Il sito di Thomas Damgaard è estremamente freddo e succinto. Dieci fotografie di numero, senza statement, nessuna spiegazione, nessuna informazione biografica. Solo la sua serie del 2008 “Figures and cityscapes”.
Ma alla fine, perché no? A volte le fotografie riescono a parlare da sole, poco importa se ognuno ci leggerà quelle che vuole, se ci discostiamo dal senso originario, dalla realtà storica. La fotografia può essere concepita per suscitare emozioni, sensazioni e visioni anche completamente lontane dal vero e dall’autentico. Non bisogna per forza considerare la fotografia come documento, a volte può essere utilizzata come un catalizzatore, come un fungo allucinogeno da ingerire per abbandonare il proprio corpo e esplorare il mondo inesistente dentro la nostra testa.
La serie di fotografie di Thomas Damgaard mi piace dall’inizio alla fine, incondizionatamente. Alternarsi di città immense, dove è come se non ci fosse nessuno, intercalate dai ritratti ambientati, dove la presenza umana, ancora una volta è come assente. Gli sguardi sono vuoti, tristi e rassegnati. È un lavoro di solitudine totale e estrema, la solitudine che purtroppo conosco anche io, in una città in cui migliaia di persone sono attorno a te, tutti i giorni, a portata di mano, vicinissimi, si può essere infinitamente più soli che in Antartide. È uno sguardo freddo e clinico su di un mondo in cui non resta nemmeno la voglia di ribellarsi, di scappare, non rimane niente, nemmeno la disperazione. Solo vuoto e rassegnazione, un silenzio statico che si ripete all’infinito.
La fotografia che ho scelto per quest’articolo è quella che, più di tutte, fa da passerella fra la città e le persone che ne soffrono la situazione. Il legame fra città e persone cui si fa allusione in tutta la serie qui si fa esplicito e concreto. La foto infatti scorre senza posa dalla città alla splendida e triste ragazza, come se fossero un tutt’uno: le persiane su cui si appoggia la ragazza si riflettono nel vetro alla sua sinistra, dove traspaiono i grattacieli grigi, fino a scomparire del tutto nella città che occupa tutta la parte sinistra della foto. È come se la città e la persona si fondessero l’una nell’altra, senza soluzione di continuità, come se non ci fosse più il dentro e il fuori, l’io e gli altri. Il colore praticamente assente, il vestito della ragazza della stessa tonalità dell’ambiente, dei palazzi e del cielo fuori, rafforzano ancora di più questo senso di vertigine, questa spirale fra i diversi piani del reale. Lo sguardo di lei vuoto come i palazzi fuori. Assenza, silenzio. Un bicchiere che sta per cadere. Chissà dove. Chissà perché.
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