Fotografia e verità 8: simbolo e interpretazione
Sorry, but this post is not available in English
Save this post in PDF
For multi-page articles the pdf file automatically include the whole post
For multi-page articles the pdf file automatically include the whole post
Danx
said, July 2, 2008 @ 6:45 PM :
Anche la registrazione della luce è diversa tra occhio/mente e sensore, infatti quante volte dobbiamo usare il flash o realizzare doppie esposizioni, per avere una foto che ritragga ciò che ha visto l’occhio/mente?
——————————————————————————
Purtroppo quando la fotografia deve rappresentare la realtà, essa viene manipolata per la propaganda.
Oppure si fotografa un fatto senza pubblicare nello stesso articolo foto di fatti da cui è scaturito il fatto principale. O le conseguenze.
Si fanno miliardi di foto ogni giorno. Serviranno a qualcosa, quelle all’infuori della soggettività, spinte dai propri pensieri?
La foto di un evento rimane fine a se stesso, anzi vittima dell’evento.
Fabiano Busdraghi
said, July 3, 2008 @ 9:06 AM :
Giusto.
In questo articolo si parla soprattutto della difficoltà della fotografia di diventare copia mimetica esatta della realtà, quindi proprio quello che dici nella prima parte del tuo commento.
Per quanto riguarda l’uso propagandistico della fotografia, il suo essere vittima degli eventi, sarà proprio l’oggetto di un articolo della serie. Se la scaletta rimane immutata sarà l’11 o il 12.
ciao ciao
Claudio
said, December 10, 2008 @ 4:58 PM :
Mentre leggevo già si visualizzavano nella mia testa le immagini dei turisti di Piazza dei Miracoli, è stato divertente poi trovare la tua stessa identica citazione. Un po’ come “quando fischietti Imagine e senti qualcuno parlare di John Lennon…”.
L’ambiguità è che in un determinato istante la realtà è tridimensionale, il supporto fotografico bidimensionale, e questo gap da solo basterebbe a confermare il tuo discorso. Se poi si considera il tempo stesso come quarta dimensione, noi utilizziamo un supporto bidimensionale per rappresentare una scena tridimensionale che si evolve nel tempo. Facilissimo quindi eludere la rappresentazione mimetica della realtà. Ci si chiede dunque se davvero la Torre sta su perché il turista la tiene o di che colore è il muro, grigio, nero o bianco?
Anche perché tra l’altro si potrebbe integrare il tuo discorso con un’ulteriore variabile, della quale parli in maniera trasversale ma non diretta. Perché poi si andrebbe ad indagare innanzitutto su cosa sia la realtà, noi diamo per scontato che sia ciò che noi vediamo, che il mare sia blu. Nell’infrarosso termico il mare è nero. Ovvero la nostra percezione della realtà è estremamente limitata se si considera quanto sia minimo l’intervallo delle lunghezze d’onda del visibile in confronto all’intero spettro elettromagnetico. E quindi quando si parla di luce bisognerebbe indicare se ci si riferisce al visibile o se è possibile qualsiasi radiazione elettromagnetica. E in quel caso, la realtà cambia, perché la materia non mantiene affatto il suo comportamento costante con le frequenze. Per cui anche dire che le foglie sono verdi è sostanzialmente non scorretto ma quanto meno incompleto. Sarebbe corretto dire che nell’intervallo delle lunghezze d’onda del visibile la foglia riflette le radiazioni alle frequenze corrispondenti al verde.
Questo era più che altro un ulteriore elemento che con la marea di variabili che hai già citato rende ancora più confusa e divertente questa esamina che sfocia nel surreale più puro.
Ciò che mi diverte maggiormente invece è proprio il gap dimensionale, e le incredibili possibilità di manipolazione del tempo e della profondità per raggiungere alterazioni della realtà. Uno dei primi criteri di catalogazione degli scatti che avevo fatto in passato fu proprio quello di organizzarli in “deformazioni della realtà”, nelle quali sfruttavo, oltre al gap dimensionale, un’ulteriore caratteristica che rende il supporto fotografico diverso dalla realtà. Non solo è bidimensionale, ma ha anche dimensioni finite, per cui estrapolando oggetti dal loro contesto è possibile un’ulteriore momento di alterazione (ah, Duchamp!).
Fabiano Busdraghi
said, December 11, 2008 @ 11:43 AM :
Ciao Claudio,
e grazie ancora per le tue continue letture di Camera Obscura.
Quella di John Lennon è una cosa che mi capita spessissimo. Da bravo materialista ateo che non crede in niente, penso che siano coincidenze pure e semplici. Eppure a volte sono così eclatanti che viene spontaneo chiedersi se nella realtà non ci siano nodi spazio temporali che avvicinano momenti, persone, luoghi e cose. Delle sorte di aggregati di senso. Certo che a volte è proprio sorprendente…
Chiedersi se la realtà esiste veramente o meno è una domanda vecchia forse come la storia del pensiero. Ci ho pensato molto da ragazzo, e ne ho pure scritto diffusamente, essendo fra le altre cose un grande ammirratore di Schopenhauer e avendo spesso pensato che i solipsisti di fatto avevano ragione. Però è una domanda che ho volutamente tralasciato in questi aritcoli. In primo luogo perché è “non scientifica”. Certo, sembra strano dire una cosa del genere quando si parla di metafisica, ma un senso c’è. Quando studiavo fisica teorica a Pisa imparai che non ha senso chiedersi, al di là della meccanica quantistica, se è possibile sapere allo stesso tempo dove si trova la particella e qual’è il suo impulso. È una domanda a cui, usando gli strumenti della meccanica quantistica, non si può rispondere, e inoltre non è interessante, perché la meccanica quantistica è una teoria che permette di spiegare in modo soddisfacente le osservazioni fatte nel campo della fisica delle particelle elementari. Nel caso della fotografia è un po’ lo stesso. Mi interessava restare vicino al senso comune delle persone, senza lanciarmi in speculazioni filosofiche che di fatto possono essere pure opinioni personali. Il fatto come dici tu che la fotografia sia un’immagine bidimensionale e limitata di un mondo quadridimensionale e illimitato è evidente e verificabile da tutti…
Claudio
said, December 11, 2008 @ 12:10 PM :
Sugli aggregati di senso, io, da buon materialista ateo, ovviamente ritengo che siano pure e semplici coincidenze. Dopotutto siamo anche noi che ci accorgiamo di quando accade la coincidenza, ma se considerassimo tutte le volte che non accade, il rapporto credo entrerebbe tranquillamente nelle probabilità delle coincidenze. Poi noi siamo anche più ricettivi verso certe cose piuttosto che altre. Per cui in qualche modo favoriamo queste situazioni. Che delle volte però effettivamente assumono toni così eclatanti…
Per il discorso della realtà io volutamente non parlo di filosofia, non che non mi interessi, ma io parlavo di scienza. Volevo solo sottolineare che tu parli diffusamente di luce, ma luce è solo la radiazione visibile o tutto lo spettro elettromagnetico? La realtà reagisce diversamente alle diverse lunghezze d’onda, per cui a seconda di come la si osservi muta. Non è Schopenhauer, è Plank. (Toh, m’è partita Imagine dalla selezione casuale su 20 GB di musica…). Insomma, la filosofia è cara e bella, ma io preferisco usare un approccio più scientifico.
Fabiano Busdraghi
said, December 12, 2008 @ 11:48 AM :
Ora non mi ricordo di preciso e dovrei rileggermi tutta fotografia e verità, ma naturalmente luce è tutto lo spettro del visibile. Del resto credo che i conservatori ortodossi della fotografia analogica conisderino le fotografie con pellicole sensibili agli infrarossi e agli ultravioletti, come delle “vere fotografie”. Insomma, spero che almeno l’idea che la realtà, intesa come insieme dei fenomeni esplorabili che ci circondano, sia un po’ più ampia dello spettro diretto dei nostri sensi sia un po’ passata. La fotografia astronomica e la fotografia microscopica sono da tutti considerate fotografie.
Quando cito il flou, o il gap dimensionale stile torre di Pisa, spesso mi sento dire che è comunque una forma di realtà. Una fotografia di una distorsione ottica di un obbiettivo, di un’illusione di prospettiva, etc ma comunque la registrazione fedele di un’immagine generata da un sistema ottico reale, e per questo reale, “vera fotografia”. Ma la gente che la pensa in questo modo non si rende conto che la scala di valori di ciò che è reale o meno è piuttosto arbitraria. Basta considerare il mosso dovuto a lunghi tempi di esposizione, in quel caso l’immagine diciamo reale è “spalmata” sul materiale sensibile, e l’immagine sulla foto non corrisponde minimamente a questa presunta realtà, ma è stata generata dall’accoppiata realtà-negativo-movimento. Quindi certamente un’indice ma non un’icona. Detto fra parentesi: le foto scattate con tempi inferiori al 1/125s a noi sembrano nette, ma tutti gli oggetti in movimento sono più o meno spalmati sull’emulsione. Dal punto di vista teorico 5s o 1/1000s non fa nessuna differenza, a partire dal momento che si tratta di un intervallo di tempo non istantaneo…