare una serie di scoperte a livello personale, e questo elemento, questa esigenza ineludibile di scoperta, è per me antecedente ad ogni aspetto concettuale, espressivo o formale, cioè informa e precede tutto quanto avverrà prima, durante e dopo lo scatto.
Devo però anche dire che tra me e Cristina ci possono essere delle differenze sul tipo di scoperte che ci prefiggiamo, ancora, semplificando un po’, ma giusto per capirci, per me dovrebbero sempre essere delle scoperte di ignoto, là dove l’ignoto è quella realtà che è tenuta nascosta dagli strumenti conoscitivi della nostra cultura.
Cristina invece può prospettare altri percorsi, però il miracolo che avviene sempre è che quando uno dei due individua uno scenario proficuo di sperimentazione e di scoperta, l’altro lo riconosce subito ed aderisce immediatamente al progetto, apportando ovviamente il proprio contributo ed il proprio pensiero, che inevitabilmente causa poi delle deviazioni dal progetto iniziale, in una specie di lavoro di accumulo di visioni, pulsioni, idee che ci portano spesso in territori che ci sorprendono, imprevisti ed imprevedibili, ancora delle scoperte appunto, seppur in un processo solo dialogico e di confronto, quindi assolutamente coerente con quanto poi ci aspettiamo dal processo più strettamente “fotografico”.
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Camera Obscura
ha detto, il 8 Settembre 2008 @ 6:46 PM :
[...] parlato durante tutto l’anno scorso, era uno degli argomenti centrali dell’intervista le linee di vita, di fuga e di divenire reale, avevo persino avuto modo di vedere alcuni negativi grande formato poggiati sulla tavola luminosa, [...]