Massimo Attardi
Gomma bicromata su legno 100x100cm
© Massimo Attardi

Come abbiamo detto nell’ultimo post, l’intervista a Massimo Attardi è in assoluto l’articolo più cliccato di Camera Obscura. I lettori saranno quindi felici di apprendere che poco tempo fa Massimo Attardi mi ha contattato per inviarmi le sue ultime gomme bicromate su legno. Oltre alle riproduzioni delle nuove opere, in una godibilissima risoluzione, mi ha inviato anche un nuovo video che lo mostra al lavoro, un video splendidamente realizzato che ci porta per un attimo nel magico atelier di un artista che stampa gomme bicromate di grande formato (in fondo all’intervista). Con l’idea di presentare tutto questo nuovo materiale ho approfittato per fare qualche nuova domanda a Massimo Attardi.

 

Fabiano Busdraghi: Nel tuo lavoro precedente, rispetto a quello degli scorsi anni, mi sembra di notare dei colori più dolci e pastello, più tenui, più delicati. Le donne sembrano meno aggressive, meno notturne. Me le immagino volentieri nella luce morbida del mattino, quando si sono svegliate da poco. Stai evolvendo verso una rappresentazione più morbida oppure semplicemente in questi tempi sono questi i colori che ti va di usare?

Massimo Attardi: In effetti sto cambiando un po’ l’utilizzo dei colori: cerco di trovare un equilibrio più morbido tra questi e di uscire dal modo tipicamente pittorico di usare la gomma bicromata.

Sto usando delle maschere quando stampo e poi intervengo anche manualmente sulla stampa asciutta. Insomma sto sperimentando.

 

Fabiano Busdraghi: Quando stampi hai un’idea precisa del risultato che vuoi ottenere o la camera oscura è un terreno di gioco e di scoperta? Nel tuo lavoro parti da un’idea, o se vogliamo un’ispirazione, e inizi a tirarla fuori dalla materia poco a poco, come fa uno sculture scavando nel blocco di marmo? Oppure la serendipità è una componente importante del tuo lavoro, sperimenti lasciando l’immagine evolvere quasi da sola fino a che il caso non ti regala una splendida sorpresa?

Massimo Attardi: Beh, il caso è sempre stato una componente di quasi tutto il lavoro artistico, quando questo porta ad un risultato migliore di quello preventivato va bene, a volte, può dare l’indicazione per una ulteriore strada da esplorare, fermo restando però che nel progetto iniziale di un lavoro, c’è già un’idea formata.

Iniziare un lavoro senza avere nessun tipo di linea lavorativa, il più delle volte non porta a nulla. A quel punto è meglio non cominciare neanche a lavorare.

Nel caso particolare del mio lavoro, dopo ogni passaggio, confronto mentalmente il risultato, con il progetto iniziale, dopodiché continuo con i passaggi successivi, oppure apporto delle piccole modifiche.

Se eventualmente, dopo un passaggio, mi venisse in mente un’idea radicalmente diversa, la applico ad un lavoro successivo.

 

Massimo Attardi
Gomma bicromata su legno 100x200cm
© Massimo Attardi

Fabiano Busdraghi: Sento spesso gli italiani lamentarsi del fatto che l’Italia sia rimasta indietro, che ci riposiamo sugli allori di un passato illustre, ma che dal rinascimento abbiamo combinato poco. Che l’Italia è un paese di musei che sanno di stantio, che l’arte contemporanea si fa altrove. Che l’accettazione della fotografia come forma d’arte qui ancora non è arrivata. Che per esporre, nella penisola molto più che altrove, sono necessarie reti e contatti infiniti, conoscenze e raccomandazioni. Che di artisti italiani ce ne sono a decine ma sono costretti a viaggiare e esporre all’estero, un po come la tanto lamentata fuga dei cervelli.

In un certo senso è vero che l’Italia riposa molto sulla sua storia, ma mi chiedo quanto sia poi un rimpastare luoghi comuni. Te cosa ne pensi? Quale ti sembra essere la situazione artistica italiana? E Roma in particolare? C’è una differenza così marcata fra fotografia e le altre arti visive?

Massimo Attardi: Rispondere a queste domande probabilmente non basterebbero molte pagine, per cui, per forza di cose, sarò un po’ sintetico.

L’Italia, purtroppo, è quasi sempre stata colonia, culturalmente, politicamente, artisticamente.

Dico “quasi sempre”, perché per fortuna non è sempre stato cosi’, ma ultimamente mi sembra che l’appiattimento e l’omologazione verso certi modelli artistici non italiani, sia evidentissimo.
L’arte contemporanea si fa anche in Italia, ma è anche vero che la città italiana più a sud dove si “lavora” con l’arte contemporanea è Milano (a parte qualche eccezione a Torino e Roma).

All’estero, può essere più duro lavorare, ma, secondo me, c’è più probabilità di veder riconosciuto il proprio lavoro, (se valido).

Le raccomandazioni e le conoscenze, come “modus” per acquisire notorietà, in questo caso rappresentano un malcostume (purtroppo o per fortuna) non solo italiano, ma, credo, mondiale.
Però riuscire a presentarsi e a proporsi nel modo giusto, è importante. anche se chi fa arte, non sempre è un buon venditore di se stesso.

A Roma, negli ultimi anni, sicuramente qualcosa si sta muovendo. in generale però mi sembra che ci sia sempre la paura di rischiare, appoggiandosi su nomi sempre già abbastanza conosciuti,

Vorrei, prima di continuare su questo tema, specificare chiaramente, che io non sono un fotografo. Io uso la fotografia. Chi fa arte, usa un mezzo. È cosi’ importante quale usa? Non c’è assolutamente nessuna differenza tra la fotografia e le altre arti visive.

Massimo Attardi
Gomma bicromata su legno 100x100cm
© Massimo Attardi

Se le gallerie d’arte contemporanea espongono anche foto, considerandola evidentemente alla pari con altre forme d’arte visiva, che senso hanno le gallerie che espongono solo fotografie? Forse sono proprio queste gallerie che relegano la fotografia in un ambito di pochi, che considerano la fotografia (togliendogli quel respiro che da un bel po’ ha), come cosa a sé stante, diversa, e in qualche modo più “pura”, dall’arte contemporanea. Insomma, mi sembra proprio che quello della fotografia, sia una specie di isolamento voluto, e voluto proprio da chi dice di amare la “fotografia”, che fa mostre, riproponendo un cliché obbiettivamente un po’ stantio, di immagini viste, riviste, se non palesemente copiate. E questo probabilmente è il difetto più grave di un certo ambito fotografico, dove il nero più nero, il bianco più bianco e il grigio più grigio, è più importante di cosa si è fotografato.

 

Fabiano Busdraghi: Sono d’accordo con te, non c’è nessuna differenza fra fotografia e arti visive, come sto cercando di dimostrare con una serie di articoli su Camera Obscura che si intitola “fotografia e verità”. Il problema è che la maggior parte degli artisti, dove intendo “gente che smanetta per produrre qualcosa” usa il procedimento fotografico come potrebbe usare un pennello, uno scalpello, la colla o qualunque altro oggetto o supporto. In modo molto libero insomma. I fotografi, dove intendo chi semplicemente va in giro con la macchina e poi si fa le sue stampe, in genere si sono creati tutta una serie di paletti e di procedure ortodosse che nella loro visione non possono essere modificate, una serie di limiti invalicabili.

Perché succede questo? Credo che originariamente sia dovuto a questo vecchio equivoco di considerare la fotografia come un mezzo di riproduzione fedele della realtà. A me i limiti vanno stretti probabilmente quanto a te, ed è per questo che cerco di far capire ai fotografi quanto sia illusorio. Va detto però che la fotografia può essere utilizzata in tanti modi. Esiste la fotografia artistica, la foto di reportage, la quella di un catalogo pubblicitario, la fotografia scientifica, il ricordo sulla spiaggia, etc. Ognuno ha un linguaggio che gli è proprio e la sua destinazione d’uso, è questo quello che cambia, il metodo di lavoro, il mercato, il pubblico cui si risolve, non la fotografia in se. Questo giustifica in parte la presenza di gallerie dedicate unicamente alla fotografia.

Di fatto, in un mondo ideale, l’esistenza di gallerie unicamente fotografiche si giustifica infatti in termini puramente commerciali. Il gallerista cerca di selezionare tematicamente il proprio lavoro perché si rivolge ad un mercato ben preciso (le gallerie, lo sai probabilmente meglio di me, più che fare “arte” fanno “mercato dell’arte”). Se sa che c’è gente che compra l’immagine fotografica standard, senza ritocchi, montaggi, contaminazioni, etc decide di specializzarsi solo in quella, perché ha un bacino di utenza ben preciso. Oppure può scegliere di vendere della fotografia, diciamo più creativa. Oppure di mettersi in linea con altre gallerie di arte contemporanea dove il mezzo e il supporto non hanno quasi nessuna importanza, e quindi esporre occasionalmente fotografia mista ad altri media. Insomma, secondo me la scelta è puramente commerciale. Il problema è che spesso c’è una grande confusione. Le gallerie espongono un po’ questo un po’ quello. La gente, il pubblico, chi compra, è piena di pregiudizi su cosa sia arte, cosa sia fotografia, cosa sia oggetto e opera, etc. E tutto il casino nasce proprio qui. Idealmente sarebbe semplice no? Ogni fotografo o ogni artista fa quello che gli pare. Se il lavoro è bello lo si vende, chi se ne frega poi di cosa sia e dove lo esponga.

Massimo Attardi
Gomma bicromata su legno 100x100cm
© Massimo Attardi

Per finire, l’ambito fotografico cui fai riferimento, del nero più nero e della precisione tecnica, in generale nelle gallerie e nei musei (almeno a Parigi) per fortuna si vede veramente poco. Ho l’impressione che è più rilegato agli amatori, ai fotografi della domenica, al vecchietto che occupa il proprio tempo, a chi perde giornate sui forum di internet invece di fare immagini. La gente veramente forte fa bei lavori e basta.

Ma smetto di dilungarmi e ti faccio subito un’altra domanda geografica. In passato si è parlato molto di scuole e stili regionali. La fotografia tedesca, la scuola di Dusseldorf. Oggi invece, per dire, si vedono fotografi cinesi che hanno uno stile perfettamente occidentale. Credi che ormai tutte le barriere geografiche siano cadute, che l’arte sia globale, oppure restano delle specificità territoriali? Nel tuo lavoro è possibile riconoscere una certa “italianità” oppure non ha niente a che vedere con il paese in cui sei nato?

Massimo Attardi: Per mia natura, sono contrario ad una idea di confine, anche mentale. Certo l’influenza del luogo dove si nasce o si lavora è inevitabile. La tendenza, per esempio, ad iconicizzare (e ad esorcizzare) il passato del proprio paese, è un passaggio quasi obbligato, dopo però avviene un rimescolamento con tutto ciò che proviene da “fuori”, quindi, la contaminazione, in varie misure, modifica e anche, stravolge l’idea di identità artistica. Fortunatamente!

Per quanto mi riguarda, io non mi sento molto italiano.

Guardo in giro, prendo dove ci sono cose che mi interessano, mastico, metabolizzo, elaboro.
A volte esce qualcosa.

 

Fabiano Busdraghi: A Roma vivi e lavori nel Pastificio Cerere, quindi un luogo comune di artisti Romani. Quanto è importante nel lavoro come nella vita, essere a contatto con una comunità artistica? Ci puoi raccontare il Pastificio Cerere con gli occhi di uno che ci vive?

Massimo Attardi: A parte la mia innata riservatezza, e il conseguente starmene abbastanza per i fatti miei, la vicinanza di artisti di grande valore, è molto importante. Stimola molto, ti spinge a migliorare.

 

Massimo Attardi
Gomma bicromata su legno 100x100cm
© Massimo Attardi

Fabiano Busdraghi: Una domanda che ormai faccio ad ogni fotografo intervistato su camera Oscura. Mi capita spessissimo di vedere una fotografia e perderla, in generale per errori tecnici, mancanza di riflessi, o perché la macchina era nello zaino. Stavo anche iniziando a pensare se tenere un diario di fotografie non fatte, foto mai nate. A te capita? Puoi raccontarci una tua foto non fatta?

Massimo Attardi: Mah? no, normalmente non mi capita, anche perché parto con un progetto di massima, e poi lascio completa libertà alla modella, quindi, invece mi capita di fare foto a cui non avevo pensato.

 

Fabiano Busdraghi: Qualche piccola informazione tecnica. Nel tuo video sembra che già dopo uno strato di gomma ottieni degli ottimi neri. Ci avevi già detto qualcosa sulla mescola di gomma e di dicromato. Che pigmenti usi? In che quantità?

Massimo Attardi: Non è facile ottenere dei colori intensi con un solo passaggio, è un po’ rischioso, metà delle volte il risultato è scadente, conviene sempre fare due o tre passaggi. Nel caso del video, avevo solo un’ora a disposizione, e avevo preparato tre tavole. per fortuna è venuto tutto bene al primo tentativo.

Uso normali pigmenti in polvere, le quantità inizialmente le misuravo con un bilancino elettronico. Ora faccio ad occhio.

Le quantità sono circa 1 grammo di pigmento per 10ml di gomma (350g per un litro d’acqua) cui aggiungo 10ml di bicromato (70g per un litro d’acqua). Ma queste misure sono molto indicative, con alcuni colori aumento o diminuisco la quantità di pigmento.

 

Fabiano Busdraghi: Hai qualche scoperta tecnica sulla gomma dicromata che vuoi condividere? Qualche consiglio, astuzia, un comportamento o un effetto che hai notato recentemente?

Massimo Attardi: No, non ho particolari segreti, credo che tutto quello che riguarda la gomma bicromata, sia già stato sviscerato. Un’unica cosa che a volte mi succede, e di cui mi sfugge la causa, è che a volte l’immagine viene completamente invertita, o solarizzata. Per fortuna non succede quasi mai.

 

Fabiano Busdraghi: Nella scorsa intervista ti avevo già chiesto di un fotografo che fa uso di tecniche antiche e che apprezzi particolarmente e ci hai parlato di Jean Janssis. Stesso gioco, ma se vuoi levo il limite delle tecniche antiche. Quindi un altro fotografo di cui ami il lavoro e perché.

Massimo Attardi: Francesca Woodman, giovane e talentuosa poetessa, scomparsa troppo presto. Perché mi piacciono le sue opere? Vibrano. Emozionano. Sono una melodia silenziosa.

Video di Massimo Attardi stampando alla gomma bicromata su legno