L’ironia del nuovo, fra tradizione e innovazione
Un paio di settimane fa volevo scrivere un articolo sulla serie di ritratti Symétries di Julien Benhamou, o al limite contattarlo per un’intervista. Conosco abbastanza bene i suoi ritratti, che si vedono ogni tanto per le mostre di Parigi o sulle riviste di fotografia. Questa serie invece è stata una piacevole scoperta, trovata grazie a ZoumZoum, nuovo blog sulla fotografia di Libération.
Il ritratto, come il tema del doppio, del prima o del dopo, è caro a Julien Benhamou. Questa nuova serie però mi subito colpito. Questi doppi visi, così simili e così diversi. Tanto uguali da sembrare fratelli, forse gemelli, tanto uguali da esser quasi la stessa persona, se non fosse per quella sensazione strana, l’impressione che c’è qualcosa che non va, come dicono i francesi, quelque chose qui cloche. Mi chiedevo se fosse lo stesso volto trafficato con Photoshop, oppure davvero gemelli, o persone che si assomigliano in maniera sorprendente.
La spiegazione invece è semplice, i ritratti sono fatti tagliando il due il volto secondo un asse verticale, e incollando la parte sinistra con la riflessione di se stessa, e lo stesso per la parte destra. In pratica creando due simmetrie perfette dall’asimmetria del nostro volto.
L’idea mi è subito piaciuta tantissimo. Per quanto semplice e di facilissima realizzazione, mi è piaciuto l’impatto visivo, la trasparenza teorica. Il fatto che subito si è stimolati personalmente, ci si chiede che cos’è, come ha fatto. Quando poi si scopre la procedura, dopo un sorriso, si pensa subito al tema del doppio, della personalità, oppure, come vuole l’autore, ai canoni greci della bellezza. Insomma, quante volte, negli statment, si legge “questo lavoro vuole essere una riflessione sul pincopallino a sinistra” quando è veramente duro capire, tramite quelle immagini, come portare avanti una riflessione sul soggetto in questione. Nel caso di Simmetrie invece mi pare che la riflessione nasca al volo, e questo è il pregio che ho trovato in queste fotografie.
Stavo quindi iniziando a pensare ad un articolo. Se metterlo nella categoria attorno ad un’immagine, oppure no, visto che più di una fotografia quello che mi ha colpito è un’idea, l’idea che è dietro tutta la serie.
Con questi pensieri in testa sono andato ad aiutare un amico a fare un lavoretto di informatica. Il fratello di sua madre era purtroppo morto, qualche giorno prima, per un attacco di cuore. Lo zio era una persona creativa, che realizzava, per piacere personale, dei video con montaggi ed effetti speciali, a detta del mio amico molto belli ed originali. La famiglia voleva recuperare tali video per ricordo, l’unico problema è che il computer era protetto da una password e nessuno la conosceva. Il mio amico mi ha quindi chiesto se sapevo come fare per accedere al materiale.
Niente di più semplice. Con Linux ho resettato la password di Windows e meno di cinque minuti dopo abbiamo iniziato a cercare, senza successo, i famosi video dello zio. Devo dire che mi ha fatto un effetto strano, mi sono sentito, se non in colpa, perlomeno imbarazzato. Entrare nel computer di una persona appena morta, vedere molte fotografie personali fino ad allora tenute segrete, mi è sembrato un atto terribilmente impudico. Quello che stavamo facendo era esplorare i resti della vita virtuale di una persona, una vita virtuale che spesso diventa importante quasi come quella reale.
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Fabiano Busdraghi
ha detto, il 29 Maggio 2008 @ 2:36 PM :
Oggi leggendo il blog di Massimo Cristaldi ho trovato un articolo Tutti uguali? che mi ricorda molto il tema trattato in questo. Massimo si rifà ad un altro divertente articolo We Are Independant, Yet We Are Somehow The Same di Chase Jarvis.
Sembra quindi che non sia l’unico a rendersi conto che alla fine, gira e rigira, sembra sempre di vedere foto tutte uguali. Anzi, la cosa divertente è che non solo scattiamo tutti la stessa immagine, ma scriviamo nei blog anche le stesse cose!
Massimo Cristaldi
ha detto, il 29 Maggio 2008 @ 2:58 PM :
Non avevo letto questo tuo articolo e quindi la cosa è effettivamente ANCORA più inquietante!!! Forse ha ragione Chase con l’idea della “social fabric”. Forse questo è quanto spinge fotografi come Francesco Zizola a cercare posti “nuovi” e complessi e a trovarsi, al ritorno, molto più shockati della nostra realtà che da quella, fatta di guerre e situazioni difficili che lui generalmente ritrae…. (parole sue, durante il suo ultimo workshop a Milano).
Fabiano Busdraghi
ha detto, il 29 Maggio 2008 @ 4:15 PM :
Il problema è che sembra che viviamo un mondo ad omologazione infinita. Ieri stavo facendo un test photoshop per un’azienda che si occupa di moda e sfogliando qualche rivista che c’era in giro non potevo non stupirmi di come le foto mi sembrassero veramente tutte uguali.
Come fare? Dov’è la soluzione allora? Secondo me ha proprio ragione Chase Jarvis. Bisogna abituarsi all’idea che altra gente ha le nostre stesse idee, che a volta tocca buttar via un lavoro iniziato perché qualcuno c’è arrivato prima e l’ha pure realizzato meglio di quelloc he avremmo fatto. Che le idee contano poco, le idee realizzate sono tante. Se poi rimaiamo comunque in una massa pazienza, l’importante è fare bei lavori. Se poi un giorno avremo un colpo di genio tanto meglio, altrimenti pazienza, avremo comunque fatto qualcosa di interessante.
Per quanto riguarda lo shock della propria cultura poi è una cosa che capisco bene. Io, nel mio piccolo, ogni volta che torno in Italia da Parigi mi sento shockato, figurati quando torni dall’Iraq. La cosa poi mi fa pensare ai commenti di tanti amici che hanno passato un anno intero in Antartide. Gli chiedi:
-Allora, è dura?
-No, quello che è duro è riabituarsi al mondo di qua quando torni a casa.
Io un anno in Antartide non l’ho mai passato, ma quando son tornato a casa dopo qualche mese quella sensazione cui accenna chi ha svernato l’ho intuita benissimo.
ciao ciao
f
Massimo Cristaldi
ha detto, il 29 Maggio 2008 @ 11:10 PM :
I soggetti sono davvero importanti. Scegliere dove puntare la macchina o quale set, stage, costruire è importante. Io, che ho una passione per i momenti decisivi, ogni tanto mi lascio andare a qualche rudimentale tentativo di “stage”. Seguendo un concetto o un’idea che ho dentro e che non potrei ottenere andando in giro con la macchina al collo. Ma, essendo come te un “onnivoro” sono anche un “esagerato” e spazio dentro forse troppi generi e attrazioni che (forse) mal si addicono a chi dovrebbe costruire, in modo “commerciale” (anche per eventuali galleristi) un set di immagini convincenti. E torniamo al vecchio adagio…. Se si fotografa per se stessi seguendo le proprie emozioni si è contenti ma solo in certi casi si è “premiati”….